Archiviata l’era del regalo alle maestre, la chiamata alle armi contro i pidocchi e la raccolta soldi per il compleanno di turno, arrivi alle superiori e pensi che il gruppo Whatsapp dei genitori diventi un utile strumento “di servizio” per comunicazioni sulle riunioni, report sulle scadenze, remind dei colloqui con i docenti. Utilissimo – immagini – soprattutto a te che, pur digitalmente evoluta, non ti colleghi al registro elettronico proprio con la stessa frequenza con cui guardi la mail di lavoro. Quindi, sollevata e confortata, ti consegni al gruppo classe quasi come a una solida alleanza tra pari, una sponda concreta, fiduciosa che qui valga il tacito patto “astenersi perditempo”. Anche perché, più i figli crescono, più il tempo diminuisce e la vita si ingarbuglia.
Il patto implicito tra 50enni, però, comincia a incrinarsi a Natale di fronte al trionfo di canzoncine, foto, emoticon a cui ti senti quasi in colpa di non rispondere. Piccole crepe che aprono una voragine di fronte alla gita di classe quando tu, che già pregusti quei giorni più leggeri senza il peso di una figlia – almeno una – da scorrazzare in auto e sfamare a chili di verdure, ti ritrovi esterrefatta col cellulare bollente in mano, pesante di fotografie di Pompei ed Ercolano, geolocalizzazioni, bollettini meteo e relazioni in tempo reale sulle attività svolte. Ma come? Non avevi mandato la ragazzina in gita con la scuola? Non ci sono i professori a occuparsi della classe? E invece no. Invece, grazie alla solerte rappresentante desiderosa di “condividere i bei momenti”, ti ritrovi catapultata ai piedi del Vesuvio a calcolare spostamenti pullman-treno, scorrere foto gioiose e stupirti che ci sia il sole quando doveva piovere.
Ovvio, puoi non guardare i messaggi e mettere il silenziatore. Ignorarli e fare finta di non esserci. Peccato che poi, in mezzo a quelle notifiche inutili, spuntino anche messaggi importanti di altri contatti, risposte che aspettavi, conferme di appuntamenti. Quindi ti costringi a guardare. E mentre scorri, pensi con il magone ai ragazzi e ai professori. Pensi a quei momenti tutti loro, che hanno una magia speciale. Già, se sapessero? Se sapessero che la capitana del gruppo Whatsapp si è improvvisata detective, complice la tecnologia digitale e la povera figlia martellata di messaggi e telefonate? Se i figli sapessero che i genitori non si perdono un momento della loro evasione dalla routine? Se sapessero che i loro adulti di riferimento non sono più capaci di immaginare un futuro ma sono già ripiegati sui loro 16 anni di un’era geologica precedente, impastati nella nostalgia e nel rimpianto?
E penso anche ai professori, gli eroici docenti sottopagati che, di questi tempi, ti portano i ragazzi quattro giorni fuori, sobbarcandosi il rischio di pullman malsicuri e nottate sui davanzali degli hotel, in bilico tra qualche bicchiere di troppo e una sigaretta più forte. Se i docenti sapessero di essere dentro a una specie di reality, se vedessero i bollettini inviati ora su ora, gli aggiornamenti in tempo reale sugli scavi archeologici chiusi e quelli aperti, il menu del ristorante? Se lo scoprissero, forse per prima cosa toglierebbero i cellulari agli studenti. Poi toglierebbero il saluto ai genitori. E infine rimanderebbero i figli a casa loro, da cui davvero forse è meglio non se ne vadano. Anzi, da cui comunque non saranno mai capaci di andarsene.