Quante volte in una giornata diciamo «Grazie»? Nessuno le ha mai contate. Quello che, però, dovrebbe farci riflettere non è tanto il numero ma il fatto che dietro a quella semplice parola, spesso detta per educazione, c’è molto di più di quello che pensiamo, qualcosa di più intimo e profondo. C’è un atteggiamento, una visione. Insomma, una vera e propria virtù. «La gratitudine è una capacità di aprirsi al mondo, agli altri, diciamo una forma di trascendenza» spiega Laura Campanello, filosofa, analista e autrice di Ricominciare. 10 tappe per una nuova vita (Mondadori).
E a pensarla allo stesso modo è anche il teologo J. T. Mendonça che scrive: «Ognuno di noi ha quanto gli serve per sperimentare la gioia. Non è un problema di conoscenza, è un problema di sguardo. Di guardare a quel che siamo e a quanto ci circonda con cuore grato, capaci di percepire il dono che ci abita. Se accostiamo l’orecchio alla vastità della nostra vita, essa canta!».
Dobbiamo imparare a essere grati a noi stessi
E per sentire quel canto, quella musica soave, che regala quiete, per prima cosa dobbiamo imparare a essere grati a noi stessi, alla vita che abbiamo. «È importante. Significa essere capaci di perdonare le proprie imperfezioni, accettare le proprie fragilità, spogliarsi delle corazze e percepirsi sensibili» continua la filosofa. Proprio quella sensibilità che da un lato ci fa essere più “scoperti”, ma che dall’altro ci permette di vedere più bellezza. «La gratitudine per certi versi quindi è una via alla consapevolezza. Una via non certo facile, che ti sveste di alcune difese per farti sperimentare la meraviglia. Quindi, per essere capaci di guardarsi intorno, bisogna innanzitutto guardarsi dentro» continua Laura Campanello.
Una capacità unica, la gratitudine, potentissima, che, come emerge dal sondaggio che Donna Moderna ha realizzato con Doxa, quasi la metà delle lettrici vorrebbe sperimentare. E questo sembra essere il momento migliore per farlo. «Il Covid ci ha permesso di vedere l’essenziale. Ci ha fatto percepire la nostra esposizione al perdere. Perdere la vita, in primis, ma anche la bellezza, gli amici, la scuola. Insomma, tutto ciò che per noi è desiderabile» spiega la filosofa. Ci ha fatto rendere conto, in pratica, di quello che in quest’ultimo anno e mezzo ci è davvero mancato e di quello che abbiamo. Di ciò per cui vale la pena lottare e di ciò che possiamo invece tranquillamente lasciare andare.
La gratitudine è un’emozione sociale
Adesso, quindi, desideriamo essere grati a quello che abbiamo, al valore delle nostre vite, alla bellezza e all’imperfezione delle nostre famiglie, alla solidità delle nostre sicurezze, all’inquietudine delle nostre emozioni, alla protezione delle nostre case. Ma non solo. «In questo momento vogliamo essere grati anche perché la gratitudine è un’emozione sociale» spiega Piero Barbanti, professore associato di neurologia all’Università San Raffaele di Roma. «E questo desiderio è una risposta ai mesi del lockdown. Esprime la voglia di emozioni comunitarie, la volontà di sperimentare un benessere collettivo, il desiderio di tornare a guardare cose belle e di farlo possibilmente insieme agli altri, di ricominciare ad assaporare il prossimo in modo benevolo, aperto, amichevole» continua l’esperto.
Cicerone affermava che «la gratitudine è non solo la più grande delle virtù, ma la madre di tutte le altre». E sembra essere proprio così. Perché in fondo è una manifestazione di amore e come tale giova prima di tutto a chi la dona e poi a chi la riceve. «Vivere all’insegna della gratitudine è vantaggioso per il nostro cervello. La scienza ha visto che l’essere grati incrementa la nostra resilienza, la capacità di resistere allo stress» spiega Piero Barbanti. «La persona grata sente calore, esplora l’ambiente, lo assapora, percepisce che c’è un’umanità, una natura pulsante. Che non è sola, in un ambiente freddo, asettico. E il fatto di non sentirsi sola riduce i livelli di infiammazione».
L’ossitocina, l’ormone dell’empatia
Ma questo non è l’unico beneficio. «La gratitudine fa liberare al nostro cervello l’ossitocina, l’ormone dell’empatia, dell’abbraccio, del voler bene» dice il professore di neurologia. Ed è un vero antidoto all’invidia, al vittimismo, alla rabbia. «Tutte quelle emozioni negative che ci fanno consumare tante energie mentali. La persona grata, infatti, non è sospettosa, impiega meno energie per “bonificare” l’ambiente circostante e non ha necessità di scrutare, analizzare e memorizzare ogni dettaglio per organizzare la propria rivincita» continua.
Ma i benefici che la gratitudine porta con sé non sono solo “fisici”. «È una virtù contagiosa, che mette in circolo vibrazioni positive, gioiose, e un’emozione generativa. Se è autentica, cioè, mette in gioco azioni, non solo pensieri. Attiva un processo di cambiamento perché ti fa capire quello che hai ma anche quello che ti manca. E se riesci a trasformare questa mancanza in un desiderio, riesci a cambiare qualcosa nella tua vita» spiega la filosofa.
La gratitudine è un’emozione generativa perché riesce a mettere in moto un processo concreto di cambiamento
Da dove partire per coltivare la gratitudine
Coltivare la gratitudine è un po’ come costruire un boomerang che, una volta lanciato, ci ritorna indietro più ricco e potente. Ma da dove dobbiamo partire? «Un bell’inizio sicuramente è leggere e rileggere ogni tanto Ringraziare desidero, la poesia di Mariangela Gualtieri. E poi dovremmo tenere un diario della gratitudine in cui scrivere, almeno un paio di volte a settimana, tre cose belle che ci sono successe e di cui ci siamo accorte. Un esercizio semplice, ma che abitua lo sguardo e che, facendoci accorgere della bellezza, ci spinge alla cura. Avendo visto le preziosità che abbiamo accanto, infatti, ne diventiamo più facilmente custodi» dice Campanello. «Non sarebbe male anche ritagliarci del tempo tra noi donne per dirci di che cosa siamo grate l’una all’altra. Per timore, timidezza, lo facciamo di rado. E invece restituire uno sguardo bello all’altro significa restituire uno sguardo nutriente, accogliente».
«Il mio consiglio, invece, è rallentare i ritmi, lasciare il tempo per la noia, per far nascere le emozioni» aggiunge Paolo Barbanti. «Cercare di silenziare la parte del cervello anteriore, quella analitica, logica e lasciare parlare quella posteriore, creativa, che ci fa vedere il mondo con occhi nuovi. Quella parte più ricettiva, che ci aiuta cioè a togliere il velo, a guardare e captare la bellezza che abbiamo intorno in modo nitido». Difficile? No, non più di tanto. Perché noi siamo nati per la gratitudine, per restare incantati, proprio come succede ai bambini, e per provare meraviglia.