Si presenta sui social con simpatica schiettezza come «economista che non sa risparmiare» e ha un obiettivo preciso: «raccontare l’economia politica in 15 secondi». È Imen Boulahrajane, nata 24 anni fa a Varese da genitori marocchini e laureata alla Bicocca di Milano, dove vive. Se il suo nome non vi dice nulla, provate a cercarla in Rete con il suo nick, Imen Jane. Sul profilo Instagram, tra uno scatto in cui fa shopping e un altro in cui beve un aperitivo, compaiono foto di Theresa May, di Mario Draghi e altri leader con sintetiche, ma accurate spiegazioni. Una formula vincente visto che Imen è riuscita a far appassionare oltre 60.000 persone a temi non semplici che toccano il portafogli e la vita di tutti noi.
Quando hai cominciato a interessarti di economia politica?
«A 7 anni. Ho avuto un’infanzia tranquilla in un paese di provincia. Ma dopo l’attentato alle Torri Gemelle hanno iniziato a chiedere a me, marocchina, cosa ne pensassi. Da allora ho capito che dovevo informarmi, avere un’opinione e saper dare delle risposte».
Come sei riuscita a portare una materia così poco glamour su un social considerato molto leggero?
«Mi sono laureata in Economia ed amministrazione d’impresa e da subito mi sono resa conto di quanto l’università sia una specie di “bolla”. Finiti gli studi è probabile che tu non sappia neanche cosa sia il 730! Questo scollamento tra il mondo della scuola e quello del lavoro l’ho visto anche tra i miei amici. La scintilla è stata una cena in compagnia: c’era appena stato il decennale della crisi del 2008 e ne abbiamo parlato. Alcuni mi dicevano: “Dopo tanti anni non ho ancora capito cosa voglia dire spread”. Questa cosa mi ha aperto gli occhi. Usavo già Instagram creando racconti per la cerchia dei miei amici, in una dimensione familiare. In quel momento ho pensato che avrei potuto farne qualcosa di diverso».
E hai iniziato a parlare dello spread?
«In realtà la mia prima serie di Instagram stories è stata sulla crisi del 2008. Non ne avevo mai fatte con la mia faccia, e in poco tempo ne ho caricato una sequenza di 26 con lo spiegone della crisi. Ho iniziato una domenica, in modo casalingo. A riguardarmi, mi chiedo dove io abbia trovato il coraggio: la qualità del video faceva pena, ero in camera mia con una luce soffusa, un risultato atroce (ride, ndr). Ma è stata un’esperienza che mi ha insegnato a togliere tutti quei paletti che ci mettiamo da sole, quando pensiamo: “Oddio ho il naso grosso, mi si vede brutta”».
Quei video sono stati tutt’altro che fallimentari.
«Sì, hanno avuto subito un successo incredibile. Mi arrivavano messaggi di persone che mi dicevano: “Finalmente ho capito”. Per me è stata una grande soddisfazione, così ho creato un appuntamento fisso, ogni domenica. Nel giro di 3-4 settimane però i followers sono aumentati tantissimo, ogni giorno ricevevo richieste di informazioni. Allora ho deciso di trasformare il mio profilo personale, in cui mi facevo essenzialmente gli affari miei, in qualcosa di più divulgativo. E oggi siamo a 4/5 mini spiegazioni settimanali, tutte le volte che c’è l’occasione o che serve: dalla Brexit alla crisi di governo».
Come ti spieghi le ragioni di questo successo?
«Credo di aver colmato un vuoto. Le mie sorelle di 14 e 20 anni non guardano la tv né leggono i giornali: il loro canale di informazione sono i social. Io stessa ho scoperto gli incendi dell’Amazzonia su Instagram! La differenza è che vieni a sapere dell’incendio perché esiste una campagna internazionale che “spinge” la notizia, ma lo stesso non accade per le notizie italiane… Tra i miei follower le donne sono il 70%, perché spesso tratto temi femminili. Ci sono anche tanti giovani tra i 18 e i 35 anni, dagli ingegneri ai ragazzi neodiplomati. Una volta mi ha scritto un professore di Economia di Pavia: il taglio leggero delle mie stories gli fornisce spunti per le lezioni. E mi contattano mamme che mi dicono di aver segnalato il mio profilo alle figlie, “così le aiuti a capire”».
Una donna giovane in un settore tradizionalmente maschile. Questo ti ha creato problemi?
«Sono da sempre attenta alle dinamiche di leadership femminile. Instagram pullula di influencer che si limitano a temi superficiali e con il mio profilo voglio dimostrare che puoi parlare di smalti ma anche saper spiegare una crisi di governo. Per fortuna, non ho mai avuto haters. La critica è sempre sui contenuti, su qualcosa che ho detto o fatto. Ma chi la fa mira ad aggiungere qualcosa, non a puntare il dito. Le richieste sono sempre sui temi di attualità e, soprattutto da parte dei miei coetanei, sull’ambiente. Per me Instagram si è rivelato una specie di carta d’identità generazionale: se pubblico una foto dove bevo da una bottiglietta di plastica, i follower intervengono subito».
Visto il tuo successo, hai mai pensarto di sponsorizzare o vendere prodotti?
«Non faccio influencer marketing perché credo che il mio valore aggiunto siano l’obiettività e la credibilità. Ora ho delle collaborazioni sia con dei media sia con aziende, che mi chiedono aiuto per sviluppare delle presentazioni o degli eventi con un linguaggio comprensibile, diretto e accattivante. Così riesco ad avere entrate sufficienti. Nel frattempo sto tastando il terreno su cosa possa funzionare meglio per il mio profilo, in modo da rendere il progetto più forte e strutturato».