C’è un villaggio piccolo piccolo, abitato da una coppia con un bambino o una bambina, quando va bene. È un luogo di felicità, dedizione e spesso anche di solitudine, sfiducia, incertezze sul domani. Di equilibri difficili. Questo microcosmo è la famiglia italiana anno 2024, l’emblema europeo delle culle vuote, della fatica di essere e di diventare genitori, come emerge dagli ultimi Stati generali della natalità di Roma e da questa nostra inchiesta su genitori e denatalità.
Inchiesta sui genitori: le cause della denatalità
Ma come siamo passati dal baby boom degli anni ’60 ai 200 anziani ogni 100 giovani di oggi? Condensando, si potrebbe dire che ci sono meno donne, che fanno pochi figli e sempre più tardi. «Il persistente e prolungato calo della natalità e della fecondità è uno dei tratti distintivi della storia dell’Italia» conferma la demografa Cinzia Castagnaro, prima ricercatrice Istat. «Al contrario di altri Stati, non si è mai arrestato in maniera significativa e oggi ne tocchiamo con mano gli effetti. Nel 2023, con sole 379.000 nascite, c’è stato un nuovo record di denatalità. Se pensiamo al milione e oltre di bambini venuti al mondo nel 1964, la differenza è abissale».
Che sia una scelta, una rinuncia, un adattamento alle incertezze economiche, la bassa natalità italiana di oggi ha comunque una causa irrisolvibile: negli ultimi 15 anni, la popolazione femminile in età fertile è diminuita di 2,2 milioni di unità. Abbiamo 1,20 figli a testa, con un’età media del primo parto di 31,6 anni. «Il continuo posticipare si è trasformato in molti casi in una rinuncia: quasi della metà delle donne tra 18 e 49 anni è senza figli» avvisa Cinzia Castagnaro. «Su 10 donne childless che dichiarano di non volerli in futuro, solo in 2 casi si tratta di childfree per le quali la maternità non rientra tra i loro progetti di vita. Questo significa che in 8 casi su 10 ci sono difficoltà che non consentono alle coppie di realizzare il proprio desiderio di genitorialità».
La denatalità si combatte con l’assistenza
Per risollevare le nascite occorre spostare l’attenzione dal dato quantitativo – sul quale difficilmente si potrà intervenire – a quello qualitativo. Bisogna “far nascere” prima di tutto i genitori, aiutarli sul piano emotivo e materiale soprattutto nei primi 1.000 giorni di vita del figlio. Spiega il pediatra Giorgio Tamburlini, presidente del Centro della Salute del Bambino. Da 25 anni promuove servizi e politiche per le famiglie: «Il desiderio di avere figli rimane inespresso perché aumentano dubbi e incertezze tra i giovani per almeno tre motivazioni. Una più tradizionale, economica. Una dettata dalle emergenze dei nostri tempi, dalle guerre ai cambiamenti climatici. Il terzo elemento è il dubbio del “ma sarò in grado?”».
«Oggi c’è più consapevolezza ma anche un eccesso di responsabilità, vediamo genitori sempre più spaventati perché la società li lascia soli, hanno meno nonni, meno “fattoria” intorno, meno guide, avrebbero bisogno di molti più servizi per l’infanzia, di incentivi e di spazi di condivisione» continua. «Per curare la denatalità è necessario prendersi cura delle madri e dei padri perché, se avranno una buona esperienza col primo figlio, magari poi ne faranno un altro. Vanno incoraggiati anche con politiche robuste, per esempio con congedi di paternità molto più lunghi. Spagna e Portogallo sono a 12 settimane, noi ad appena 10 giorni. C’è una copiosa letteratura che dimostra come l’attaccamento empatico del padre al figlio nei primissimi periodi faciliti la cura successiva e produca benefici sui bambini anche durante l’adolescenza».
Tra le campagne europee sostenute dal Centro del professor Tamburlini ci sono proprio Engaging Men in Nurturing Care, che promuove l’uguaglianza di genere tra i caregiver, e 4e-parent che stimola una mascolinità accudente per prevenire la violenza di genere. «Se vogliamo un futuro di adulti che diano un contributo positivo alla società, dobbiamo investire sui figli facendoli crescere bene, aumentando le risorse per i loro primi anni di vita, e cercando di non farli scappare poi via una volta adulti» aggiunge il pediatra.
La storia di Martina e il desiderio di una famiglia
«Ogni anno circa 15.000 giovani italiani vanno all’estero per fare carriera, la loro assenza non incide solo sul nostro prodotto economico, intacca anche l’indice demografico». Martina era uno dei nostri tanti cervelli in fuga: una laurea in Biologia, un’occasione di lavoro negli Stati Uniti poco dopo gli studi. A 35 anni, però, la voglia di rientrare e di fare famiglia “all’italiana” aveva avuto la meglio.
Ma i suoi progetti si sono scontrati con più difficoltà: «Le mie entrate si sono dimezzate e, tra mutuo, costo della vita a Milano e orari di lavoro inconciliabili persino per cenare con il mio compagno, ho dovuto rivedere i miei piani. A furia di rimandare non sono più riuscita a rimanere incinta. Oggi ho 40 anni, ho fatto diversi tentativi di fecondazione assistita andati male e stiamo valutando un’adozione. La voglia di rinunciare si fa spesso sentire, mi dico che stiamo bene anche così e non vedo coppie di genitori tanto serene e realizzate, anzi. Mi sembra che la famiglia sia diventata un luogo di criticità, soprattutto per le donne».
Inchiesta su genitori e denatalità: il futuro (preoccupante)
Rassegnarsi a un Paese che invecchia è difficile, ma le evidenze invitano a essere realisti. «Nel 2050 avremo oltre 300 persone over 65 ogni 100 under 14, ci saranno generazioni di grandi anziani come mai in passato e molte meno persone in età attiva» avvisa Cinzia Castagnaro.
La soluzione? Le politiche a sostegno della famiglia, così come la presenza di un mercato del lavoro meno precario. «Alcuni Paesi europei, come Germania e Francia, attraverso riforme mirate e strutturate provano a invertire la rotta; nel 2022 il numero medio di figli per donna è arrivato a 1,79 in Francia e a 1,46 in Germania». Anche in Italia abbiamo un’eccezione virtuosa: è la Provincia autonoma di Bolzano, arrivata a 1,56 contro l’1,20 nazionale. Ma qui, inutile dirlo, i servizi alle famiglie funzionano.
Inchiesta sui genitori: il progetto di Prénatal per la denatalità
Più genitori felici, più bambini. L’equazione sembra semplice, però arrestare il calo di nuove nascite in Italia è una sfida contro il tempo. Per introdurre un cambiamento concreto servono importanti politiche pubbliche, ma anche piccole azioni quotidiane di grande impatto. È la filosofa di “Generazione G – Generazione Genitori” di Prénatal, iniziativa lanciata a settembre 2023 ed entrata ora nella fase esecutiva, come spiega la direttrice marketing Valeria Sorrentino.
«In occasione del nostro 60° anniversario abbiamo deciso di farci promotori di un progetto che potesse incidere sulle future generazioni. Partendo dal presupposto che secondo noi non nascono nuovi bambini perché non nascono nuovi genitori, abbiamo messo le mamme e i papà al centro per renderli i veri protagonisti, trovando una rete di genitori esperti che sostengono quelli in difficoltà, affinché la scelta di mettere al mondo dei figli non sia più avvertita come penalizzante ma valoriale».
Inchiesta genitori: Generazione G contro la denatalità
Generazione G è stato lanciato lo scorso anno con una raccolta fondi nei circa 400 punti vendita, sugli e-commerce delle insegne di PRG Retail Group (Prénatal, Toys Center, Bimbostore e Fao Schwarz) e sul sito generazioneg.com, in collaborazione con l’Associazione Moige ed altre aziende partner. «Siamo partiti questo aprile con i primi 250 nuclei, entro fine anno puntiamo ad arrivare ai 500 avendo già raccolto oltre 700.000 euro in soli 7 mesi» continua Valeria Sorrentino. «Il desiderio è offrire a chi vive condizioni di difficoltà economiche e sociali un supporto concreto per 12 mesi grazie a una rete di genitori esperti che metta a disposizione esperienza, tempo e impegno in base ai bisogni reali di madri e padri fragili, con una gestione in presenza fisica e, se richiesto, con aiuto via telefono e messaggio».
Sono stati attivati team di genitori esperti in 13 Regioni. In prevalenza mamme con anni di esperienza, e ci sono anche genitori esperti con competenze professionali specifiche. Pedagogisti, psicologi, medici, ostetriche, doule. «Il supporto consiste nell’individuare il tipo di vulnerabilità della famiglia beneficiaria, per esempio nella gestione del bambino, nella mancanza di un lavoro o di un luogo di aggregazione, in un forte disagio psico-emotivo» spiega Elisabetta Scala, vicepresidente Moige. «Poi si avvia un percorso di affancamento pratico, dai consigli per il bagnetto all’allattamento, dalle scelte vaccinali e sanitarie al poter fare rete».
Le storie dietro a Generazione G
Tra i requisiti richiesti ai genitori esperti c’è la capacità di comunicare con altre mamme e papà, mostrando empatia, pazienza e rispetto. «La selezione è stata fatta tra persone che avevano già partecipato a progetti simili e avevano ricevuto una formazione specifica». Antonella Carrozzini è mamma di 3 figlie, è pedagogista, abita a Lecce. Tra i motivi che l’hanno spinta a partecipare «c’è la consapevolezza che l’esperienza genitoriale ti prende totalmente e ti fa sentire spaesata, timorosa e insicura. In questo primo mese è stato importante conquistare la fducia delle mamme che mi sono state affdate. Abbiamo parlato della possibilità di riuscire a liberarci dal peso dell’idea della “madre perfetta” per accogliere con serenità le nostre debolezze».
Francesco Finelli, papà di 3 figli e ginecologo di Avellino, ammette di portare avanti «il mio impegno con rispetto, amore, disponibilità e dedizione. In questo primo mese ho avuto il privilegio di offrire il mio bagaglio di conoscenze e competenze professionali come medico a due mamme e a due papà. Il supporto che ho offerto non si limita alla presenza fisica, ma si estende al sostegno morale». Un aspetto fondamentale per chi, oggi, affronta le tante sfide quotidiane della genitorialità.