«Cosa cambieresti della società in cui vivi?». Ha inizio da questa semplice – e al tempo stesso complicatissima – domanda il Manifesto del cambiamento. Da un interrogativo che il cantautore Giovanni Caccamo ha lanciato ai giovani italiani su suggerimento di Andrea Camilleri, trovandosi poi come investito dalla forza elastica contraria di migliaia di ragazzi e ragazze. Che, «reduci da un lungo periodo di apnea», hanno deciso di riprendere fiato per parlare del futuro. Tramite le loro Parole del cambiamento, come le tre che riportiamo qui.

La premessa: «Siate persone che cambiano il modo di cambiare»

È Papa Francesco a firmare la prefazione del Manifesto del cambiamento, intitolata Lettera ai giovani. Il Pontefice parte da una constatazione che ci riguarda tutti, noi che nutriamo «una grande paura del cambiamento perché non sappiamo tollerare l’incertezza». Se è vero che si parla troppo spesso e superficialmente della necessità di “cambiare il mondo”, è altresì vero che allora si apre per noi una sfida ancor più importante. Quella che Papa Francesco lancia con un’esortazione semplice ma fortissima: «Siate persone che cambiano il modo di cambiare». Noi, chiamati a scavare parole dentro la nostra esperienza «per esprimere il desiderio di un mondo nuovo».

Ma “dire” a volte non basta: bisogna anche “fare”. «Le parole che condividerete tra voi creino legami, capaci di esprimere le vostre idee e i vostri sentimenti, ma anche di spingervi all’azione, all’impegno, alla lotta», continua il Pontefice nella prefazione. E alle sue parole fa eco, in chiusura del volume, il vero e proprio Manifesto del cambiamento. Dodici valori in cui le nuove generazioni si riconoscono e molte più proposte concrete che possano aiutare la società del futuro. L’elenco è scaturito dall’Agorà del cambiamento, una riflessione collettiva che lo scorso anno ha coinvolto quindici giovani nei Musei Vaticani. Si conclude con tre puntini di sospensione, perché «non è una visione granitica, ma solo un punto di partenza».

L’appello di Camilleri e l’album Parola

Tre anni fa, di fronte all’ennesimo foglio bianco, Giovanni Caccamo si è posto una domanda: in che modo la mia arte può trasformarsi in luce per me e per gli altri? «Tutto è partito da un appello di Andrea Camilleri che, preoccupato per il futuro, chiedeva ai giovani di far partire un nuovo Umanesimo. Ho deciso quindi di raccogliere questo appello creando il disco Parola, le cui canzoni sono ispirate a testi di letteratura», ci ha raccontato il cantautore. Ogni canzone dell’album è impreziosita da un’introduzione parlata, dalla lettura di un testo d’autore recitato da voci d’eccezione. Eppure, Caccamo sentiva che mancava ancora qualcosa.

Il Manifesto del cambiamento e il ruolo dei giovani

«Cresceva in me la consapevolezza che non fosse sufficiente la mia risposta all’appello di Camilleri per far partire un nuovo Umanesimo: serviva piuttosto quella corale di migliaia di giovani. Ed è per questo che ho lanciato il concorso di idee Parola ai giovani, per la redazione di questo Manifesto del cambiamento. A tutti gli italiani sotto i 35 anni (sia studenti che lavoratori) ho chiesto: cosa cambieresti della società in cui vivi e in che modo? Qual è la tua parola di cambiamento? Hanno risposto in migliaia attraverso tavole rotonde in università, carceri e centri di accoglienza, restituendo in saggi la loro visione di futuro, a partire dal proprio vissuto».

I contributi arrivati a Giovanni sono tantissimi; tutti restituiscono un quadro comune. «La situazione dei giovani che ho riscontrato è stata sorprendentemente disarmante: ho trovato tantissimi giovani con i sogni spenti, schiacciati dal peso della pandemia, della crisi, delle guerre. Il benessere si è paradossalmente trasformato in una sorta di inibitore di sogni e ambizioni. Allora mi sono detto: devo riuscire a creare un volume di orientamento emotivo che possa riaccendere qualsiasi giovane si trovi in un momento di disorientamento o impasse. Da qui nasce il Manifesto del cambiamento».

La parola di Remon Karam: “Accoglienza”

È arrivato in Sicilia dall’Egitto a quattordici anni, a bordo in un barcone; con sé solo una fotografia di suo fratello. La parola di cambiamento di Remon è “accoglienza”. Che «non è solo l’apertura di un porto, non è gettare le persone nei centri per immigrati. Accogliere è donare amore, rispetto, accettazione e soprattutto ascolto». Dietro la sua parola c’è la storia di un viaggio e di un arrivo: l’inclusione in Italia.

La parola di Rajae Bezzaz: “Innocenza”

Rajae è un’attivista e reporter televisiva italiana di origini marocchine. Come parola di cambiamento ha scelto “innocenza”, che nel Manifesto definisce come «la purezza dello sguardo incantato di un bambino». Ripercorrendo la sua infanzia, Bezzaz invita a riscoprire e mai dimenticare quello stupore, concludendo così il suo saggio: «Quando c’è una meta, anche il deserto diventa strada, crescerai e diventerai una donna, ma tu promettimi che lotterai per mantenere la tua innocenza».

La parola di Agnese Di Lorenzo: “Senticéto”

Filosofia è ciò che studia Agnese Di Lorenzo, all’Università di Bologna. La sua parola di cambiamento è “Senticéto”, un termine latino che significa “groviglio di passioni” e che deriva da “sentix”, cioè rovo. «L’ultima vocale ci costringe con gioia a mettere la bocca in posizione di meraviglia», scrive nel Manifesto. Per Agnese il cambiamento nasce quando ci chiediamo: cosa ci fa battere il cuore? Un groviglio da indagare nonostante il dolore e la complessità.

Il Muro del cambiamento

Manifesto del cambiamento
Il Muro del cambiamento presso il MAXXI di Roma. Foto di Niko Coniglio

La sintesi di tutto il progetto (supportato da Banca Ifis, Pulsee Luce e Gas e Alessia Zanelli) prende il nome di Muro del cambiamento e ha la forma di un ledwall bianco che raccoglie le parole del cambiamento. Sono state esattamente 2736 quelle proiettate a Palazzo Vecchio, a Firenze. Tra le altre si leggono “concordia” e “identità”, ma anche “尊重”, che in cinese significa “rispetto”, e “colaboração”, la parola portoghese che indica la collaborazione. In realtà sono molte di più le lingue che compongono il Muro del cambiamento: giapponese, spagnolo, arabo, persiano, ucraino. Del resto, l’installazione artistica itinerante ideata dallo stesso Caccamo è il collante di diverse culture, religioni e identità, unite dalla visione di un futuro in condivisione.

«Il Muro del cambiamento è un muro per abbattere tutti i muri, un muro di pace e di dialogo costruttivo. Si tratta di un’opera installativa ispirata al Muro del Pianto, in cui si allarga la platea di anime che partecipano al progetto. Non più quindi solo giovani under 35, ma tutti», ci ha spiegato Giovanni Caccamo. Chiunque infatti può interagire con il muro: è sufficiente collegarsi al sito murodelcambiamento.it e digitare la propria parola di cambiamento, che verrà visualizzata istantaneamente sullo schermo. «Il muro – continua il cantautore – è partito dal MAXXI di Roma, è arrivato a Palazzo Vecchio a Firenze, è transitato per le quattro sedi di Gallerie d’Italia e adesso si trova al Teatro Goldoni di Livorno. Dal 20 al 26 novembre sarà invece ai Musei Vaticani a Roma e al Museo del Novecento a Milano, per poi concludere il suo viaggio al MUSMA di Matera». Un viaggio tanto fisico quanto simbolico, tra i meandri di un futuro (quasi) tutto da scrivere.