Se permettete, un uomo che da 15 anni lavora in un ambiente al 95% femminile ha il diritto di dire la sua su certi temi.
E quell’uomo sono io. Mentre il tema è la grammatica di genere.
Tranquilli, è tutto sotto controllo.
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La grammatica di genere è quella che ci insegna a usare correttamente le parole in rapporto al sesso delle persone. Si dice sindaco o sindaca? Avvocato, avvocata o avvocatessa? Il presidente della Camera, l’onorevole Laura Boldrini, è una presidentessa? Lei sostiene di sì. Ma, a confondere le idee, Maria Elena Boschi, responsabile delle Riforme costituzionali, si fa chiamare “ministro”.
Naturalmente sono questioni delicate. Non riguardano le parole ma i rapporti tra le persone. E sullo sfondo c’è il femminismo e il problema della discriminazioni di genere. Una vera piaga sociale, in Italia.
Come convincere un maschio della importanza di tutto ciò? Posso dire come è stato con me.
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Nella mia sezione di Donna Moderna siamo 8 giornalisti (giornaliste), 7 donne e un uomo. La sera, quando una delle mie colleghe prende la borsetta e va a casa, saluta gli altri (le altre) dicendo, qualche volta: «Ciao, ragazze». E io, Maurizio, rispondo: «Ciao, a domani». Ci sono abituato. Per me è utile assistere a questo piccolo esperimento linguistico. Tra l’altro si verifica raramente, quando si usa il plurale.
Per le donne, però, è diverso. A loro (a voi) succede da secoli, tutti i giorni, in qualsiasi luogo. In quei casi si dice: «Ciao, ragazzi». Non solo. Tutte le parole che le (vi) nominano sono girate al maschile. Le donne, che non hanno scelta, ci hanno fatto l’abitudine. Fino a quando hanno capito che dietro a quell’uso del linguaggio c’è un esercizio del potere che toglie visibilità e mette le loro esigenze ai margini.
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Per fortuna, limitandoci alle parole, un equilibrio può essere trovato rapidamente. E per me è di grande aiuto il manuale Donne, grammatica e media, voluto dall’associazione di giornaliste GIULiA.
Spiega che avvocata è meglio di avvocatessa, così come ingegnera, chirurga, architetta, senatrice, prefetta: espressioni corrette.
Viene sdoganato anche l’uso dell’articolo femminile davanti al nome proprio di donna, tipo la Bonino, la Carfagna, la Pellegrini.
E si ricorda che in Francia da tempo si dice “la ministra”, “la presidentessa”, “la giudice”.
Tutto bene, dunque, fino a quando non vi scontrate con sensibilità diverse, come nel caso del ministro Maria Elena Boschi.
Ed è questo il punto. La lingua porta alla luce mondi in collisione. Donne contro uomini. E donne in disaccordo con altre donne sul rapporto con gli uomini.
Ma il manuale per venire a capo di tutto ciò dobbiamo ancora scriverlo.