Padri, solo padri. Incasinati e moderni, giocherelloni e presenti, consapevoli e ottimisti. Guai a chiamarli “mammi”, perché occuparsi dei figli non è questione di etichette. E pure la T-shirt di “Super Dad” sta loro stretta, perché paternità fa rima con normalità. Non perfetti, sicuramente diversi: è questo l’identikit dei papà millennial tratteggiato da una recente ricerca di “Initiative”, network globale di comunicazione, su un campione di oltre 5.000 papà tra i 24 e i 35 anni di ogni angolo del mondo.
Si interrogano su come diventare migliori
Un dato su tutti: negli ultimi decenni i papà hanno quasi triplicato il tempo speso con i bambini. Segno inequivocabile di mentalità e consuetudini in evoluzione: vogliono esserci. Vivere non da spettatori ma da protagonisti la crescita dei pargoli: dal cambio del pannolino alla scelta della scuola. Il 67% di loro sostiene che il ruolo di padre e madre siano equivalenti. «Siamo in un periodo di transizione, con aspetti di innovazione ed esplorazione: il primo dei quali è la presenza dei nuovi padri nella dimensione emotiva e affettiva» spiega Marco Deriu, sociologo dell’università di Parma e membro della rete di associazioni “Il giardino dei padri”. Uomini, quindi, che ascoltano il vissuto della prole e si interrogano su come essere genitori migliori.
Fanno rete per scambiarsi esperienze e consigli
«Un’altra novità sta nella riscoperta della corporeità: spesso non hanno ricordi di incontro fisico con i rispettivi padri, mentre loro non temono il corpo del figlio. Anzi: c’è contatto nel gioco, nelle coccole, ma anche nella cura, come per esempio nella pulizia o nei pasti. La sfera corporea introduce un elemento di vicinanza psicologica straordinariamente forte». Il babbo millennial è anche un babbo smart, più ottimista rispetto ai coetanei senza figli, con un senso di responsabilità più alto (70% contro il 67% dei non papà) e tendenzialmente maggiormente soddisfatto del proprio attuale lavoro: 51% contro il 37% delle mamme e il 41% dei non padri. Non si vergogna a usare app e web per trovare le dritte necessarie a scaldare il biberon, a individuare la libreria più fornita o a confidarsi su Facebook con altri padri.
«In Rete esistono da tempo spazi di condivisione per mamme. Quelli per papà invece sono una moda più recente. Io ho scelto di aprire la pagina durante la seconda settimana d’inserimento di mio figlio all’asilo, quella di cui dovevo occuparmi io: ero pronto, carichissimo, mi ero tenuto libero le intere giornate e invece, appena arrivato a scuola, l’educatrice ha preso in braccio Ludovico, ha salutato e mi ha spedito a casa. In quanto giovane padre mi sono sentito frustrato e ho cercato l’appoggio di chi stava vivendo storie simili alla mia». Giovanni Abbaticchio, barese di 33 anni, è l’ideatore di “The Walking Dad”, pluripremiato blog in cui i padri 2.0 reinterpretano la paternità in chiave social. Una sorta di tutorial a portata di clic, per padroneggiare sempre più competenze. Da postare, poi, insieme a opinioni e a recensioni di prodotti, sulle varie bacheche virtuali.
Non seguono l’esempio dei propri genitori
«Siamo tutti padri digitali e sfruttiamo le potenzialità, anche relazionali, offerte dalla Rete. Tablet, pc e smartphone sono strumenti con cui abbiamo a che fare ogni giorno nell’interazione con i figli» sottolinea Abbaticchio. «E su questo non possiamo prendere esempio dai nostri padri: siamo la prima generazione a misurarci con questa sfida, ovvero individuare l’equilibrio educativamente perfetto tra il buon uso e il non abuso». Vivere in prima fila l’essere padre. Ma pure senza soffocare i propri spazi e le proprie passioni. I padri millennial sono così, e così ci piacciono. Anche perché, conclude Deriu, «i nuovi padri sono meno inclini all’uso della violenza, sia verbale che fisica, in ambito educativo. Non si taglia corto brandendo l’arma della disciplina, ma si trovano altre forme per essere autorevoli. Oggi convivono padri di vecchia impostazione e innovativi, ma la trasformazione è in atto e i segnali per il futuro sono incoraggianti».
Le testimonianze
Andrea Capobianco, 27 anni, di Cesano Boscone (Mi), barista, papà di una bimba di 4 [in foto] «Sono diventato padre a 23 anni, una cosa fantastica, la più bella del mondo: non era programmata ma se tornassi indietro la rifarei mille volte. Cambia la vita, ovviamente. Si stravolgono le priorità, gli amici ti guardano strano, ma ne vale davvero la pena. Nessuno ti insegna a diventare padre e ancora meno un giovane padre: cerchi di fare al meglio, pensando all’educazione che hai ricevuto e sperando di non sbagliare. Anche se a volte Aurora, con la sua testa dura e la voglia di fare sempre mille attività tutte assieme, fa davvero perdere la pazienza. Ci sono cose, però, a cui non ho voluto rinunciare, come per esempio al calcio, ma cerco di essere il più presente possibile: dal farle il bagnetto al giocare con i puzzle, all’addormentarla o all’esserle vicino nelle sue prime esperienze, come per esempio le lezioni di danza. Da sempre con mia moglie – poiché gli orari ce lo permettono – andiamo a prenderla insieme a scuola: è un momento bello, un appuntamento a cui teniamo tanto e che ci unisce molto».
Giuseppe Salcone, 28 anni, di San Severo (Fg), titolare di uno studio di pratiche amministrative, papà di una bimba di 4 «Ricordo benissimo quali erano i bisogni, i desideri, le cose che mi rendevano felice o che mi davano tristezza da bambino: credo sia questo il vantaggio più bello e prezioso nell’essere un giovane padre. Ho un sacco di energia, invidiatissima dagli altri papà un po’ più anziani. E questo mi permette di essere attivo, vitale, giocherellone. Mia madre, in casa, non mi ha mai permesso di occuparmi delle questioni domestiche, sono stato educato così: non sono il papà che si diverte a cucinare o che ha cambiato il pannolino mille volte alla figlia. La mia compagna lo sa, e mi ha comunque accettato. Il tempo libero a disposizione cerco di occuparlo tutto con Irene: andiamo in ludoteca, in piscina, in bicicletta, al parco, ce ne stiamo sdraiati sul tappeto con un libro. Stiamo molto in giro insieme, lontani da televisione, computer e smartphone. Ci divertiamo, io torno piccolo e mi faccio coinvolgere dal suo entusiasmo».
2 libri per capire
«La quotidiana battaglia tra una creatura innocente e indifesa… e suo figlio appena nato». È il sottotitolo di Puoi farcela papà (Vallardi) di Matt Coyne, un libro nato da uno “sfogone” sui social che elenca le gioie (tante) e gli orrori (pure) toccati a un uomo impreparato alla paternità.
Il primo giorno di scuola, la prima delusione, la prima disobbedienza di due figlie femmine viste con gli occhi di un padre. Lo racconta Paolo Longarini in Tutte le prime volte (HarperCollins). Un ritratto spassoso di una famiglia come tante, in cui padri e figlie finiscono per educarsi a vicenda.