«Ci daranno più compiti, i professori saranno più severi e ci dovremo impegnare ancora di più. Avremo meno tempo per il tempo libero e le attività sportive. Se non porteremo i compiti ci saranno conseguenze e potremo essere bocciati». Trovo nella cartella di mio figlio questo breve componimento di panico puro, tra le schede di una lezione dal titolo “Il mio zaino dei pensieri positivi”. Alla faccia, penso. Le fosche aspettative si riferiscono al passaggio alla scuola media e mi trovo a riflettere da dove nascano. Sono stata io oppure le maestre ad aver un tantino esagerato ad agitare come spauracchio il triennio che verrà quando l’abbiamo visto svogliato? Faccio autocritica e ripenso agli insidiosi luoghi comuni dell’educazione in cui tutti inciampiamo. Ma vorrei indagare per capire se di questa secondaria di primo grado c’è da avere paura. Entro il 28 gennaio bisogna iscriverlo a una nuova scuola, ci sono gli open day e, come tanti genitori, so che la scelta non sarà neutra, che l’offerta formativa non è una ruota di pavone che gli istituti dispiegano per l’occasione, ma un progetto che può fare la differenza.

Mancano i prof di matematica

La mia indagine parte da una notizia: al concorso per insegnare le discipline scientifiche nella scuola secondaria di primo e secondo grado terminato l’8 luglio, c’è stato un record di bocciature. Detto in numeri, 3.330 docenti vincitori a fronte di 6.129 posti, 2.000 per le medie. Detto in parole, la carenza di prof di matematica e scienze è grave e cronica. Questo è un buon punto di partenza per aiutare i genitori a scegliere meglio possibile, visto che ormai è pressante il messaggio che sprona verso una valida preparazione scientifica. Nella scuola media i nostri figli la troveranno? Non è del parere Barbara Romano, autrice del Rapporto sulla scuola media 2021 della Fondazione Agnelli, che mi dice: «Nei nostri grafici gli apprendimenti nelle materie scientifiche al quarto anno delle elementari sono rappresentati da un pallino che sta sopra la media dei parametri internazionali. Ma, in terza media, l’indicatore scivola verso il basso. In matematica come in scienze, la scuola secondaria di primo grado frena l’acquisizione di nuove competenze e gli studenti perdono terreno rispetto ai coetanei di altri Paesi». Dietro la scia da stella cometa di quel grafico ci sono problemi che la scuola italiana non riesce a fronteggiare, e al primo posto c’è il reclutamento e la formazione dei docenti. Da una parte, soprattutto nelle materie scientifiche, la professione di insegnante non ha una dignità sufficiente da invogliare i più preparati a sceglierla. «Se la scuola primaria ottiene risultati è anche perché ha un percorso dedicato: i maestri frequentano un corso di laurea, Scienza della formazione primaria, che insegna a insegnare» spiega Barbara Romano. «Per la secondaria sarebbe indispensabile che a una laurea disciplinare si aggiungesse una specializzazione in didattica, psicologia, pedagogia e pratica d’aula. Oggi bastano 24 crediti in queste materie, che si acquisiscono con facilità anche in corsi online. Invece il prof non può più essere una persona che entra in classe e chiude la porta. La porta deve stare aperta, il confronto e il tutoring tra docenti dovrebbero essere costanti. Ma questo avviene solo in qualche istituto». Se come genitori siete ancora coinvolti negli open day, è un’informazione preziosa: dove vedete team di insegnanti che collaborano tra loro, presidi che presentano la loro squadra come un gruppo di lavoro coerente, forse, siete nel posto giusto. Ma ancora non basta.

Mai sottovalutare il cervello degli adolescenti

C’è un particolare che attira la mia attenzione nel grafico a cui accennavo sopra. Il pallino degli apprendimenti scivola giù in tutti i Paesi presi in esame. L’Italia precipita sotto la linea della decenza (che sarebbe la media TIMSS, Trends in International Mathematics and Science Study). Ma capita anche in Svezia, Inghilterra, Usa. Cosa significa? Mi risponde un altro capitolo della ricerca di Fondazione Agnelli dedicato alle neuroscienze, cioè al cervello: tra gli 11 e i 18 anni va incontro a una profonda ristrutturazione. L’adolescenza è una “finestra”, l’ultima così fertile, in cui si seleziona ciò che si tiene e ciò che si perde perché non usato. È un momento instabile ma ricchissimo di opportunità sulle quali far leva: la passione, la curiosità, il desiderio di cooperare con i pari. Questo spiega che nell’età della secondaria si apre una fase in cui l’insegnamento tradizionale, frontale, teorico non dà frutti. E qui capisco che mio figlio, nel suo zaino di pensieri sulla scuola media, ha messo preoccupazioni forse troppo grandi ma non immotivate: l’improvvisa rigidità e severità non lo faranno diventare più competente ma più ostile.

L’importanza dei progetti extracurricolari

Ecco allora un altro indizio per i genitori: se nella presentazione dell’istituto si parla di progetti integrati tra diverse discipline, attività teatrali e supporto psicologico, non pensiamo che sarebbe meglio introdurre ore extra di algebra e latino al loro posto. Possono essere il segnale di un modo coinvolgente di insegnare. Dalla prima alla terza media andare a scuola piace solo al 10% dei maschi e all’8% delle femmine: non c’è niente di inevitabile in questo dato. E capisco che le attività extracurricolari potrebbero rappresentare un tesoretto che arricchisce la formazione dei ragazzi e risveglia le loro passioni parlando con Andrea Maffai, ricercatore in didattica delle matematica e insegnante di scuola media. «I genitori sentiranno parlare del docente di matematica e scienze e di quello di tecnologia. Non esiste, in realtà, un prof di Stem» spiega Maffai, autore anche di libri-gioco per insegnare la matematica come Destinazione Bellatrix (Erickson). «L’acronimo, oggi un po’ di moda, viene usato più per le attività extra. Da qualche anno gli istituti possono fare conto su insegnanti di potenziamento chiamati per attivare o affiancare i prof curricolari su specifici progetti: per fare un esempio, per incoraggiare le ragazze alla scienza».

Open day: cosa cercare in una buona scuola

Agli open day è anche importante tenere gli occhi aperti. «Perché le attività interessanti lasciano il segno» mi suggerisce Maffai. «Ci sono pluviometri in giro? Vuol dire che si stanno facendo lavori sul meteo. Piante in coltivazione? Probabile che gli insegnanti facciano esplorare le discipline oltre a leggerle sul libro. Meglio diffidare dei laboratori raffinatissimi ma illibati: vuol dire che nessuno ci mette piede. Anche il coinvolgimento dei ragazzi più grandi nella presentazione segnala una scuola dove chi impara è protagonista del proprio percorso di apprendimento». E l’età degli insegnanti? Solo uno su 100 ha meno di 30 anni, la maggior parte è sui 50. «Eppure non mi baserei su questo criterio per valutare un istituto. Ci sono insegnanti di lungo corso che stanno guidando il cambiamento nella scuola e spesso sono più innovativi dei giovani che, in base ai nuovi ordinamenti, sono costretti a trovarsi da soli i percorsi formativi post laurea per accedere all’insegnamento» dice Maffai. Una risposta che non mi aspettavo e che mi mette sulla strada giusta per scegliere, insieme all’ultimo consiglio del prof: «A volte i genitori si sentono più sicuri dove vedono metodi che riconoscono. Invece l’innovazione passa anche dalla loro capacità di accettare che quello che studieranno i loro figli non è quello che hanno imparato loro».

5 COSE A CUI FARE ATTENZIONE ALL’OPEN DAY DELLA SCUOLA MEDIA

1. Gli insegnanti e il preside sono
un gruppo di lavoro affiatato

2. C’è uno sportello di supporto psicologico per i ragazzi

3. Ci sono attività Stem extra curricolari che coinvolgono anche gli insegnanti del mattino

4. I laboratori sono “vissuti”
e la scuola è disseminata di lavori
dei ragazzi

5. Gli studenti grandi partecipano all’open day e sono coinvolti nella presentazione