Ci sono donne che sembrano vivere fuori dal tempo che hanno abitato. Maria Montessori è una di loro. Ne avrete sentito parlare tanto in questi giorni perché ricorrono i 150 anni della sua nascita. Io ho approfittato delle vacanze estive per immergermi nella sua storia.
Ho scoperto che era molto bella e quando nel 1896 intervenne a un convegno femminista di Berlino, molti giornali, tra cui il Corriere della Sera, paragonarono la graziosa delegata italiana alla Monnalisa. In una lettera alla sua famiglia, Maria confessò la lusinga per quei complimenti ma anche la ferma volontà di far sparire d’ora in avanti la sua faccia dai giornali: «Nessuno oserà più cantare le mie supposte bellezze, io lavorerò seriamente». Questo non la portò a deprimere il suo aspetto fisico, continuò a vestire con grande gusto e a prendersi cura della sua bellezza, ma fece in modo che essa non surclassasse mai le sue idee, le sue battaglie.
Ho scoperto che quando fondò le prime Case dei bambini lo fece per quelli poveri, sì, ma anche per quelli che restavano soli in casa quando la madre andava a lavorare. Le Case dovevano permettere l’elevazione sociale delle donne, finalmente libere di realizzarsi fuori dall’ambito domestico e di svolgere un’attività serenamente, tranquille di poter lasciare i loro figli in buone mani. Era più di 100 anni fa e Maria Montessori intuì che quello che noi oggi chiameremmo “nido” o “materna” potesse essere un volano per l’indipendenza femminile e quindi un contributo al benessere della famiglia. Certo, lo stipendio della donna era solo un’integrazione a quello maschile. Ma per quei tempi, già solo concepire il lavoro extradomestico come un aspetto emancipatorio è straordinario.
Ho scoperto che lei, il suo bambino, lo aveva perduto, perché aveva scelto di averlo fuori dal matrimonio. Lo visitò per anni senza mai rivelarsi come madre, fino a quando, all’età di 15 anni, poté riprenderselo. E non se ne allontanò più: lui divenne il suo principale collaboratore. Non sposò il padre di suo figlio, pur amandolo e pur essendo entrambi liberi, forse perché la famiglia di lui temeva l’eccessiva libertà di Maria. Mentre la famiglia di lei temeva che la vita coniugale e l’attività domestica intralciassero la sua carriera scientifica.
Ho scoperto, infine, che aveva una madre, Renilde, che non aveva potuto studiare ma riteneva che sua figlia fosse destinata a grandi missioni. E forse è proprio quello il tempo che ha abitato. Quello ricamato dai sogni di sua madre.