In questi mesi si è discusso molto dell’app per il tracciamento dei contagi da coronavirus, in particolare riguardo alla privacy dei dati raccolti e alla sua efficacia nel combattere il virus (è necessario, meglio ricordarlo, che almeno il 60% della popolazione la scarichi e vi partecipi attivamente). Tra ritardi e polemiche, alla fine Immuni è arrivata – qui ti spieghiamo come scaricarla e usarla – ma a catturare l’attenzione è stata un’immagine in particolare che, con il virus, sembra avere poco a che fare. L’avrai vista girare sui social o direttamente sul tuo telefono se vivi in una di quelle regioni dove l’app è già disponibile: si tratta del disegno di una mamma al balcone con il figlioletto in braccio e di un papà al computer che, immaginiamo, stia lavorando da casa in modalità smart working. Un’immagine innocua ma che, essendo l’unica rappresentazione che l’app sembra fornire della famiglia, ha creato non poche polemiche, al punto che gli sviluppatori dell’app l’hanno cambiata, invertendo i ruoli: mamma al computer, papà che culla il piccolo di casa.
Stereotipi dannosi
Certo il compito di Immuni è un altro, e cioè quello – fondamentale – di aiutare le autorità sanitarie a tracciare e contenere tempestivamente i contagi, ma è importante fermarsi a riflettere anche su questioni diverse e che, in questo momento, possono apparire (ma non lo sono) secondarie.
È infatti singolare, e anche parecchio frustrante, dover registrare come per l’ennesima volta l’immagine della donna in Italia sia relegata a quella che si fa carico del lavoro di cura in famiglia, mentre l’uomo è rappresentato mentre, da solo, lavora al computer, perché evidenzia tutti i difetti di “rappresentazione” che sono fin troppo diffusi nella nostra società. Che il lavoro di cura non sia un lavoro a tutti gli effetti, tanto per cominciare, e che spetti solo alle donne, che le donne non contribuiscano al ménage familiare quanto gli uomini, in ultima analisi sembra non prendere in considerazione la difficile condizione in cui molte donne, in Italia, si sono ritrovate durante il periodo di quarantena e oltre.
Donne e coronavirus
Come scriveva Barbara Rachetti all’inizio del lockdown, il lavoro da casa per moltissime donne si è infatti dimostrato sin da subito estremamente difficile da gestire. La carenza di molte aziende nell’organizzare lo smart working, quella delle scuole nel gestire la didattica online e la mancata partecipazione del partner nella quotidianità sono tutti fattori che, molto concretamente, hanno contribuito ad aumentare il carico mentale e fisico di molte donne in Italia, madri e single.
E la fase 2 non ha portato dei sostanziali miglioramenti, anzi ha aggiunto la paura di un pericoloso salto all’indietro nell’occupazione femminile nel nostro Paese, già problematica: come segnalava Myriam Defilippi, è reale il rischio che molte madri, per accudire i figli piccoli e i genitori anziani, possano trovarsi costrette a lasciare il proprio impiego.
«L’Istat dice che due terzi delle lavoratrici, ovvero 6,4 milioni, hanno continuato a operare in settori strategici: dottoresse, infermiere, cassiere, addette alle pulizie, spesso faccia a faccia con il virus. Poi ci sono colf, badanti e babysitter a cui la paura del contagio ha spesso tolto il posto e, per finire, molte impiegate in pieno burn-out casalingo tra smart working d’emergenza e cura della famiglia. Con il rientro al lavoro, che coinvolge 4.400.000 persone al 72% uomini e registra la cassa integrazione per 1 dipendente su 2, arrivano anche altri pericoli».
La situazione, insomma, è tutt’altro che rosea: è ovvio che questi dati non hanno a che fare direttamente con l’immagine di Immuni, ma ci sembra significativo che nessuno si sia posto il problema, al momento di scegliere come rappresentare una mamma e un papà italiani, di provare a disegnarli in maniera più equa. Le esigenze erano altre, capiamo benissimo anche questo, ma la frustrazione è quella di sempre: viene da pensare che il virus non ci abbia poi così cambiati, visto che certe cose sembrano rimanere sempre uguali.