«Guarda come cresce. Vedi? I bambini se ne fregano della chemio». La storia di Francesca è tutta qui, in questa frase sfuggita alla sua ginecologa durante una delle ultime eco. Ginevra – si chiamerà così – nascerà a fine mese con un cesareo e sta bene, anche se la sua mamma ha un tumore ed è in cura da mesi. Francesca è felice, per ora non pensa al dopo: «Questa bambina sembra un dono. È arrivata all’improvviso a 43 anni, quando non ci credevamo più, ed eccola qua, nonostante tutto».
Ha scoperto di aspettarla a marzo, in piena pandemia. «Avevo fatto un Pap test a febbraio, ma subito dopo il laboratorio di analisi ha chiuso per lockdown e tutto è rimasto sospeso. A fine aprile, quando è arrivato l’esito, l’esame evidenziava una lesione, bisognava fare una biopsia per capirne di più». Iniziano le paure, le domande, il pellegrinaggio nei centri oncologici, solo a giugno Francesca ha la diagnosi completa: carcinoma infiltrante al collo dell’utero.
«È stato come se un macigno mi cadesse sulla testa. Il pensiero è andato subito alle mie figlie: quella già nata, Giorgia, che a 11 anni aveva ancora tanto bisogno della sua mamma, e quella che era in pancia e voleva nascere. Forse per incoscienza, non ho mai pensato per un solo momento di abortire». Francesca era decisa ad averla, ma è stato quando si è rivolta alla Breast Unit dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova, nella sua città, che ha scoperto l’esistenza di protocolli mirati per le pazienti incinte.
Gravidanza e tumore: i trattamenti possibili
«Si stima che oggi circa una gravidanza ogni 1000 si complichi con un tumore, in Italia parliamo di qualcosa come 400 casi all’anno, nella maggioranza neoplasie alla mammella. Ma le due cose possono coesistere e gli studi dimostrano che l’aborto in questi casi non aumenta le possibilità di guarigione delle donne» spiega Lucia Del Mastro, oncologa e direttrice della Breast Unit genovese, tra i centri di riferimento nazionali per la cura dei tumori in gestazione. «Se è un tumore in fase iniziale operabile, lo si può togliere già nel primo trimestre, a meno che non sia localizzato nell’utero o nelle ovaie. Se invece bisogna agire con una terapia medica si attende la 13esima settimana. Il primo trimestre è una fase molto delicata, anche le cure più sicure aumentano le probabilità di malformazioni per il nascituro tra il 10 e il 25%, quelle di aborto tra il 20 e il 30%».
Solo se il cancro è in stadio molto avanzato e la terapia non può essere ritardata l’interruzione della gestazione diventa una strada quasi obbligata. «Altrimenti si procede con il piano terapeutico» continua l’esperta. «Molti chemioterapici possono essere somministrati durante la gravidanza. Sono invece controindicati radioterapia, farmaci ormonali e a bersaglio molecolare. Per dare modo a mamma e figlio di recuperare, le cure proseguono fino a tre settimane prima della data fissata per il parto, in genere un cesareo, che viene programmato dopo la 37esima settimana. I rischi più frequenti sono basso peso alla nascita e parto prematuro». Nel caso di Francesca non era possibile operare subito: è stato adottato un piano terapeutico con chemio per fermare il cancro fino alla nascita di Ginevra, poi dovrà sottoporsi all’asportazione dell’utero.
Un’intera équipe al lavoro per seguire la futura mamma
«Non c’è un protocollo uguale per tutte, servono una valutazione della situazione e controlli settimanali su madre e figlio, per essere pronti a ricalibrare le terapie in ogni momento» conferma Michelino De Laurentiis, direttore del reparto di oncologia medica senologica all’Istituto nazionale tumori Pascale di Napoli, che però sottolinea: «Molte si rivolgono a noi dopo che è stato prospettato l’aborto come l’unica soluzione, invece la tutela della maternità dovrebbe entrare nel percorso di cura. Non possiamo fingere di non sapere che una donna che scopre un tumore in gravidanza sopra i 35 anni, come accade quasi sempre, avrà molte meno chance di avere un figlio dopo».
A prendere in carico la futura mamma deve essere un’équipe esperta, composta da oncologi, ginecologi, neonatologi. «Seguire una chemio con un bimbo in pancia è faticoso. Per fortuna non ho nausee, ma dopo ogni ciclo mi sento molto spossata» racconta Francesca. «E a dicembre mi aspetta un’altra prova importante. A volte ho paura, ma so che se ho bisogno di aiuto le mie dottoresse ci sono. Ho finito l’ultimo ciclo una settimana fa, ancora oggi la mia ginecologa mi ha mandato un sms per chiedermi come sto. Questo per me conta tantissimo».
Le future mamme malate di tumore al seno possono rivolgersi alle breast unit, i centri senologici con équipe multidisciplinari. L’elenco si trova qui: europadonna.it/guida-pratica-tumore-seno/geolocalizzazione/
Nessun rischio per la donna e il suo bambino
Un figlio dopo il cancro al seno non aumenta il rischio che la malattia ritorni, né ha un impatto negativo sulla salute del nascituro. A confermarlo è stato uno studio condotto in 30 centri europei su 1.250 donne, coordinato da scienziati italiani e pubblicato sulla rivista Journal of Clinical Oncology. Tutte sono state seguite per 8 anni dalla fine dei trattamenti e si è visto che tra chi aveva avuto una gravidanza e le altre non ci sono state differenze in termini di prognosi, né di mortalità.