Manuela e Vittorio, rispettivamente 80 e 85 anni, sono sposati e insieme hanno affrontato il cancro, entrambi ammalati e curati con l’immunoterapia. Lo stesso vale per Sabrina, più giovane e per Susanna, che a distanza di dieci anni dalla diagnosi di melanoma ha ripreso la sua vita attiva. Sono alcune delle storie raccontate nel libro Il cancro ha già perso (Piemme editore) e che fanno da filo conduttore alle spiegazioni sull’immunoterapia, una cura così rivoluzionaria da avere ottenuto il Nobel per la medicina nel 2018.

Per la prima volta ci sono molecole capaci di rendere le cellule malate visibili al sistema immunitario, che in questo modo riesce ad aggredirle. E funzionano, come provano i numeri: a tutt’oggi nel mondo, Italia compresa, grazie ai farmaci immunoterapici circa la metà dei pazienti oncologici convive con il tumore stando bene. Ma non è così per tutti ed è qui che si sta concentrando la ricerca. Come ci racconta Michele Maio, direttore del Centro di immunoncologia del Policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena, al primo posto nella top ten delle strutture specializzate in questo campo della medicina.

Perché non sempre funzionano i farmaci immunoterapici?

«Si è visto che a volte il tumore crea delle barriere, sfruttando la complicità di alcune cellule del sistema immunitario. Questo “muro” riesce a limitare l’azione delle difese dell’organismo nel distruggere le cellule tumorali, nonostante queste siano state attivate da farmaci immunoterapici di efficacia comprovata. La ricerca quindi si sta muovendo in due direzioni: da una parte, lo sviluppo di altri immunoterapici che agiscano su meccanismi diversi rispetto a quelli esistenti. Dall’altra, l’utilizzo di strategie che aggirino gli ostacoli creati dal tumore. È un mondo che stiamo iniziando a esplorare ora e che riguarda l’organismo nella sua complessità, comprese la flora intestinale e le malattie metaboliche, come ipercolesterolemia, diabete e obesità. Questo perché per far funzionare al meglio il sistema immunitario, è necessario ridurre al minimo tutto ciò che può distrarne l’attività che deve essere concentrata sulla battaglia contro il tumore».

Sono solo ipotesi oppure c’è già qualcosa di concreto?

«Sarà pubblicato nei prossimi giorni sulla rivista scientifica Clinical Cancer Research il primo studio clinico al mondo, ideato presso il nostro Centro di Siena, che ha utilizzato un mix di immunoterapico e una molecola che fa parte di una nuova classe di farmaci chiamati epigenetici. Le nostre ricerche hanno dimostrato che, in alcuni casi, nelle cellule malate ci sono alterazioni capaci di renderle invisibili al sistema immunitario. Il principio attivo epigenetico è in grado di modificare proprio queste alterazioni. Così il tumore può essere attaccato dal sistema di difesa dell’organismo. Il nostro studio ha fornito risultati positivi e la malattia è sotto controllo in circa la metà dei pazienti, quasi il doppio rispetto al trattamento con il solo farmaco immunoterapico».

Oltre ai farmaci cos’altro si può fare per rendere il tumore più attaccabile?

«Ci sono i primi risultati degli studi sul microbioma, cioè l’insieme di batteri buoni e cattivi che popolano l’intestino e l’intero organismo. Sappiamo che ha un ruolo, ma non ne conosciamo ancora il meccanismo. Dalle prime analisi della flora intestinale dei pazienti in cura con i farmaci immunoterapici, sembrerebbe però che l’esistenza di una determinata composizione di batteri predisponga il sistema immunitario a rispondere maggiormente. E si è visto che con il trapianto fecale, cioè del tessuto elaborato di feci contenenti il microbioma di un donatore in salute, è possibile modificare radicalmente la composizione della flora intestinale e potenziare la funzionalità del sistema immunitario. Nell’attesa, stiamo molto attenti per esempio alla prescrizione di antibiotici che potrebbero abbattere proprio quella popolazione di batteri così importante per il buon funzionamento del sistema immunitario contro le cellule oncogene. E, compatibilmente con lo stato di salute, consigliamo di seguire la dieta mediterranea, di non fumare e di fare attività fisica».

Lo stile di vita può avere un impatto?

«Certo, ma la questione è complessa. Un’area di ricerca che si sta iniziando a sviluppare è quella dell’immunometabolismo, cioè la relazione tra sistema immunitario e metabolismo. I sospetti c’erano già, ma oggi sappiamo che i pazienti obesi hanno un rischio maggiore di sviluppare il cancro e che il colesterolo è in grado di regolare la funzione del sistema immunitario. Da qui, le ipotesi relative alla capacità di questi fattori di causare, per esempio, stati di infiammazione cronica nell’organismo in grado di limitare le capacità delle cellule immunitarie di lavorare al meglio. Si sa che l’eccesso di colesterolo, la glicemia alta e il sovrappeso provocano alla cellula un vero e proprio stato di stress. La ricerca punta ora a capire come spegnerlo. Di sicuro, tenere sotto controllo i valori metabolici alterati e dimagrire può già essere una valida terapia».

Immunoterapia: le indicazioni dei farmaci

I farmaci per l’immunoterapia in Italia sono già disponibili e a carico del Servizio sanitario nazionale per i pazienti con melanoma, tumore del polmone e del rene in fase avanzata. E sono in corso le valutazioni registrative da parte dell’AIFA anche per i tumori avanzati del distretto testa-collo, della vescica e per il tumore a cellule di Merkel della cute. Attenzione però. Il tumore non sempre è candidato all’immunoterapia. Per saperlo, è necessario effettuare dei test molecolari, gli unici in grado di capire se è possibile prescrivere i farmaci immunoterapici.