In piedi o seduti? Come devono stare i ragazzi quando entra un professore in classe? È una questione di educazione, di buone maniere o solo un gesto antico che ricorda la scuola del Novecento e le lezioni frontali con la lavagna d’ardesia? Ad aprire il dibattito è stato Ferdinando Camon dalle pagine de “L’Avvenire”: “Mi suona strano che qualcuno ponga la questione se gli studenti si alzano o non si alzano in piedi quando entra l’insegnante. Negli istituti, nelle magistrali, nei licei, ho sempre visto gli studenti alzarsi quando entrava il professore, e sedersi “dopo” che lui si era seduto. Solo allora cominciava la lezione”.
E ancora aggiunge il professore dell’Università di Padova: “Tra studente e professore esiste sempre una differenza di “sapere” e di ruolo, uno sa e dona il suo sapere, l’altro lo riceve e ringrazia per quel dono. Il ringraziamento si esprime con l’alzata in piedi”.
Camon arriva persino ad auspicare una circolare ministeriale che renda obbligatorio il gesto.
Una questione ripresa anche dal “Corriere della Sera” che è andato a vedere dove ci si alza ancora in piedi quando entra il professore mettendo a confronto Paolo Crepet (a favore) del gesto e il pedagogista Daniele Novara (contrario) perché “basta un cordiale buongiorno. Le forme basate su principi di autorità da Ancien Régime non funzionano”.
Chi vive nella scuola sa meglio di ogni altro che il “rispetto” non si acquisisce con l’obbligo ma con l’autorevolezza e il carisma del professore o del maestro. Un grande dirigente della scuola italiana ormai scomparso, Gian Franco Zavalloni, ci indicava la strada guardando alla scuola dell’infanzia da dove lui proveniva. I professori universitari o i docenti delle secondarie dovrebbero ripartire da lì, dai primi momenti in cui l’individuo ha a che fare con la figura di colui che lo educa.
L’incontro tra l’insegnante della scuola dell’infanzia e il bambino avviene attraverso un momento di reale accoglienza, in genere in cerchio, raccontandosi. Manca forse il rispetto in quel gesto? La lezione comincia “insieme” e il bambino riconosce nella figura dell’insegnante un carisma tanto che impara ad ascoltarlo con passione. Quando intervistai il grande maestro Mario Lodi e gli chiesi: lei che faceva quando entrava in classe? Mi rispose: “Ci si sedeva in cerchio, ci raccontavamo perché lì nasce la democrazia”.
Nei mesi scorsi girava sulla rete il video di un insegnante di scuola elementare nel North Carolina, Stati Uniti, che ha ideato un saluto personalizzato per ciascuno dei suoi alunni, a seconda delle loro specifiche personalità. In questo modo gli studenti si entusiasmano, si sentono presi in considerazione, ricevono attenzione personale e sono pronti ad imparare in modo stimolante.
Non è certo l’ “alzarsi in piedi” ad essere segno di rispetto e ringraziamento. Gli studenti sanno ringraziarti e stimarti in molti altri modi: partecipando alla lezione, tenendo i cellulari nello zaino, alzando la mano per porre domande. Nelle mie classi mi basta entrare e dire “Grazie” perché i miei bambini sgomberino i tavoli dalle figurine per mettersi nei banchi. L’idea di Camon sembra purtroppo legata ad una scuola che non cambia, alla lezione frontale, alla convinzione che a ringraziare debbano essere solo i ragazzi e non gli insegnanti che, invece, nell’incontro con gli studenti continuano ad imparare.
Vi posso assicurare che i miei ex alunni, oggi alle medie, si alzano in piedi e sono passati dal “tu” detto al maestro al “lei” dato al professore ma dietro le quinte, nelle chat di WhatsApp o sul muretto del parco, dalle loro bocche escono le peggior cose su docenti che non sono stati certo capaci di conquistarli, di interessarli, di coinvolgerli, di essere autorevoli e non autoritari.