Il cielo era nero e le stelle sembravano vicinissime: erano quelle delle 23, l’ora in cui non sai mai se la sera abbia già fatto pace con la notte. Quanto a me, un po’ di pace credevo di averla fatta con l’idea di separarmi. Mio marito era andato via di casa da 11 mesi, non c’era ancora nessun avvocato all’orizzonte e la mia insonnia, il fiato corto, i pianti improvvisi, il panico in gola si erano diradati in quell’estate in cui mi ero rifugiata a casa dei miei in Sicilia, nel tentativo di gestire la mia separazione.

Cercavo risposte sul futuro e lì, in balcone, avevo trovato invece domande. Dov’era in quel momento l’uomo con cui avevo condiviso oltre 15 anni? Cosa pensava? Dormiva? Com’era stato possibile non chiedergli “Come stai” da 15 giorni? Ogni domanda era uno spillo, nel respiro e nel cuore. Era il ritorno della disperazione? No, era “l’inciampo”. L’ho chiamato così. Mentre pensi di star sopravvivendo bene al dolore, cadi. Oggi per via di una frase, domani per una canzone, il giorno dopo per il sapore della maracuja che ti catapulta in Messico, il luogo della prima vacanza da genitori.

L’incomprensione all’origine della separazione

Basta poco per sentirsi soli, incompresi. La fine di un amore e la gestione di una separazione è un viaggio spiazzante ma anche inflazionato. La gente lo sottovaluta io la capisco, tanto si lasciano tutti: sono 90.000 le separazioni annue riportate dagli ultimi dati Istat relativi al 2022. Se ci finisci dentro, però, quel “tutti” te lo scordi. Pensi che solo tu non ce la farai. A volte ti gira la testa, speri che sia una crisi e che finirà. A volte, stremata, vuoi solo dimenticare: come si fa in coppia quando nascondiamo le liti con gli alibi. “Tutto si sistema” pensavo se mio marito rimandava la cena con gli amici, la sera in cui volevo fare l’amore, il weekend a Parigi. Diceva che era stanco per il lavoro, io mi arrabbiavo. Poi alla fine si parla sempre meno e ci si allontana.

Separazione e cambiamento

Ci si perde perché si cambia, ecco la verità. E, invece di restare complici nel cambiamento, ci si giudica. Me lo ha detto Giulia, l’amica risentita per caso dopo 3 anni. Mi ero aperta solo con lei e poi ho capito perché: stava lasciando il marito, comprendeva tutto. Anche le cose a me ignote. Tipo i miei sbagli. Avevo sempre cercato in mio marito il liceale che mi aveva corteggiato per 10 anni e mi faceva ridere. Non mi ero accorta che negli ultimi 5, dietro quell’uomo provato dalla malattia del padre, dalla paternità, dalla rivoluzione esistenziale seguita al cambio di città e lavoro, c’era un’altra persona. Infelice. E mentre io non lo accettavo, lui si sentiva inadeguato.

«Si chiama connessione emotiva, è lei che tiene in piedi una coppia» ha esordito Giulia, che col marito quella connessione l’aveva persa soprattutto a letto, il luogo dove arrivano le conferme. Se provava a confidargli il suo malessere, lui minimizzava. La terapia di coppia è stata un flop: dopo 3 sedute lui non ha visto risultati e ha mollato. La scelta di Giulia di riprendere a studiare per cambiare lavoro è stato il punto di non ritorno: non l’ha mai incoraggiata, temeva di perderla. E dopo 8 anni lei è esplosa.

Avrei dovuto farlo anche io. Ma ero cieca. Nutrivo la mia tenacia con le parole di mio suocero sull’altare: «Nel matrimonio qualcuno deve fare un passo indietro a volte». E così, dopo ogni lite, tornavo a rimediare la falla. Mio marito smetteva di amarmi e io facevo tutto da sola. Lui sempre in trasferta, io a gestire casa, figlio, lavoro e ottimismo: il meglio, pensavo, doveva venire. Invece è arrivata la separazione. Rancore, astio. Infine, l’illuminazione. Dovevo elaborare un lutto, ma non solo: dovevo imparare a convivere con il morto. Abbiamo un figlio in comune, mi sono detta.

Gestire una separazione: tra dolore e solitudine

Trattarlo male, del resto, faceva male pure a me. Ma si può continuare a voler bene nonostante tutto? Come? Nessuno ce lo dice. Quando finisce un amore si naviga a vista. Anche in casa, dove non sapevo neanche mettere una lampadina. L’ho realizzato quando volevo appendere il lampadario comprato insieme sul lungomare di Pesaro e finito nel ripostiglio: ci siamo separati quando stavamo arredando la casa appena comprata. «Mi aiuti?» ho chiesto a Claudia, mamma di Marta, la bimba che gioca sempre con mio figlio, oltre che inquilina del piano di sotto e architetto. «Certo» mi ha detto. L’umanità era con me: la sera, prima di addormentarmi, ho pensato questo.

Ma poi mi sono girata e ho visto mio figlio accanto a me. Temevo la solitudine, il letto troppo grande. Leggevo la favola a lui e me ne raccontavo un’altra io dal titolo “Che donna sarò?”. Chattando per caso con uno sconosciuto, avevo scoperto che non mi era dispiaciuto, ma quelle nuove sensazioni impreviste le temevo un po’. Il sesso era stato una cosa poco praticata sia da giovane sia da sposata. Tra la vita da brava studentessa e una Fivet per avere un bambino c’erano stati pochi sussulti. O poca connessione. In ogni caso avevo deciso di fare solo ciò che pensavo di reggere: niente nuovi partner per il momento e niente comunicazioni in giro, ho lasciato che gli altri deducessero col tempo il mio nuovo status.

Avevo altro a cui pensare ed ero preda di flash di incredulità. Eravamo stati la coppia predestinata fin dal liceo, quella via da Milano appena si poteva a scoprire boschi, musei e spiagge. E adesso? Nei weekend avevo deciso di concentrarmi sulla vita di mamma. Feste di compleanno, merende a casa, gite nei parchi con le altre famiglie. I momenti in cui papà e figlio uscivano io li riempivo con pulizie di eterna primavera, una spesa in bici, un aperitivo di lacrime e spritz con un’amica. Per le vacanze ho scelto mare, sorella, cugini, calore. Ho gestito così il terrore di non fare più insieme una delle poche cose che ci riusciva bene: viaggiare.

Gestire una separazione: la fine della coppia fusionale

Sapere che ogni 5 secondi, in Italia, una coppia decide di lasciarsi e si trova a gestire una separazione (indagine Moneyfarm e Smileconomy) non mi aiutava. Nemmeno che nei primi 8 mesi del 2023 i matrimoni sono diminuiti 6,7% rispetto al 2022 (dati Istat). È la fine della coppia? «Di quella fusionale» mi ha risposto Chiara Saraceno, sociologa, autrice del saggio L’equivoco della famiglia (Laterza), dove fa il punto sui cambiamenti radicali in corso.

Vivere con l’idea di famiglia del passato è rischioso: un equivoco, appunto. «La coppia a cui siamo stati abituati è in via di estinzione, anche se alcune resistono. Non si sta più insieme come un tempo, quando ci si annullava l’una nell’altro. Ad annullarsi erano soprattutto le donne, ma oggi lo fa anche qualche uomo» aggiunge.

Gestire una separazione: la coppia che resiste

Quale coppia resiste allora? «Quella che sa negoziare la vita, in cui ci si ascolta a vicenda mettendosi sullo stesso piano. Ci si sposa spesso dopo anni di convivenza, per cui il matrimonio è un rito di conferma. E da quando la gente ha deciso di sposarsi per amore e non per convenienza, è diventato anche instabile: nessuno vuole vedere l’altro annullato o annullarsi. A questo si aggiunge il fatto che la vita è si è allungata, le possibilità di cambiare sono aumentate. Direi che la diminuzione dei matrimoni e l’aumento delle separazioni sono due facce dello stesso fenomeno».

Queste ultime, stando all’Associazione nazionale divorzisti italiani, sono cresciute del 60%, di cui il 40% per infedeltà, anche virtuale. Giorgia, l’amica dalla vita stile Mulino Bianco, ne sa qualcosa. Ha sposato il suo primo e unico fidanzato, lui l’ha tradita e ora sono separati. Dopo 23 anni in totale e 3 figli, si erano ridotti a essere coinquilini. Zero tenerezza, progetti, risate. Zero liti. Lei faceva finta di nulla, lui pure. Finché si è innamorato di un’altra.

«Io non so come si viva senza di lui, sono persa». Mi ha detti. Giorgia parlava e io pensavo alle parole del mio ex marito: «Bisognerebbe fare un tagliando annuale quando ci si sposa. Un corso per imparare a proteggere l’amore da carriera, paure, frustrazioni». «Siamo ancora in tempo» gli ho risposto quella volta, proponendo la terapia di coppia. Lui mi ha bloccato: «No, è troppo tardi».

La separazione non è l’anticamera del divorzio

«Gestire una separazione è l’occasione per prendersi del tempo e poi tornare insieme, non per chiedere il divorzio» mi ha detto Anna Boggi Fasciani, avvocata e scrittrice.

«Purtroppo lo scopo della legge è stato tradito dalla sua evoluzione e applicazione pratica. Oggi la separazione è un’anticamera del divorzio, come fossero due fasi in sequenza. nell’intenzione del legislatore aveva lo scopo di condurre i coniugi, attraverso un momento di tregua e allontanamento, alla riconciliazione. Ecco perché prima l’intervallo era mediamente lungo. Poi anche la legge si è adeguata ai tempi ed è nato il divorzio breve».

Chissà quanti lo sanno, che si è sempre in tempo. «Non ti appartengo più» mi ha risposto mio marito quando gli ho detto che potevamo riprovare. «Siamo diventati altre persone altre persone senza rendercene conto».

Matrimonio e educazione psicologica

In effetti quel che non ho mai saputo è che «una terapia andrebbe fatta anche prima del matrimonio» mi ha spiegato Valentina Erika Bassi, psicoterapeuta e fondatrice dell’Accademia Tre Evoluzione.

«In giro c’è una grande carenza di educazione psicologica. L’individualismo ci fa vivere l’amore come possesso o dipendenza. Per questo serve fare un percorso di crescita insieme. In accademia abbiamo coppie che lavorano da tempo sul lasciare andare convinzioni del passato e su come avere una comunicazione non violenta e un ascolto attivo. Farlo fin dall’inizio significa porre le basi per una connessione emotiva autentica. L’88% delle coppie in terapia crede che sia meglio affrontare i problemi prima che diventino gravi» ha aggiunto citando Ondrea e Stephen Levine, autori di Abbracciando l’amore (Futura) convinti che il percorso in coppia sia un modo per evolversi dall’amore romantico della giovinezza, legato a idealizzazioni e aspettative, all’amore armonioso e adulto, fatto di presenza e impegno.

Il matrimonio è un oggetto fragile

Serve imparare a parlare e ad ascoltare: in una parola, serve il dialogo. Ho scoperto anche questo intervistando Chiara Saraceno. «Il nostro è il tempo della “coppia-conversazione”, è lei quella del futuro. si lavora in due per vivere insieme» mi ha fatto notare. Ma cos’è il matrimonio? Io me lo sono chiesta spesso. «Dopo 20 anni di coppie seguite, ho scoperto che è un oggetto fragile in mano a un perfetto equilibrista, ovvero l’amore» ha concluso l’avvocata Anna Boggi Fasciani.

«L’equilibrista può sbagliare, l’oggetto cade e si rompe. Ma non è la fine del mondo, solo quella di una relazione che è stata incapace di resistere all’urto. Più che sentirsi colpevoli, serve attraversare la tempesta riportando meno danni possibili per tutti». Alla fine anche lasciarsi e gestire la separazione richiede amore. Sembra questa la soluzione. E io vorrei ricordarmelo anche il giorno in cui non rimanderò più quell’appuntamento. Con lui e l’altro: l’avvocato.

Terapia di coppia: sì o no?

Andare insieme da un terapeuta può salvare la relazione. Ma non basta. «Servono impegno reciproco, fiducia che funzioni, apertura del cuore. Solo così si crea uno spazio sicuro dove l’amore e la comprensione possono rifiorire insieme alla compassione e al perdono necessari» dice Valentina Erika Bassi, psicoterapeuta, counselor e fondatrice di Tre Evoluzione (treevoluzione.it).

I segnali che è arrivato il momento?

«La comunicazione ridotta o negativa, l’aumento delle critiche, la perdita dell’intimità, i conflitti ricorrenti irrisolti, la crescente distanza emotiva». L’esperto giusto è… «Colui che fa sentire entrambi al sicuro, non giudicati. La connessione empatica è cruciale quanto la condivisione degli stessi valori».

È sempre efficace?

«Lo è stata per oltre la metà dei miei pazienti. L’aumento delle separazioni ha spinto più persone a cercare un aiuto, spesso con il movente dei figli. È inefficace se la relazione per uno dei due è già finita ma non si sa ammetterlo».

Perché alcuni interrompono?

«Temono il dolore nell’affrontare le ferite interiori, sono poco pazienti oppure sono bloccati nel cambiamento per la rabbia accumulata».

Si inizia per restare insieme e poi ci si lascia: è possibile?

«Certo, l’obiettivo non è salvare la relazione a tutti i costi, ma aiutare i due a comprendere se stessi e l’altro. A volte ciò porta alla consapevolezza che separarsi sia più salutare. Non è un fallimento, piuttosto l’occasione per liberare entrambi e crescere».

Gestire una separazione: 6 cose che devi sapere

«Datevi il giusto tempo» dice Anna Boggi Fasciani, avvocata e autrice di Coppie scoppiate. Come non farsi troppo male quando un matrimonio finisce (Produzioni I giorni di Antigone, su Amazon). «Molto spesso si arriva alla decisione di separarsi in uno stato di esasperazione per cui si pensa che quella sia l’unica soluzione».

Come si sceglie un avvocato ?

«In genere ci si rivolge a uno che già si conosce o ci è stato segnalato. L’impatto umano è determinante, visto che ci seguirà in uno dei percorsi umani e giudiziari più complessi e dolorosi».

Separazione consensuale o giudiziale?

«Meglio la prima, ma solo se entrambi sono convinti. Se uno dei due la subisce, allora no. Si rischia di richiamare l’avvocato già il giorno dopo la firma».

Due legali o ne basta uno per gestire una separazione?

«Se non c’è conflittualità e si sceglie la consensuale, va bene anche uno. In caso di giudiziale o di separazione mediante la negoziazione assistita, la legge ne prevede due per maggiore tutela delle parti».

Possono fare tutti la negoziazione?

«Sì, è stata introdotta 10 anni fa e accorcia i tempi. I coniugi negoziano gli accordi di separazione con i rispettivi avvocati e tali accordi sono poi sottoposti all’autorità giudiziaria. Il procedimento è un puro passaggio documentale che svolgono i legali: non prevede udienze e comparizione in tribunale della coppia. Ottenuto il nulla osta dell’autorità giudiziaria, l’accordo tra coniugi ha gli stessi effetti di una sentenza».

La mediazione familiare è obbligatoria?

«No, è facoltativa. La Riforma Cartabia prevede che il giudice informi sulla possibilità di ricorrere a un mediatore, ma non accogliere l’invito non determina conseguenze negative. Attraverso l’intervento del mediatore, la coppia viene aiutata a stabilire un nuovo assetto delle relazioni familiari: è quindi funzionale al rapporto genitori-figli».

Uno dei due ha già un altro partner: meglio dirlo al legale?

«Sì. È come parlare con una sorta di confessore: se ci si apre, avremo consigli per evitare danni difficilmente recuperabili».