A furia di maratone televisive sulla formazione del nuovo governo, ne avrete già abbastanza. Anche perché, non potendo parlare di programmi, ci restano solo le biografie, le interpretazioni, i numeri. Alla fine, nella squadra di governo ci sono 8 donne e 15 uomini. «Parecchio meno che in natura, ancora una volta», scrive Concita Di Gregorio. «La conferma che tutto in Italia può cambiare, salvo la tenace difesa della quota maschile nei luoghi di potere», commenta Chiara Saraceno. «Anche questa volta, all’equilibrio di genere ci pensiamo la prossima volta», dice Francesca Scianchi. E poi il controcanto: «Non credo sia la parità di numero a favorire le donne, ma la loro eccellenza quando c’è: e scusate l’affronto, ma non basta essere donna per essere meglio» chiosa Natalia Aspesi.
Non so quando, ma il dibattito sulla parità a un certo punto ci ha portato fuori strada. E ci si è rivoltato contro. Per compensare lo squilibrio nella squadra dei ministri, nei prossimi giorni assisteremo alla forzatura di nomine femminili tra i sottosegretari, con la conseguente penalizzazione di competenze. E ancora una volta «la crociata per la partecipazione sarà considerata concorrenza e questo è pericoloso». Scriveva così Margaret Mead, nel 1949. La grande antropologa è ricordata per i suoi studi presso le popolazioni primitive della Nuova Guinea, con le quali ha svelato che i ruoli sessuali, ovvero i compiti che ogni società assegna ai maschi e alle femmine, non dipendono dalla biologia bensì dalla cultura. Mi torna in mente in questo momento, perché aveva un modo di porre la questione di genere che nel dibattito viene erroneamente data per scontata.
Mead era un’appassionata indagatrice della diversità: «Dato che i corpi sono fatti per svolgere due ruoli complementari nella perpetuazione della specie, quali differenze di capacità, sensibilità e vulnerabilità ne derivano?» si chiedeva. Lei riteneva che lo studio di tali differenze non fornisse mai lo spunto per utilizzarle in modo costruttivo, ma piuttosto per trovare il sistema per eliminarle. Come lenti e apparecchi acustici per non vedenti e non udenti. «Le differenze tra i sessi non hanno invece un valore prezioso? Non sono una risorsa della nostra natura umana che nessuno ha ancora cominciato a sfruttare appieno?» si chiedeva. Per poi concludere: «Le donne vedono il mondo in maniera diversa dagli uomini, aiutando così l’umanità ad avere una visione più completa di se stessa. Arricchiremo la nostra società solo quando riusciremo a persuaderci che è importante utilizzare le capacità femminili e accumunare nei vantaggi che ne derivano uomini e donne».
Non è ancora questo il momento. La donna come possibilità di variazione non è contemplata dai politici italiani, nonostante il conclamato successo nella gestione della pandemia nei Paesi in cui erano alla guida. Siamo solo una delle tante variabili da tenere in conto nel grande Manuale Cencelli della politica. Un’altra condizione da soddisfare nel complesso algoritmo dell’assegnazione di poltrone. Forse finché parleremo di numeri, invece che di persone, di idee, di visioni, continuerà a essere così. Una concorrenza spietata tra un sesso e l’altro, invece che una straordinaria opportunità.