Domenico è un giovane insegnante di Genova. Vive a poche centinaia di metri dal torrente Polcevera, dove una volta sorgeva il ponte Morandi, e insegna musica in una scuola del centro del capoluogo ligure. «Dopo il crollo del 14 agosto 2018 gran parte delle strade sono state interrotte. Per arrivare al lavoro mi ci volevano pomeriggi interi». Troppo per un giovane laureato che, per mantenersi, alle lezioni mattutine affianca i corsi pomeridiani. «Per 4 mesi sono rientrato a casa solo il fine settimana: dormivo su una branda in uno sgabuzzino della scuola».
Francesco e Maria sono una coppia con un bimbo piccolo. I loro ritmi lavorativi, studiati a tavolino fra la parte ovest ed est della città, sono stati riscritti dalla tragedia: «Ma adesso il nuovo ponte è una rinascita per tutti» dicono.
Disegnato da Renzo Piano, il nuovo ponte sarà inaugurato, con anticipo rispetto al programma dei lavori, il 3 agosto. Sarà ribattezzato “San Giorgio”, in onore della città tutta e del suo protettore. Che sia un nuovo inizio lo dice anche Chiara Tartaglia, ingegnere della struttura commissariale per la ricostruzione.
«Ho vissuto prima la fase della tragedia, occupandomi del recupero delle macerie del Morandi, poi ho seguito in prima persona i lavori. È stata un’esperienza totalizzante: il rapporto che si è creato con i parenti delle vittime è strettissimo. La mamma di un ragazzo che ha perso la vita in quella strage è diventata la mia più cara amica». Tartaglia conserva come un amuleto il primo ricordo di quel dramma: «In mezzo alla devastazione c’era la cartuccia di una penna. La tengo ancora sulla mia scrivania». Perché, come spiega oggi l’ingegnere ai suoi 2 figli, «la rinascita parte dalla memoria».
«Si sono persi 6 milioni di euro al giorno»
Un insegnamento che, in realtà, i genovesi hanno subito colto. «La città non è mai stata in ginocchio» ripetono tutti come un mantra, a cominciare dal sindaco Marco Bucci. I tempi record di ricostruzione e inaugurazione del ponte ne sono una prova. «Non abbiamo derogato su regole e controlli, ma solo sui tempi. Il nuovo ponte è senz’altro uno tra i più monitorati di tutta Europa» aggiunge.
A fare eco è Enrico Musso, responsabile del piano di mobilità post-crollo e professore di Economia dei Trasporti presso l’ateneo ligure: «Mediamente per fare una pista ciclabile occorrono 5 anni. Questa è la vera vittoria.
Quando tutti sono d’accordo sull’utilità di un’opera è possibile sburocratizzare le pratiche, essere rapidi ed evitare di cadere nel vortice di ricorsi e varianti di progetto, come spesso accade nel resto d’Italia». Al significato simbolico per tutto il Paese di un’infrastruttura che ha del miracoloso, si associano quelli di rinascita cittadina. Sono almeno 3, secondo Musso. «Innanzitutto, si rimette in piedi un tassello fondamentale della rete urbana di collegamento tra 2 parti della città». Poi c’è il significato extraurbano: «Non si può dimenticare che il ponte è fondamentale non solo per la Liguria ma anche per la Lombardia, perché collega tutto il Nord-Italia con la Francia».
E questo lascia intendere il significato economico dell’opera, che si affianca al terzo tassello: quello portuale. «I traffici dei terminali Ponente e Levante hanno sofferto enormemente. Molti disagi sono partiti da qui: spesso i tir preferivano passare in città piuttosto che allungare per l’autostrada, finendo così col congestionare ulteriormente il traffico». I dati della struttura commissariale, d’altronde, parlano chiaro: con la chiusura del ponte Genova ha perso ogni giorno entrate pari a 6 milioni di euro, tra piccole e medie imprese e turismo.
Non abbiamo derogato su regole e controlli, ma solo sui tempi. Il nuovo ponte è senz’altro uno tra i più monitorati di tutta Europa
I problemi però non sono finiti
Il rischio di congestionamento resta se non si sblocca la “Gronda”. Ciò non vuol dire, però, che siano finiti i problemi. «Il rischio di congestionamento resta fintanto che non si decide cosa fare con la Gronda (una nuova autostrada da creare a nord di Genova, ndr), il cui progetto è stato finanziato per la prima volta negli anni ’80» spiega l’economista Claudio Ferrari. Le relazioni dicono che, se fosse esistita un’infrastruttura alternativa capace di alleggerire perlomeno di un terzo il traffico sul Morandi (come si stima con la Gronda), probabilmente non ci sarebbe stato alcun crollo. «Stesso discorso per quanto riguarda ilnodo ferroviario di Genova e il Terzo Valico: opere ferme da 30 anni, bisogna decidere se ultimarle o meno» continua Ferrari.
Né si può dimenticare il rilancio economico dell’area più prossima al Polcevera. Se gli abitanti della zona rossa hanno ricevuto subito una nuova sistemazione, restano quelli della zona arancione, che si sono riuniti in un comitato coordinato da Massimiliano Braibanti: «Raccogliamo circa 300 nuclei familiari e 200 aziende. Se l’Italia tutta è stata in lockdown 3 mesi, noi lo siamo rimasti per 2 anni». Molti negozi hanno chiuso e alcune famiglie hanno deciso di trasferirsi: la crisi post-Covid non sta aiutando. «Siamo tutti felici di questa rinascita» conclude Braibanti. «Ora speriamo che nessuno venga abbandonato».
Ponte Morandi: il crollo di 2 anni fa
Il 14 agosto 2018 il ponte Morandi, che collega il centro della città di Genova alla zona portuale, crolla all’improvviso. Il bilancio delle vittime è di 43 morti e decine di feriti. I lavori per il nuovo viadotto, che porta la firma dell’archistar Renzo Piano, iniziano il 14 dicembre 2018. La ricostruzione è affidata alla cordata pubblico-privata Salini Impregilo, Fincantieri e Italferr. L’ultima campata viene posta in opera il 28 aprile del 2020. Dopo i controlli statici, è tutto pronto: il ponte “San Giorgio” sarà inaugurato il3 agosto. Il processo sulle responsabilità è invece in corso: sono indagate 71 persone, tra ex dirigenti di Autostrade e ministero delle Infrastrutture.