Si allunga la vita media, ma si allunga anche la lista delle medicine che si prendono in media ogni giorno, specie se si è over 65. Secondo uno studio realizzato in collaborazione dall’Istituto di Ricerche farmacologiche Mario Negri e dal Policlinico di Milano, in Italia ci sono sei milioni di anziani che prendono ogni giorno da 10 a 15 pillole. Sono così tante che nella maggior parte dei casi occorrono appositi dispenser settimanali: tra il lunedì e la domenica successiva si arriva a mandar giù un centinaio tra pillole e pasticche.
Il fenomeno è stato registrato prima negli Stati Uniti, dove è stato battezzato polypharmacy, poi è arrivato in Italia, dove ormai è diffuso, tanto che 7 persone su 10 che assumono tanti medicinali sono ultrasessantenni. Ma quali sono gli effetti?
Tante medicine per tanti acciacchi
Secondo un rapporto del Lown Institute, specializzato in temi che riguardano la salute, negli Usa il 42% degli over 65 assume almeno 5 farmaci al giorno e quasi il 20% ne assume 10 o anche di più. Si tratta di persone che spesso uniscono più patologie, come problemi cardiocircolatori e osteoporosi, spesso legate all’età. Per questo rientrano nella categoria di coloro che soffrono di polimorbidità e che, nel giro di 20 anni, sono cresciuti: se nel 1994 rappresentavano il 14%, nel 2014 erano passati al 45%.
Manca la visione d’insieme
Se da un lato è vero che è migliorata l’accuratezza delle diagnosi e dunque anche delle cure per le diverse patologie, non va dimenticato che proprio le terapie per le malattie croniche si fondano nella maggior parte dei casi sull’assunzione di medicinali. Se le patologie sono più di una, ecco che il soggetto si troverà a ingerire diverse pillole: l’aspirina cardio per il cuore, la pastiglia per la pressione o il diabete, le statine per il colesterolo, gli antidolorifici per i problemi articolari, ecc.
Ma esiste anche un altro motivo: spesso i medici specialisti non si parlano tra loro e non sempre il paziente riferisce di essere in cura anche per patologie differenti da quelle per le quali si rivolge al singolo specialista.
«Uno dei problemi è proprio questo: manca una visione unitaria perché spesso le prescrizioni sono effettuate da specialisti diversi, senza che ci sia una sintesi finale. Teoricamente questa spetterebbe al medico di medicina generale, ma mi rendo conto che implica conoscenze di geriatria e farmacologia a volte molto approfondite. Il rischio concreto, però, è di andare incontro a effetti avversi dovuti all’interazione tra farmaci differenti» spiega Raffaele Antinelli Incalzi, presidente della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria e docente di Geriatria presso l’Università Campus Biomedico di Roma.
Gli effetti collaterali
Oltre a rappresentare un costo per gli utenti o per la sanità pubblica, infatti, tutti questi farmaci possono creare anche problemi di salute diversi rispetto a quelli che dovrebbero curare, insomma effetti collaterali. Secondo diversi studi, la polypharmacy o politerapia porta nel 43% dei casi a prurito a livello della pelle o dolori, nel 14% possono presentarsi disturbi intestinali, nel 37% un più generico senso di affaticamento generale.
La perdita di efficacia delle terapie
«Gli effetti avversi possono essere innumerevoli e vanno dalla accentuazione o perdita di efficacia della terapia, per interazioni tra farmaci differenti che agiscono di più o di meno di quanto dovrebbero, fino a reazioni varie: possono essere cutanee, come il prurito, quindi sotto forma di classiche reazioni allergiche; oppure si può avere un malessere, come la perdita dell’equilibrio o una reazione cardiovascolare o gastrointestinale, per esempio con nausea, vomito o diarrea. Non mancano conseguenze nutrizionali come la riduzione o il mancato assorbimento di determinati nutrienti, senza trascurare eventuali ripercussioni a livello osseo, con una maggiore incidenza di osteoporosi» chiarisce l’esperto geriatra.
Il rischio di finire in ospedale
Oltre al danno, poi, potrebbe esserci la beffa di un maggior rischio di ospedalizzazione. Uno studio statunitense ha preso in esame i ricoveri di pazienti con cancro alla prostata in trattamento chemioterapico. È emerso che chi assumeva più di 5 medicinali rischiava di finire in ospedale più di chi ne prendeva un numero inferiore e in particolare la probabilità era del 42% in più in chi usava tra i cinque e i nove farmaci; del 75% in più in chi arrivava a 10/14 farmaci al giorno e persino del 114% in più in chi superava i 15 medicinali quotidiani.
«È un rischio reale anche se non si possono spiegare tutte le ospedalizzazioni solo riferendosi al numero di farmaci, perché questo riflette le patologie di cui si soffre, che a loro volta accrescono il rischio di ricovero. Ma non c’è dubbio che una quota di ammissioni in ospedale è legata agli effetti avversi dei medicinali. Per esempio, tra le cause più frequenti ci sono le ipoglicemie da farmaci in soggetti diabetici oppure le sincopi in soggetti ipertesi a causa delle terapie seguite o ancora effetti avversi neurologici per cure che agiscono sul sistema nervoso centrale» conferma Antinelli Incalzi.
Il rifiuto dei farmaci
Non ultima delle conseguenze, si potrebbe andare incontro al rifiuto dei farmaci stessi, quando si perde la voglia di continuare ad assumere medicinali o ci si preoccupa delle possibili conseguenze per l’organismo. In qualche caso ci si limita a togliere un farmaco, ma potrebbe capitare di eliminare quello più indispensabile per la salute. «A volte accade perché al paziente non è spiegato quanto sia importante assumere i farmaci, in altri casi invece non si specifica la durata del trattamento oppure perché il paziente mette in rapporto un fastidio o un fatto sgradevole con l’assunzione del farmaco. Un classico esempio sono i diuretici dati in caso di scompenso cardiaco: costringendo ad andare spesso in bagno, risultano fastidiosi per le persone, specie se assunti nel pomeriggio o sera – spiega il geriatra.
Valutare se il paziente è in grado di gestire le terapie
Per questo è necessario, nei casi di politerapia, arrivare a una sintesi, valutare le terapie in base alle reali esigenze del singolo paziente, andando al “ribasso”, cioè scegliendo solo i farmaci necessari al benessere del paziente. Nella valutazione, che andrebbe fatta dal medico di base sentendo gli specialisti, occorre anche tenere presente la capacità del paziente di assumere farmaci, per esempio in caso di problemi cognitivi, di deficit della vista o della sua destrezza manuale, che potrebbero condizionare la validità della terapia» conclude l’esperto.