Il 21 marzo , primo giorno di primavera, si celebra la Giornata mondiale della poesia . Indetta dall’UNESCO più di quindici anni fa, questa ricorrenza sta diventando sempre più importante, nonostante la crisi del settore. L’ultima stima disponibile parla di un calo di circa il 7% delle raccolte poetiche pubblicate in un anno, che comunque rappresentano una percentuale minima della produzione totale.
Meno libri di poesia sugli scaffali delle librerie, meno lettori, ma c’è la rete. Si è creato un mercato parallelo dei versi, che circolano liberamente sul web, sono condivisi sulle bacheche di Facebook, twittati, instagrammati, il che spiega l’interesse sempre maggiore verso questa festa, che celebriamo con dieci grandi poetesse e i loro componimenti più curiosi, stimolanti, romantici.
Da due italiane molto diverse tra loro, quali Patrizia Valduga e Maria Luisa Spaziani , al Premio Nobel Wisława Szymborska . Da una scrittrice di fama come Erica Jong , che ha esordito negli anni Settanta con una raccolta di poesie, a un’altra star del settore, Alda Merini . Non potevano mancare icone quali Saffo e Sylvia Plath o rappresentanti della “bibliodiversità”, provenienti da culture meno note, come la tibetana Tsering Woeser , la palestinese Fadwa Tuqan e l’irachena Nazek al-Malaika .
Queste intellettuali, che nelle foto o nei ritratti hanno una bellezza non convenzionale, non si sono accontentate di parlare di cuore e amore, ma si sono occupate della condizione femminile, delle guerre, della libertà d’espressione. Ci sono anche i sentimenti, certo. Dal colpo di fulmine alla voglia di castità dopo una relazione andata male. Dall’impeto della passione amorosa alle infatuazioni no gender, senza distinzione di genere.
La poesia è molto più accessibile e contemporanea di quanto si creda, come potremmo scoprire in uno dei tanti reading che si terranno in tutta Italia il 21 marzo. Consapevoli che non dobbiamo impararle a memoria, come ci costringevano a fare a scuola, ma viverle più di “pancia”. «Non cercate di prendere i poeti, perché vi scapperanno tra le dita », diceva la Merini.
“Mangerete polvere,
cercherete d’impazzire
e non ci riuscirete,
avrete sempre il filo
della ragione che vi
taglierà in due.
Ma da queste profonde
ferite usciranno
farfalle libere.”
La poesia è anche consolazione. Credere che dalle ferite profonde possano uscire farfalle è uno dei grandi insegnamenti che ci ha lasciato Alda Merini (Milano, 1931 – 2009). Nella sua abitazione sui Navigli, divenuta una Casa Museo, la poetessa accoglieva chiunque, regalava versi, scriveva numeri di telefono sui muri, con una generosità che hanno solo i grandi Artisti. Di lei si ricordano i frequenti ricoveri negli ospedali psichiatrici, ma il confine tra la “normalità” e la “follia” è labile, in particolare per chi scrive a questi livelli, e le ha ispirato molti versi.
Dedicava spesso le sue poesie ai medici che la curavano. Ha pubblicato talmente tanto che è impossibile quantificarlo. È considerata una specie di musa dalle star dello spettacolo, che la citano e la copiano.
“Sei giunta: hai fatto bene: io ti bramavo. All’animo mio, che brucia di passione, hai dato refrigerio… Non ti chiedo di amarmi ma solo di lasciarti amare.”
Poetessa greca vissuta tra il VII e il VI secolo a.C., Saffo , di famiglia aristocratica, nata nell’isola di Lesbo, non ha mai avuto paura di mettere in versi l’amore no gender, senza genere. In molti componimenti l’autrice parla di infatuazioni per personaggi femminili, da cui “amore saffico” per intendere quello lesbico, anche derivante dal luogo in cui ha vissuto, ma le descrizioni di rapporti fisici tra donne sono rare.
La leggenda dice che Saffo abbia raggiunto la tarda età, cosa non scontata all’epoca, e che si sia buttata dalla rupe per il sentimento non corrisposto nei confronti di un giovane battelliere. Le poche immagini la ritraggono con un taccuino in mano e una bellezza che spiegherebbe i turbamenti che causava e che, in parte, subiva.
“Sono entrambi convinti
che un sentimento improvviso li unì.
È bella una tale certezza
ma l’incertezza è più bella.
Non conoscendosi prima, credono
che non sia mai successo nulla fra loro.
Ma che ne pensano le strade, le scale, i corridoi
dove da molto tempo potevano incrociarsi?”
Letta in televisione da Roberto Saviano nella trasmissione di Fabio Fazio, con conseguente record di vendite. Citata nei suoi concerti da una popstar come Luca Carboni. Venerata dagli intellettuali. Premiata con il Nobel. Più passa il tempo, più Wisława Szymborska , poetessa polacca, scomparsa nel 2012, diventa un’icona. Interprete della società moderna, la Szymborska univa nelle sue poesie i sentimenti e la biologia, la “pancia” alla denuncia della crisi economica, le metafore ardite a oggetti d’uso quotidiano: le “cianfrusaglie”, che non si vergognava di collezionare.
Andrebbe tenuta sempre sul comodino, sia quando parla di Amore a prima vista , come in questi versi, sia quando racconta il mondo in cui viviamo, salvato dalla Gioia di scrivere , titolo di una sua raccolta, pubblicata da Adelphi, e dalla bellezza dei suoi versi.
“Morire / È un’arte, come qualsiasi altra cosa. / Io lo faccio in un modo eccezionale / Io lo faccio che sembra un inferno / Io lo faccio che sembra reale. / Ammetterete che ho la vocazione.”
Come si fa a vivere sapendo che si ha la vocazione per la morte? Sylvia Plath , nata a Boston nel 1932, suicidatasi a Londra nel 1963, aveva sempre saputo come sarebbe andata a finire, ma non ha mai smesso di regalarci la sua Arte. Ha composto la sua prima poesia a otto anni. Ha sposato un poeta inglese, che l’ha lasciata dopo un aborto e l’ha tradita. Ha fatto due figli. Ha vissuto l’ultimo periodo della sua vita nella casa londinese di un’altra star del genere, il poeta irlandese William Butler Yeats .
È stata felice, ogni tanto, in particolare un’estate newyorkese, in cui lavorò per un femminile. Prima di morire, ha scritto l’ultima poesia, ha preparato due bicchieri di latte per i bambini e ha messo la testa nel forno. «La scrittura resta: va sola per il mondo!», diceva.
“L’invidia del pene… Scherziamo? Per me sarebbe inutile e decisamente ingombrante.”
Figlia di un ricco industriale torinese, Maria Luisa Spaziani (Torino, 1922 – Roma, 2014) capisce fin da ragazza che le parole, in tutte le forme, dalle poesie ai suoi famosi aforismi, sarebbero state la sua vita. Candidata tre volte al Premio Nobel, amante di Eugenio Montale, che la chiamava la “Volpe”, la Spaziani aveva uno stile caustico, che oggi spopolerebbe sui social.
Capace di versi classici del tipo: Sarebbe, il mondo, un fresco castagneto / se tutto mi guardasse coi tuoi occhi , la poetessa, tra le più prolifiche della Storia italiana, dava il meglio di sé quando prendeva in giro la “guerra dei sessi” con le sue massime che facevano ridere e riflettere allo stesso tempo. Un’altra sua frase celebre dice: “Gli uomini indispensabili sono insopportabili”. 91 anni di componimenti poetici, racconti, scritti autobiografici, saggi su Proust, opere teatrali e traduzioni per una donna che dovrebbe essere un modello per le nuove generazioni.
“Sono morti in piedi,
illuminando il cammino scintillanti come stelle,
baciando le labbra della vita.
Si sono alzati di fronte alla morte
Poi sono scomparsi come il sole.”
Se cresci in una “polveriera”, difficilmente potresti occuparti solo di cuore e amore. Fadwa Tuqan , nata a Nablus nel 1917, scomparsa nel 2013, studi letterari a Oxford, è una delle poche poetesse palestinesi di fama internazionale. Inevitabile che le sue opere fotografino un conflitto, quello con gli israeliani, ancora irrisolto.
I versi citati qui sono tratti da I martiri dell’Intifada e denunciano la sofferenza del suo popolo, e di tutti i paesi in guerra, più di mille proclami politici. La donna che ha dato voce alla Palestina aveva un viso bello, sempre sorridente, pronta a denunciare la condizione femminile nel mondo arabo, oltre tutte le altre difficoltà. Il suo sogno era avere “un attimo di silenzio e quiete”, come ha scritto in un’altra opera: Non parlarmi di cose del passato e del futuro / non parlarmi di ieri e non andare / all’indomani .
“Ero stufa d’esser donna,
stufa del dolore,
dell’irrilevante dettaglio del sesso,
la mia concavità
inutilmente affamata
e più vuota ogni volta che era piena,
e riempita infine
del suo stesso vuoto,
cercando il giardino della solitudine
anziché gli uomini.”
Scrittrice di fama mondiale, autrice del longseller Paura di volare , che ha formato generazioni di donne, Erica Jong ha esordito negli anni Settanta con una raccolta di poesie. Nata a New York nel ’42, bella, brava e sofisticata, quest’icona della letteratura contemporanea ha sempre affrontato di petto la questione “uomini”, spaziando nelle sue opere dal desiderio sessuale – la famosa “scopata senza cerniera” – alla vita matrimoniale, dal femminismo al rapporto, nel suo caso un po’ burrascoso, con i figli.
In questi versi, che restituiscono la sua vena romantica, l’autrice racconta quella voglia di castità e solitudine che nasce dopo una delusione sentimentale. Il desiderio di dormire da soli, invece di buttarsi nell’ennesima relazione sbagliata. Fare “tabula rasa”, in attesa di nuove emozioni.
Un foglio di carta può diventare un coltello
– anche piuttosto affilato.
Stavo soltanto voltando la pagina
quando l’anulare della mano destra mi si è tagliato sulla nocca.
Nonostante fosse piccola, la ferita ha iniziato a sanguinare.
Un filo sottile come la seta, e pungeva un po’.
Sorprendente trasformazione,
dalla carta al coltello:
ci dev’essere stato un errore o
qualche tipo di svolta.
Un normale foglio di carta… un brivido di paura.
Tibetana, classe ‘66, poetessa, attivista, blogger, Tsering Woeser non è molto conosciuta in Italia. Rifugiatasi a Pechino per motivi politici, l’autrice ha una laurea in letteratura cinese e scrive in quella lingua, il che rende più complesse le sue traduzioni, ma le sue poesie in inglese fanno il giro della rete, soprattutto tra i lettori più giovani.
Famiglia di militari, sposata a uno scrittore, la Woeser mette al centro della sua poetica le condizioni di oppressione in cui vive il suo popolo, contro ogni regime. La carta diventa un coltello affilato, le parole mettono in pericolo, in certe parti del mondo, ma le cose possono cambiare, anche raccontandole. È una delle intellettuali più famose a livello internazionale, vincitrice di numerosi premi al femminile.
“Arrabbiati, ti amo arrabbiato e ribelle,
rivoluzione cocente, esplosione.
Ho odiato il fuoco che dorme in te, sii di brace
diventa una vena appassionata, che grida e s’infuria.
…
Arrabbiati, abbandona la dolcezza, non amo ciò che è dolce
il fuoco è il mio patto, non l’inerzia o la tregua con il tempo
non riesco più ad accettare la serietà e i suoi toni gravi e tranquilli.”
Nata a Baghdad nel 1923, scomparsa al Cairo nel 2007, studi in America, Nazek al-Malaika è la regina della poesia irachena. Figlia di poeti, studi letterari, nonostante le condizioni vantaggiose di partenza l’autrice ha passato la vita a fuggire dalle persecuzioni politiche, trascorrendo la parte finale della sua esistenza in Egitto. Eppure, l’amore, la realizzazione in quanto donna, i sentimenti restano al centro della sua poetica, famosa per il “verso libero”.
La poetessa irachena è stata la prima a cambiare le regole metriche, un po’ troppo rigide per i tempi moderni, e a fare a meno delle rime, tendenze oggi più che mai attuali. La sua è una poesia urbana, che è stata scritta nelle varie fughe in giro per il mondo, ma avrebbe potuto essere composta a New York o a Parigi. “Il fuoco è il mio piatto” è una frase da tenere a mente, twittare, mettere in pratica.