Il ghiacciaio della Marmolada, la montagna più alta delle Dolomiti, rischia di scomparire nei prossimi 15 anni. Chi oggi è un bambino, insomma, rischia di non poterlo ammirare quando arriverà all’età adulta. Colpa delle emissioni di anidride carbonica, legate al surriscaldamento della Terra e ai gas serra, che negli ultimi 70 anni ne hanno ridotto il volume dell’80%. L’allarme è arrivato dagli esperti veneti, in particolare da Aldino Bondesan, coordinatore delle campagne glaciologiche per il Triveneto, e da Mauro Varotto, responsabile scientifico del Museo di Geografia dell’Università di Padova. Ma l’allarme non è nuovo: «È dagli anni ’80 che osserviamo questo fenomeno, che però negli ultimi anni si è amplificato» conferma Massimo Frezzotti, presidente del Comitato glaciologico Italiano e docente di Scienze geologiche all’Università di Roma 3.
I ghiacciai stanno scomparendo
«Purtroppo l’aumento delle temperature ha già portato alla scomparsa di alcuni ghiacciai italiani, come il Calderone al Gran Sasso, in Abruzzo. Dal 2007 sono rimaste solo due piccole placche di neve, senza zone di accumulo, che portano a non definirlo più ghiacciaio» spiega Frezzotti. «I prossimi a poter essere cancellati sono quelli delle Dolomiti, al di sotto dei 3mila metri di altitudine, che hanno ancora una decina d’anni di sopravvivenza. È una corsa contro il tempo, per ridurre l’uso di combustibili fossili, come raccomandato dalla Conferenza sul clima 2024 di Parigi che ha fissato la data del 2030» aggiunge l’esperto.
Eppure l’allarme finora è rimasto pressoché inascoltato: «Così come esistono i negazionisti del Covid, esistono anche coloro che non credono ai cambiamenti climatici. Ma se il rialzo delle temperature è meno visibile, il ritiro dei ghiacciai è sotto gli occhi di tutti. Basti pensare alla storia della mummia di Otzi, scoperta nel 1991 in Val Senales (alto Adige). Risale a 5.375 anni fa e significa che è rimasta lì intatta, conservata nel ghiaccio, per tutti quegli anni fino allo scioglimento del ghiacciaio nei primi anni ‘90» spiega ancora il docente.
Tutti i ghiacciai italiani sono “malati”
Se in Alto Adige la situazione è grave, non va meglio sulle altre montagne italiane. «La sorte dei ghiacciai di Val d’Aosta e Piemonte non è diversa da quella dei ghiacciai nel resto delle Alpi, fatto salvo per la presenza di massicci montuosi a quote elevate (Monte Bianco 4810 m s.l.m., Monte Rosa 4634 m s.l.m., Gran Paradiso, 4061 m), dove i ghiacciai potranno resistere più a lungo rispetto ad altri settori alpini. Basti un dato: negli ultimi 60 anni la superficie occupata dai ghiacciai è diminuita del 25% in Valle d’Aosta e del 50% in Piemonte e il trend di riduzione è in aumento negli ultimi anni» spiega Marta Chiarle, Ricercatrice del CNR – Istituto di Ricerca per la Protezione Idrogeologica, di Torino e Coordinatrice per le Alpi Occidentali delle campagne del Comitato Glaciologico Italiano (CGI).
Proprio le misurazioni annuali del Comitato sui circa 60 ghiacciai italiani mostrano un ritiro di 10-20 metri all’anno, con punte di centinaia di metri (-335 m al Ghiacciaio del Gran Paradiso nel 2019). «Il dato più preoccupante, tuttavia, è la perdita di spessore: ogni anno viene perso in media 1 metro di spessore di ghiaccio. Questo significa che la risorsa idrica immagazzinata nei ghiacciai va riducendosi drammaticamente di anno in anno: meno acqua dunque per l’agricoltura, per l’energia idroelettrica, ecc.» aggiunge l’esperta.
Tanto per rendere l’idea, il quantitativo di acqua “perso” dai ghiacciai dal 1981 sulle sole Alpi centrali è stato pari a 2mila miliardi di litri di acqua, cioè circa 800mila piscine olimpiche e 4 volte il lago Trasimeno.
Il rischio distacco in Val Ferret
Questa estate gli occhi sono stati puntati sulla Val Ferret, in Val d’Aosta, per il rischio di “cedimento” del ghiacciaio, con conseguente evacuazione di parte della popolazione, sia i primi di agosto sia nei giorni scorsi in occasione del maltempo. «Nel caso del ghiacciaio di Planpincieux in Val Ferret, a preoccupare è la presenza di acqua che circola all’interno del corpo glaciale, che può facilitare il distacco di porzioni di ghiacciaio anche di notevoli dimensioni» spiega Chiarle. Come mai il ghiacciaio non è collassato? «È difficile prevedere con esattezza se, quando e come il fronte glaciale collasserà. Basti pensare che ad inizio agosto, negli stessi giorni in cui la Val Ferret veniva evacuata per motivi precauzionali, a poca distanza in Svizzera la fronte del Ghiacciaio di Turtmann collassava, con una modalità molto simile a quanto ipotizzato per il Ghiacciaio di Planpincieux».
Fondamentale diventa il monitoraggio costante della situazione, anche se in autunno e inverno il rischio dovrebbe diminuire: «Le temperature si abbassano ed è prevedibile una riduzione del movimento. Allo stesso modo, tuttavia, possiamo attenderci una ripresa dell’attività la prossima estate» spiega l’esperta.
Come fermare lo scioglimento?
«Prima adotteremo misure per ridurre i combustibili fossili, responsabili principali dell’innalzamento delle temperature, e prima il processo potrà rallentare e stabilizzarsi, ma occorreranno molti anni perché questo accada. Bisogna investire sul futuro, a partire da piccoli gesti. In casa si possono spegnere le lampadine quando non servono, si possono sostituire gli infissi o scegliere elettrodomestici a basso consumo per ridurre le bollette elettriche e dunque il dispendio energetico, oppure si può puntare su mezzi di trasporto ecologici, a basse emissioni. Dobbiamo pensare che lasceremo un debito climatico ai nostri figli e nipoti, al pari di quello economico, ed è bene che sia il più basso possibile» conclude Frezzotti.