“Sotto la quarta non è vero amore”. Era la battuta di un famoso comico italiano. Una battuttaccia, per la verità. Eppure descrive bene il rapporto conflittuale che ogni donna ha con il proprio seno. Soprattutto se il metro di giudizio è, giustappunto, il giudizio maschile. Sotto la quarta di reggiseno, insinua la battuta, un uomo non apprezza veramente un paio di tette. Pare.
Invece no. Io nella mia vita sono passata con disinvoltura da una seconda (detta anche coppa di champagne) a una quinta ( in gravidanza e durante l’allattamento) e ho sempre avuto fan delle mie forme.
Ma non è questo il punto. Il punto è se le mie tette piacciano o no a ME. E qui la questione si fa più controversa.
Non vi tedierò parlando dei “modelli femminili che i media ci proprinano”. Ovvio: il seno “boombastico” di Pamela Anderson dei tempi d’oro di Baywatch ha stravolto l’immaginario per sempre. Passiamo oltre, però.
Passiamo alle storie verie.
In Inghilterra l’artista Laura Dodsworth ha fotografato il seno di 100 donne e le ha intervistate per il progetto sociale Bare Reality (nella foto) che aiuta la ricerca per sconfiggere il cancro al seno. E ha notato che attraverso un paio di tette si può raccontare una vita, ma non sempre un rapporto felice con il proprio corpo.
Ne parliamo anche su Donna Moderna, in un articolo firmato da Lucia Ferrante, nel numero in edicola da domani.
Io adesso vorrei raccontarvi che relazione affettiva ho con Lucietta & Angelina: le mie tette. Vi avevo già accennato qui, in un post di qualche tempo fa. che non le userei mai come bancomat, dato che portano il nome delle mie prozie.
Ora vi dico che cos’hanno di speciale per me. Lucietta, la tetta sinistra, è quella di carattere. Un’attivista politica. Più piccina dell’altra, deve mostrare i suoi argomenti per farsi notare. Angelina, la destra, invece è l’angelo del focolare. Quella da cui la mia bambina, appena nata e già vorace polpo ciuccialatte, succhiava di più.
Ho fatto pace con questa asimmetria da un po’ di tempo. Da quando, al dramma delle dimensioni diverse, si sono aggiunti altri problemi, altre imperfezioni. Per esempio, la “cadenza” (l’oltraggio alla forza di gravità io lo chiamo così) o le smagliature. Oppure quell’impazzimento ormonale che vede un fiorire di peluria imbarazzante attorno ai capezzoli (alzi la mano chi non tenta di estirpare con pinzetta da sopracciglia questi micro cespugli sul décolleté).
Eppure questi due “catorci” che sono il mio seno, oggi, io li amo.
Me ne accorgo in due momenti.
Il primo: quando prego. E nell’Ave Maria sostituisco il vintage “frutto del ventre tuo” con “il frutto del tuo seno”, perché è più vero, più dolce, più femminile. Il secondo: quando mi vesto e mia figlia mi gira attorno. Mi porge il reggiseno e chiede: “Mamma, da grande posso mettermi anche io la tua tettiera?”.
Eccola là, quella bimba è il frutto del mio seno. Non potrei odiarlo solo perché è invecchiato (o meglio, “maturato” e diventato “mammo” insieme a me). Chi se ne importa se non posso esibire il topless, dunque. Posso esibire la vita. E mi piace tantissimo.
Non trovate anche voi che ci sia almeno un motivo per fare pace con il proprio seno? O ormai siamo uscite tutte “fuori di seno” e, se non abbiamo tette perfette, ci struggiamo di dubbi e sensi di colpa? Ditemi come la pensate. Vi aspetto.