La campagna elettorale per le elezioni europee di maggio sta entrando nel vivo, e tra i temi caldi non poteva mancare la questione immigrazione. Parlamento e Consiglio Ue, proprio a fine mandato, hanno approvato il rafforzamento di Frontex, l’agenzia sorta nel 2005 a presidio dei confini dell’Unione. Un provvedimento che entrerà in vigore solo a partire dal 2021 e che non servirà a gestire le possibili conseguenze della crisi in Libia, che conta già oltre 200 morti e 18.000 sfollati.
Il ministro dell’Interno Matteo Salvini si è affrettato a decretare la chiusura dei nostri porti, di fronte all’esodo di migliaia di profughi paventato dal presidente del governo di unità nazionale Fayez al-Serraj, sostenuto dall’Onu e dall’Italia. «È un allarme che può essere in parte propaganda» spiega Alessandra Venturini, professoressa di Politica economica all’università di Torino e direttrice del diploma in Migration studies. «Se però a sbarcare saranno cittadini libici in fuga dalla guerra, sarà difficile negare la protezione umanitaria».
Gli arrivi sono diminuiti, ma il Trattato di Dublino andrebbe modificato
In base alla nuova normativa appena varata dalla Ue, Frontex aumenterà da 1.500 a 10.000 gli uomini impiegati nei controlli tra mar Mediterraneo e frontiere di terra. Un rafforzamento doveroso, considerando che, secondo i dati della stessa agenzia, oggi porta a termine appena il 10% del totale dei respingimenti. Ma tutto questo sarà realtà effettiva solo tra il 2021 e il 2027.
E intanto? A guardare i numeri, gli sbarchi di migranti sono diminuiti: dal picco di 181.000 arrivi nel nostro Paese nel 2015 siamo passati a 23.370 l’anno scorso e a circa 600 quest’anno. «Una goccia nel mare, sul totale dei 5,1 milioni di cittadini stranieri che risiedono regolarmente in Italia» dice ancora Alessandra Venturini. Il problema vero è nella gestione: per anni si è discusso di rivedere il Trattato di Dublino, un accordo tra gli Stati membri entrato in vigore nel 1997, che indica chi e come debba isti-tuire e sbrigare le richieste di asilo. L’estate scorsa è andato in scena l’ultimo tentativo di riforma, naufragato con i voti contrari di molti Paesi, compresi Italia e Germania.
«Così il nocciolo del problema è rimasto lo stesso: la responsabilità di occuparsi delle richieste di asilo ricade sul Paese di primo approdo, senza alcun meccanismo automatico che coinvolga gli altri. L’Italia è molto esposta e ha ragione di lamentarsi, perché finora l’Unione l’ha aiutata poco» aggiunge Alessandra Venturini. Così, ogni volta che un’imbarcazione attracca in un Paese Ue, il governo di turno deve avviare una trattativa con chi si rende disponibile. Come accaduto di recente con i 62 migranti della Ong tedesca Sea Eye, sbarcati a Malta dopo 10 giorni in mare e poi ricollocati tra Germania, Francia, Portogallo e Lussemburgo.
Il presidente francese Macron spinge per la solidarietà di tutti, ma c’è un gap tra parole e fatti
Che cosa potrà cambiare dopo il voto per il rinnovo dell’Europarlamento? Il presidente francese Emmanuel Macron sembra tra i più sensibili alle richieste di chi pretende più collaborazione. «Servono una polizia di frontiera comune, un ufficio europeo per l’asilo e solidarietà da parte di tutti» ha dichiarato. Peccato che ci sia «un gap profondo tra parole e fatti, se guardiamo al confine di Ventimiglia dove la Francia ha sempre respinto i migranti in transito dall’Italia» stigmatizza Marta Foresti, ricercatrice ed esperta di migrazioni dell’istituto Odi (Overseas development institute).
«La Germania, che pure nel 2015 si era fatta carico in blocco di 1 milione di migranti, oggi si mostra più fredda dopo l’arrivo di Annegret Kramp-Karrenbauer come successore di Angela Merkel alla guida della Cdu. Per ora il nostro governo annuncia solo che vuole chiudere i porti, ma non ha elaborato una proposta omogenea sul problema». Secondo l’esperta, è improbabile a breve termine una soluzione che coinvolga tutta l’Unione. «Sarebbe più pragmatico, per l’Italia, iniziare da accordi di reciproco aiuto con i Paesi del Mediterraneo».
La popolazione Ue potrebbe diminuire di 41 milioni di persone, ma resterebbe senza manodopera
Su un punto gli studiosi concordano: l’immigrazione serve. Secondo l’Espas (European strategy and policy analysis system), con gli attuali livelli di natalità e ipotizzando zero arrivi, la popolazione Ue scenderebbe da 512 a 471 milioni di persone entro il 2050. «E che serva nuova forza lavoro se ne è accorta persino l’Ungheria di Viktor Orban, tra i campioni delle frontiere chiuse» avvisa Foresti. Nel Paese manca manodopera ma non entra nessuno. Così il governo ha aumentato di 8 ore la settimana lavorativa e quasi raddoppiato la quota ammessa di straordinari, scatenando proteste di piazza diffuse.
Noi e l’Europa: il progetto di Donna Moderna in collaborazione con #100esperte
Dal numero 16, e per altre 4 settimane, pubblichiamo inchieste che hanno come tema l’Unione europea dal punto di vista politico, economico, culturale. Un avvicinamento alle elezioni del 23-26 maggio (in Italia si vota il 26). Lo speciale è realizzato in collaborazione con “100 donne contro gli stereotipi”, un database di esperte di Stem, politica internazionale ed economia: un progetto ideato dall’Osservatorio di Pavia e dall’Associazione Gi.U.Li.A., sviluppato con Fondazione Bracco e grazie al supporto della Rappresentanza in Italia della Commissione europea.