Scrivere di giovani e di gioventù vuol dire parlare della direzione che il mondo sta prendendo. Considerazione banale, forse, perché potrebbe valere esattamente per ogni epoca storica, ma in realtà mai come oggi sono i 20enni a dare forma e senso al mondo.
Premesso che scriverò dei giovani in maniera migliore quando non lo sarò più, sono convinto che uno degli errori più ricorrenti sia credere che esista in un dato momento una determinata fascia d’età che possa definirsi tale. La gioventù non è solo una questione anagrafica, perché dipende dall’esperienza di vita che la persona sta vivendo. La condizione del giovane – e in questo devo ringraziare la lettura di Goethe – è quella dell’incertezza, della precarietà. In I dolori del giovane Werther il protagonista, Werther, è giovane perché vive una situazione di questo tipo: è incerto, è indeterminato. Essere giovane vuol dire essere in quella fase dove prevale più quello che potrebbe essere, rispetto a quello che è nel qui e ora.
Si tratta di un momento in cui il passato è ancora poco invadente, ma a essere più pesante è l’ansia per il futuro, la sensazione di non averne dominio né un minimo controllo. Per questo la gioventù è una fase di affannosa ricerca di riduzione di quella sensazione d’incertezza. Si dice che un obiettivo nobile sia quello di rimanere giovani per tutta la vita, ma in realtà nel momento in cui lo siamo facciamo di tutto per non esserlo più, il prima possibile. Speriamo affannosamente di dare certezze, solidità, decisioni stabili e irrevocabili. Se adottiamo questa prospettiva definitoria dei giovani, si scopre che forse oggi in Italia essere giovani è una condizione più diffusa di ieri, nonostante l’età media continui ad alzarsi.
Se essere giovani vuol dire vivere nell’incertezza, il discorso oggi è ancora più valido. Il mondo intero vive in un fragile equilibrio nell’era della pandemia e sarebbe strano se il segmento più disequilibrato fra tutti non patisse ancora di più questa situazione emotiva e psicologica. Il mantra del distanziamento ha costretto chiunque a vivere in maniera diversa, ma sono i giovani ad averne subito le peggiori conseguenze, perché a 20 anni il distanziamento dei corpi e delle anime sembra quasi una punizione divina. Abbiamo cercato nuovi modi di comunicare, nuovi modi per sentirci vicini. Durante il lockdown di marzo, per esempio, facevo allenamento in casa in videochiamata con i miei amici. Ogni giorno, alla stessa ora. Era un modo per non patire la solitudine.
Se dovessi descrivere la mia generazione, direi che è quella del disincanto e della disillusione. I nostri genitori sono quelli che per primi hanno divorziato e per questo abbiamo toccato con mano quanto il mito della famiglia fosse ormai crollato. Dal punto di vista sociale fu uno scossone totale ed epocale. Soprattutto nel nostro Paese, in cui la famiglia era l’obiettivo ultimo. Addirittura, per molto tempo quella situazione d’incertezza della gioventù veniva saltata a piedi pari: siamo i figli e i nipoti di coloro che si sono sposati da 20enni e che non ci hanno nemmeno provato a essere giovani.
Oggi, invece, quest’incertezza la viviamo pienamente perché il concetto di famiglia ha mostrato le sue debolezze, i suoi limiti e le sue ipocrisie. Siamo ancora attratti da quella bellissima idealizzazione alla Mulino Bianco così rassicurante, ma nel nostro inconscio ci crediamo molto meno di quanto alla nostra età non lo facessero i nostri genitori. Immaginate di programmare di fare una famiglia oggi, con tutto quello che sta succedendo. Non so se il Covid influenzerà anche la nostra ‘’ricerca della famiglia’’ sul lungo periodo, forse aumenterà soltanto la frustrazione nel non poter realizzare quel mito.
«Il mondo intero vive in un fragile equilibrio e sono i giovani a subirne le conseguenze psicologiche ed emotive peggiori. Ma credo che questa incertezza possa essere un grande stimolo per costruire il nostro futuro»
Un’altra caratteristica dell’essere giovane è quella di essere più povero del proprio padre. La nostra è la generazione italiana più povera dal Secondo Dopoguerra. Viviamo in un Paese dove la ricchezza è tutta concentrata nelle mani degli over 50. Credo che quest’incertezza sia una grande fonte, nel bene e nel male. Può essere sia lo spunto per la più profonda disperazione, sia uno stimolo per creare qualcosa. Solo da questa consapevolezza un giovane può costruire un futuro brillante. Quando ho capito che nessuno mi avrebbe dato nulla ho iniziato a investire tutte le energie per realizzare progetti, scrivere libri, lavorare nella musica.
Oggi essere giovani è più difficile che mai, ma anche più affascinante. Ieri la vita assomigliava più a un percorso standard, oggi devi darti da fare tu per creare nuove strade. Questo non vale solo per la vita professionale, ma un po’ in tutti i campi, dalle relazioni di coppia alla comunicazione. Il Terzo Millennio è il tempo di un’incertezza di cui quest’ultimo anno è stato l’apice. Un giovane oggi deve essere in grado di sfruttarla e porre questo infinito universo liquido a suo favore.
Lo diceva anche Lorenzo il Magnifico: giovinezza è incertezza. Tutto sta nel non morire nell’incertezza, come nel doloroso epilogo del giovane Werther. E nel non inseguire inutilmente miti di un passato che è crollato davanti ai nostri occhi e a cui la pandemia ha dato il colpo di grazia.
Antonio Dikele Distefano, autore di questo articolo
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