Ilaria Capua non ha bisogno di presentazioni: 54 anni, virologa di fama internazionale, una formazione in Veterinaria, si occupa da oltre 30 anni di virus e di malattie trasmissibili dagli animali all’uomo. È tra i 50 scienziati più importanti del mondo secondo Scientific American, “Mente rivoluzionaria” nel 2008 per la rivista Seed per aver promosso la condivisione dei dati sui virus influenzali su piattaforme open access, eletta alla Camera dei Deputati nel 2013.
Poi un’indagine giudiziaria – rivelatasi infondata – l’ha travolta 6 anni fa e l’ha costretta a lasciare l’Italia (tutta la storia l’ha raccontata lei stessa nel 2017 nel libro Io, trafficante di virus, Rizzoli).
Oggi Ilaria Capua è in Florida, a Gainesville, dove dirige il centro di eccellenza One Health ed è diventata una delle voci più autorevoli per quanto riguarda la pandemia che stiamo vivendo. «Un virus che ci ha costretto a cambiare mappa mentale» come scrive nel suo libro appena uscito: Il dopo (Mondadori). «Ho sentito il bisogno di riunire in un testo unico alcune riflessioni che servono o serviranno, io spero, a far capire meglio cosa sta succedendo, perché questo è un fenomeno di portata epocale» spiega al telefono dagli Usa.
Cosa ci ha insegnato? «Che siamo tutti molto più fragili di quello che pensavamo di essere. Ma anche che ciò che fino a ieri sembrava impossibile è diventato possibile. Eravamo sicuri che non si potesse lavorare senza prendere la macchina e andare in ufficio, abbiamo capito invece che per molti mestieri si può fare. Il Covid-19 ha lasciato in alcuni casi delle macerie, ma ci ha nel contempo dato dei punti di partenza da cui ricominciare e iniziare un nuovo percorso. Anche perché con questo virus dovremo imparare a convivere per molto tempo».
Lei dice che bisogna tagliare i rami secchi. «È un tempo sospeso, no? Io questo periodo l’ho sfruttato per cucinare, imparare a cucire, fare mille altre cose. Ma i rami secchi li hanno tagliati un po’ tutti: quanti rapporti sono andati in crisi? Quante difficoltà e tensioni ci sono state? È stato un grandissimo stress test per le famiglie, l’economia, la sanità, i trasporti locali e internazionali. Ora, per esempio, posso dare delle interviste oppure fare delle bellissime relazioni online senza inquinare e soprattutto senza affaticarmi più di tanto. Credo veramente che questa sia un’opportunità per permettere ai boccioli che ognuno ha dentro di sé di sbocciare. Ed è bene che alcune situazioni vadano ripensate».
Come il ruolo delle donne? «Le donne hanno dimostrato un minore rischio di sviluppare la forma grave della malattia e quindi sono quelle che più di altri possono avere un ruolo attivo nello scenario che si apre. Avere un 50% di donne sul totale di coloro che tornano al lavoro sarebbe un’ottima cosa, stando ai dati di oggi».
Non ci sono ancora troppi ostacoli per una società “women friendly”? «Da qualche parte bisognerà cominciare, no? E poi quante cose stiamo rimettendo in discussione grazie a una pallina di gelatina microscopica che ha messo in crisi un sistema che sembrava intoccabile?».
Eppure la sua storia insegna che bisogna espatriare. «Be’ la mia storia è diversa. Sono stata molto attaccata in passato. Ma se non fossi stata costretta a espatriare, adesso avrei lo stesso ruolo? Non ne sono tanto certa: qui in America riesco a mantenere una posizione di distacco, mi garantisce lo scudo del “nessuno è profeta in patria”. Vorrei che gli italiani ci pensassero: perché diamo più valore alle persone che sono state all’estero e poi ci lamentiamo della fuga di cervelli?».
Mai come ora però gli scienziati sono delle star. «Si diventa star per il consenso popolare, ma è un’arma a doppio taglio perché prima o poi quel favore sparisce. In tutta la mia carriera ho cercato di essere fedele alle mie idee e ai miei principi piuttosto che al consenso della gente. Ma sono anche una delle poche donne, quindi mi faccio avanti per fare strada alle “roselline”. Mi piacerebbe che ci fossero più donne a parlare in questa situazione. Quello che invece posso dire è che questa pandemia ci dà una finestra per riavvicinare le famiglie all’importanza vitale della scienza. Anche per questo stiamo cercando di raggiungere 1 milione di views con un video intitolato Beautiful Science con la musica di Andrea Bocelli» (si trova su YouTube, ndr).
Ha anche in ballo un progetto con Fabiola Gianotti, direttrice del Cern di Ginevra. Di che si tratta? «È una iniziativa di convergenza tra ricercatori di discipline molto diverse che studierà i Big data che la pandemia sta generando, attraverso la capacità computazionale e l’infrastruttura del Cern. È una sinergia, per fare qualcosa di nuovo. È ora che le discipline si aprano al mondo, perché adesso bisogna davvero essere “open”, condividere, lavorare insieme».
Anche il vaccino arriverà? «Io spero che una prossima volta non saremo impreparati, perché il vaccino bisognerebbe averlo prima, no? È la base della pizza, come scrivo nel mio libro. Io credo che arriverà e che dovrebbero farlo le persone sopra i 50 anni. Non come quello dell’influenza che ancora fanno in pochi. Io la mia famiglia la vaccino tutta, compresa mia figlia da quando era piccola».
Ma come si fa a raccontare certe cose senza essere troppo allarmisti? «Creare allarme, soprattutto nell’era dei social è pericoloso, soprattutto con questa pandemia piena di incertezze. Per fortuna ora sta mollando la presa, ma abbiamo avuto dei momenti di maggiore gravità. Io ho cercato di basare il ragionamento su quello che sappiamo e impariamo ogni giorno: il vero indicatore è il numero di persone in terapia intensiva, non il numero degli infetti che, in larga parte, possono essere asintomatici. Una volta che quello si sarà stabilizzato, saremo al nuovo punto zero. Per ora dobbiamo mantenere il distanziamento fisico, l’igiene delle mani e tenere monitorati gli ingressi nelle terapie intensive».
Un’ultima domanda: chi sono le “rose quadrate” a cui ha dedicato il libro? «Maria Grazia e Isobel, mia mamma e mia suocera, un’italiana e una scozzese della stessa età, entrambe vedove, che hanno vissuto la guerra, tirato su delle famiglie. Sono le vere rose quadrate del nostro tempo, forti e belle. Per questo l’ho dedicato a loro, perché noi le dobbiamo proteggere, e restituire loro qualcosa. Perché siamo le loro roselline».
In libreria e online
Il dopo (Mondadori), appena uscito, parla delle “nuove “mappe mentali” che dovremo adottare dopo la pandemia. Su questo argomento Ilaria Capua terrà una serie di incontri digitali: dopo quello del 26 maggio con Alessandro Baricco, il 28 ci sarà Enrico Letta, il 3 giugno l’economista Enrico Giovannini, il 5 Serena Dandini. Tutti gli incontri sono alle 18 e si possono seguire sulle pagine Facebook di Elastica @elasticaevents e di Libri Mondadori @mondadorilibri.