Ci sono due espressioni inglesi che riassumono il confronto-scontro generazionale degli ultimi tempi.
La prima, “Ok boomer”, pare sia nata su TikTok, l’unico social network a far breccia tra i giovanissimi. Qui, in risposta al video di un uomo dai capelli bianchi che sosteneva «I millennial e la generazione Z hanno la sindrome di Peter Pan, non vogliono crescere», migliaia di teenager hanno rielaborato in modo artistico la risposta «Ok Boomer». Che da allora è finita stampata sulle T-shirt, le cover dei cellulari, i cuscini, gli sticker, le calze, le borracce. In quella frase che, come direbbero le mie figlie, serve a “spegnere” qualsiasi paternale o lezione di vita in arrivo dai nati tra il ’45 e il ’64, è sintetizzato un: «Ti dimostrerò che hai torto». Ma anche un’accusa: «È colpa vostra se siamo la prima generazione più povera dei nostri padri. È colpa vostra se abbiamo ricevuto in eredità un Pianeta malato. Siamo condizionati dalle vostre scelte del passato e da quelle che continuate a fare oggi. Lasciateci in pace, per favore».
La seconda espressione di cui vi voglio parlare è stata usata, tra gli altri, da Barack Obama in uno di quei tipici discorsi che istigano la risposta “Ok boomer”, nel quale consigliava ai giovani di “non essere troppo woke”. Ovvero ideologicamente puri, politicamente intransigenti. I cambiamenti non si ottengono giudicando gli altri più duramente possibile, ma praticando l’arte del compromesso. La woke culture, per intenderci, è quella che attacca Greta Thunberg perché attraversa l’Atlantico su una barca ecologica ma di lusso, sorvolando sulla potenza del suo messaggio e sulla necessità che varcasse l’oceano.
Entrambe queste frasi, “Ok boomer” e “Non essere troppo woke”, contengono tanta verità. Racchiudono lo sguardo di una generazione sui limiti dell’altra e possono aiutare ciascuna a correggere i propri errori. A raddrizzare la rotta. Se solo si avesse l’umiltà di ammettere che il confronto generazionale non è il male dei nostri tempi, ma una grande opportunità per tutti.