Sei incinta, oppure stai programmando una gravidanza, e vorresti conoscere le tutele previste per te sul lavoro. Forse ancora non lo sai, ma i diritti delle mamme cha lavorano in Italia sono tanti. Però, è importante conoscerli. Molte donne, infatti, pensano che nel nostro Paese la maternità nei luoghi di lavoro non sia tutelata e si licenziano mentre sono incinte, oppure rinunciano a cercare una occupazione. Ecco le principali norme che tutelano le donne e mamme.
Sei incinta? Hai diritto di assentarti per i controlli clinici
Le lavoratrici in dolce attesa non devono rinunciare ai controlli clinici. Infatti, per legge hanno diritto ai permessi retribuiti per sottoporsi ai test clinici, ecografie e tutto quello che potrebbe essere funzionale a un buon esito della gravidanza. Quando ti rechi a fare una visita o un controllo clinico, chiedi che ti venga rilasciato un certificato dal quale risulti la tipologia di test effettuato, la data e l’ora. Dovrai, infatti, consegnarlo in azienda. Il permesso retribuito ti spetta non solo per la durata del test clinico, ma anche per il tempo impiegato per recarti dal luogo di lavoro presso il centro medico, e per tornare indietro.
Diritti delle mamme che lavorano: la “maternità”
Una volta che il bambino è nato, si ha diritto alla maternità. Le norme che la disciplinano sono contenute nel decreto legislativo n. 151 del 26 marzo 2001, che è stato modificato nel 2009 e prevede che le lavoratrici dipendenti debbano assentarsi dal lavoro per cinque mesi. Fino alla Legge di Bilancio 2019, la maternità poteva essere fruita o due mesi prima del parto e tre dopo, oppure un mese prima di partorire e quattro dopo. Oggi sono le donne a poter decidere: si può lavorare anche fino al giorno del parto e stare a casa nei cinque mesi successivi alla nascita del bambino. E se nascono due gemelli? Il periodo di maternità resta di cinque mesi.
Qualora la gravidanza subisca una interruzione oltre il 180esimo giorno – morte del bambino alla nascita o durante il congedo – si ha comunque diritto ad usufruire dei mesi di maternità. Lo stabilisce l’articolo 16, comma 1 bis, del T.U. modificato dal D.Lgs. 119/2011. I cinque mesi di maternità spettano anche in caso di adozione o affidamento di minori. In questi casi la maternità parte dal momento in cui il bambino arriva in famiglia.
No al lavoro notturno per donne incinte e neomamme
Le norme italiane prevedono il divieto assoluto per le donne in gravidanza, o per quelle che sono diventate mamme, fino a un anno di età del bambino, di svolgere lavoro notturno. In particolare, lo prevede il D.Lgs. 66/2003. Per lavoro notturno si intende quello svolto tra le 24 e le 6 del mattino. La lavoratrice madre può anche chiedere di essere esonerata dal lavoro notturno fino al terzo anno di età del bambino. In questo caso la domanda va accolta automaticamente. Questa regola vale anche se la mamma è l’unica affidataria di un minore convivente fino a 12 anni e se ha a carico un familiare portatore di handicap, a prescindere dall’età.
Diritti delle mamme che lavorano: la maternità anticipata
I lavori rischiosi, cioè quelli che prevedono il contatto con agenti chimici, fisici e biologici pericolosi, sono vietati alle donne incinte. Lo prevede il D.P.R. 1026/76, secondo il quale le lavoratrici in dolce attesa non possono svolgere lavori che prevedono il sollevamento di carichi pesanti e postura incompatibile con la gravidanza. Vietati anche i turni stressanti. E se il proprio lavoro fa parte di una di queste categorie? In questi casi è previsto il diritto alla maternità anticipata.
I permessi dopo il parto
Sei diventata mamma. Quali diritti ti spettano? L’articolo 39 del D. Lgs. n. 151/2001 prevede che, per tutto il primo anno di vita del bambino, le mamme lavoratrici possano chiedere fino due ore al giorno di permesso retribuito, che può essere raddoppiato in caso di parto gemellare. Si tratta dei famosi “permessi per l’allattamento”, anche se non servono esclusivamente a questo scopo. Questa indennità spetta anche nei casi di adozione e affidamento di un bambino.
Diritti delle mamme che lavorano: il congedo parentale
La legge italiana prevede il congedo parentale per la mamma e per il papà. Entrambi hanno diritto a un periodo di congedo dal lavoro per prendersi cura del bambino fino al compimento del 12esimo anno di età. Il periodo di congedo previsto per legge è dieci mesi complessivi tra padre e madre. Questi dieci mesi possono essere fruiti in maniera continuativa oppure possono essere frazionati. Per legge, l’Inps retribuisce il congedo parentale nella misura seguente: il 30 per cento della retribuzione giornaliera entro i primi sei anni di età del bambino; il 30 cento della retribuzione media giornaliera dai sei anni e un giorno fino agli otto anni di età del bambino «solo se il reddito individuale del genitore richiedente è inferiore a 2,5 volte l’importo annuo del trattamento minimo di pensione ed entrambi i genitori non ne abbiano fruito nei primi sei anni o per la parte non fruita anche eccedente il periodo massimo complessivo di sei mesi»; nessuna indennità dagli otto ai dodici anni di età del bambino. Il congedo parentale spetta anche nei casi di adozione e affidamento.
Le donne incinte non possono essere licenziate
La legge italiana tutela le donne in gravidanza prevedendo il divieto di licenziamento fino a un anno di età del bambino. Sono esclusi, però, alcuni casi. In particolare, le donne incinte possono essere licenziate in caso di colpa grave che comporta il licenziamento per giusta causa. Altri motivi di licenziamento possono essere: la cessazione dell’attività aziendale, l’esito negativo del periodo di prova e la scadenza del contratto a termine. E se il datore di lavoro ti licenzia lo stesso? Il licenziamento è nullo e avrai diritto a essere reintegrata.
Diritti delle mamme che lavorano: l’assegnazione temporanea
Esiste, infine, un diritto che la legge ha stabilito per i lavoratori del pubblico impiego. L’42-bis del D.Lgs. n. 151/2001 stabilisce che i lavoratori “pubblici” con figli di età inferiore a tre anni possono chiedere l’assegnazione temporanea in una sede situata nella provincia o nella regione dove lavora l’altro genitore. Il periodo di assegnazione temporanea non può essere superiore a tre anni. Ovviamente, il beneficio verrà concesso a condizione che nel luogo indicato esista un posto vacante e di pari livello retributivo. Finito il periodo di assegnazione temporanea, il dipendente pubblico ha diritto a tornare al suo posto di lavoro.