Nella più suggestiva delle possibili etimologie di “desiderio” è nascosta un’allusione che rivela, dell’atto del desiderare, molto più di qualsiasi parafrasi. “De-sidera”, in latino, significa: “in mancanza delle stelle”: il desiderio coincide con il momento in cui non è più possibile scrutare il cielo in cerca dei segni augurali che si traevano dagli astri. Se non ci sono stelle da interpellare, che succede? Succede che, nell’assenza di segnali che ci guidino, sentiamo la loro mancanza e ci struggiamo, come sarà capitato a chi, al tempo in cui si interrogava il cielo, cercava una risposta urgente e non la poteva trovare.

Del resto è nella mancanza che si annida la possibilità di desiderare. Per tendere verso qualcosa o qualcuno, è necessario avere uno spazio da attraversare, che sappia sostenere il nostro slancio. Le stelle erano anche la mappa luminosa che indicava la strada ai naviganti: se le stelle scompaiono, diventa difficile trovare la strada, se non indovinandola da soli. A ben pensarci, è esattamente quello che facciamo quando desideriamo: ci inventiamo una strada che ignora le mappe già tracciate, i consigli degli altri, la prudenza. La nostra strada, in mancanza di stelle.

Non poter vedere le stelle sarà anche la condizione ideale per il desiderio. Ma non sempre l’oscurità che lo avvolge, quella sua componente misteriosa perché vicina all’inconscio, ci aiuta a comprenderne il linguaggio, anzi: molto spesso i nostri desideri sono indecifrabili a noi stesse. Uso un plurale femminile perché la rimozione del desiderio riguarda soprattutto le donne, educate a reprimersi, a controllarsi, a comportarsi da brave bambine e poi da brave ragazze dai molti secoli in cui l’idea che concepissero desideri aveva un che di sconveniente, di eccessivo; e strizzate ancora oggi dentro ruoli in cui l’onere della cura e dell’accudimento pesa quasi interamente su di loro, e si somma all’imperativo di dimostrarsi efficienti e affidabili per realizzarsi nel lavoro, pur se spesso pagate meno dei colleghi uomini.


«Le donne intervistate non desiderano trasformarsi, cambiarsi né imporsi dei miglioramenti che le snaturino; ma imparare a vivere in armonia con quello che sono già, con il tempo che non vorrebbero più vedere come un tiranno ma come un regalo da godersi, da abitare e impiegare per sé e per la cura del proprio corpo»


Tempo fa, durante un laboratorio di scrittura, rivolsi alla classe una domanda tratta dal questionario di Proust: “Qual è il dono che vorresti avere?”. C’era chi non lo sapeva; per lo più, però, la classe espresse desideri astratti. Solo una donna, che essendo arrivata in ritardo non aveva sentito le risposte degli altri, con la massima naturalezza disse che voleva ricevere un anello con non so più quale pietra preziosa. E quando feci notare che era stata l’unica a citare un oggetto, concreto e per di più prezioso, scoppiò a ridere e ci confessò che in cinquant’anni di vita non le era mai capitato di essere così sincera su un suo desiderio. Mi colpì, più che la risposta, la sorpresa con cui l’accolse la stessa persona che l’aveva pronunciata; come se fosse arrivata da una parte di lei abituata a rimanere segreta, che finalmente aveva parlato. E lei, nel preciso momento in cui se ne rendeva conto, era felice.

Che l’attività del desiderare sia foriera spesso di delusioni e di tormenti, lo sappiamo bene. Basta leggere una pagina dello Zibaldone di Leopardi per lasciarsene persuadere. Ma, anche se la signora del corso non avesse poi ricevuto l’anello che si era accorta di desiderare, né l’occasione o la possibilità di comprarselo da sola, quando si è accorta di desiderarlo è stata felice; perché, se è vero che spesso i desideri vengono delusi, è vero anche che l’esame e la consapevolezza di quel che desideriamo è essenziale alla nostra felicità. E non lo dico io, ma un grande esperto di felicità, il filosofo greco Epicuro, che difatti ai suoi discepoli raccomandava un esame rigoroso dei desideri; non semplice, ma utile a capirsi.

Esaminare i propri desideri significa guardarli con realismo, non come chimere ma come azioni che dipendono, anche se solo in parte, da noi. Per questo, immaginando un sondaggio sui desideri, abbiamo deciso di partire da cinque verbi. Verbi che indicano azioni, e dunque la nostra capacità – e possibilità – di agire, calandoci nel mondo, sole senza mai essere del tutto sole, perché il mondo lo dividiamo con gli altri, e insieme agli altri lo abitiamo: fare, dare, ricevere. Ma anche verbi di stato, che hanno a che fare con quello che siamo, con la nostra condizione di quiete o di moto, o di inquietudine. Perché il nostro essere – che include l’apparire, non dimentichiamolo per paura della frivolezza – risponde a sua volta ai desideri che proiettiamo su un’idea di noi. E, allo stesso modo, stare, occupare un posto nello spazio, significa assumere una postura che potremmo sognare diversa.

I risultati sono stati sorprendenti e, c’è da sperare, sinceri. Viene fuori che per lo più, le donne intervistate non desiderano trasformarsi, cambiarsi, né imporsi dei pretesi miglioramenti che le snaturino; ma imparare sempre più a vivere in armonia con quello che sono già, con il tempo che non vorrebbero più vedere come un tiranno ma come un regalo da godersi, da abitare e impiegare per sé e per la cura del proprio corpo, oltre che per lasciare a chi verrà domani un Pianeta vivibile. Desiderano ricevere stima e gratificazioni dagli altri, sul lavoro e nella vita affettiva; godere della gratitudine alla vita, essere belle rimanendo uniche. La felicità di cui questi desideri segnano il passo sembra un percorso interiore, più che un premio da aggiudicarsi in competizione con gli altri. Penso che Epicuro non ne sarebbe stato affatto scontento.

Chi è l’autrice

Ilaria Gaspari, 34 anni, è filosofa e scrittrice. Ha studiato alla Scuola Normale Superiore di Pisa e ha un dottorato sulle passioni alla Sorbona di Parigi. È l’astro nascente della filosofia italiana e non ha per nulla l’aria ombrosa (lei direbbe “pesantona”) a cui ci hanno abituati i suoi colleghi: sempre sorridente, con vestiti sgargianti e quel rossetto vivace che mette in mostra una orgogliosa vanità femminile. Dopo Lezioni di felicità. Esercizi filosofici per il buon uso della vita, già tradotto in diverse lingue, ha pubblicato il nuovo saggio Vita segreta delle emozioni (Einaudi).