Trovo incredibile, al limite dello straordinario, che mi sia capitato più di una volta che i bambini che incontro (magari mentre si sta parlando di tutt’altro o mentre si sta giocando) mi inchiodino con questa domanda: «Dov’è il tuo bambino?» o con la variante di: «Com’è il tuo bambino?»
Anche qualche giorno fa, in un bar, mi si è avvicinata una buffa piccolina attratta dal mio cane. Mentre rispondevo alle sue mille curiosità, di punto in bianco mi ha guardata e mi ha domandato: «Ma dove hai lasciato il tuo bambino?». Che dire? Possibile che anche lei come gli altri abbia sentito la tua presenza così forte?
Forse è vero che l’amore è magia e traspare anche quando non vorresti. O forse davvero i bambini hanno antenne emotive pure, ancora in grado di captare la minima vibrazione dell’anima. Fatto sta che anche lei sembrava curiosa di conoscerti. Così improvvisamente ti ho avuto davanti agli occhi: con lo sguardo un po’ ombroso di tuo padre, troppo magro e troppo lungo come me, misterioso e affascinante di tuo.
Non so perché fin da piccola ti ho sempre voluto chiamare Niccolò. È vero che mi piacciono i nomi antichi e italiani, impossibili da storpiare in nomignoli, ma questo l’ho capito più tardi. Vedi? Parliamo sempre di tante cose io e te eppure non ti ho mai detto che amo il tuo nome da sempre. E adesso che ci penso, non ti ho nemmeno mai detto quante volte ti ho sognato: mentre nascevi, appena nato stretto contro di me, a piedi con la tua manina dentro alla mia, mentre mi strizzavi l’occhio dietro la porta.
E tu sei proprio così, così come ti ho sognato. Ogni volta che ti vedo ti riconosco: sei il bambino che ho sempre sognato. Sorpresa dal mio improvviso silenzio, in quel bar evidentemente la piccola non era assolutamente disposta a rinunciare a una risposta da parte mia e, implacabile, mi ha ripetuto la domanda: «Dove hai lasciato il tuo bambino?».
Ti confesso che non ho avuto il cuore di darle una delusione con la solita frase («Io non ho bambini. Purtroppo non sono mai arrivati…»). Non avevo proprio voglia di spegnere una volta di più quella strana, curiosa, tenera aspettativa. Allora le ho detto: «Il mio bambino si chiama Niccolò. È piccolo piccolo e sta chiuso nel mio cuore. Il mio bambino è un sogno». Non ci crederai: non solo mi è sembrato che per lei avessi descritto una cosa del tutto normale – insomma che avesse capito – ma aveva pure un’aria molto soddisfatta. «Be’, allora ciao», ha detto andandosene con un gran sorriso.