Le definiscono “stragi silenziose”. Il silenzio di chi sente le grida disperate di bambini picchiati dai loro genitori fino a essere ammazzati e non denuncia, quando potrebbe farlo in forma anonima. Ma anche il silenzio in cui vengono soffocate le urla dei piccoli come Jolanda, 8 mesi, uccisa nella notte fra il 21 e il 22 giugno in casa sua a Sant’Egidio del Monte Albino (Sa).
A stroncarle la vita i genitori: il padre, Giuseppe Passariello, è in carcere; la madre, Immacolata Monti, è accusata dal gip di correità e complicità nello strangolamento della piccola. Che da tempo era bersaglio indifeso di pesanti maltrattamenti emersi dall’autopsia: bruciature, ecchimosi, escoriazioni.
L’omicidio di Jolanda è l’ultimo di una lista che si infoltisce negli ultimi anni. Lo confermano i dati del rapporto Eures sugli omicidi in famiglia, appena uscito: lo scorso anno i figlicidi sono aumentati del 47,6% rispetto al precedente. Il 2017 aveva contato 21 vittime, il 2018 ne ha registrate 31. Venti bambini sono stati uccisi dai padri biologici (in molti casi per vendicarsi o punire la propria ex compagna) e 11 dalle madri (a volte per depressione post partum).
I bambini diventano il caprio espiatorio dei problemi degli adulti
Gli abusi subìti in appena 8 mesi di vita da Jolanda dimostrano che «nella stragrande maggioranza dei figlicidi non si tratta di un raptus, come non lo è quasi mai la violenza sui minori» commenta Melita Cavallo, già presidente del Tribunale per i minorenni di Roma. «Nella morte della piccola si è verificata una sorta di corresponsabilità della coppia maltrattante, con disturbi di personalità non presi in carico tempestivamente e, nel caso del padre, aggravati dall’abuso di droghe». Per la ex giudice, «problematiche psichiatriche mai diagnosticate né curate, creano un corto circuito con il mix di povertà economica, culturale e relazionale».
Questo è l’humus che accomuna padri e madri omicidi, «che scaricano la propria inadeguatezza personale e la fragilità del progetto genitoriale sui figli con una violenza fuori controllo». Il padre di Jolanda ha dichiarato di non sopportare il pianto della bambina e di preferirle il fratellino maschio di 4 anni. «In casi del genere i genitori sono immaturi, non considerano che il bambino non è un adulto in miniatura e non può obbedire ai comandi, ma ha esigenze completamente diverse» nota Anna Oliverio Ferraris, docente di Psicologia dello sviluppo alla Sapienza di Roma, autrice del saggio Dai figli non si divorzia (Bur).
«C’è anche il padre che è stato picchiato nella sua infanzia e ritiene normale disciplinare un figlio piccolo con le botte: così il bambino diventa il capro espiatorio di persone disadattate, con sofferenze esistenziali». E le madri quale ruolo hanno? «Donne come Imma, assistono alla violenza del compagno impotenti o complici, perché magari in alcuni momenti lui si è rivelato affettuoso. A fasi del genere seguono però crisi di rabbia incontrollata: questi padri, quando iniziano a picchiare, non riescono a smettere, si fanno eccitare dalle botte».
Il ruolo dei pediatri e dei servizi sociali è fondamentale
«La bigenitorialità è un principio sacrosanto, ma non può essere attuato quando un padre o una madre non sono in grado di gestire responsabilmente il loro ruolo» avverte Melita Cavallo. «Occorre una maggiore attenzione da parte di parenti, amici, vicini, ma anche della scuola, dei pediatri e del personale medico al momento delle vaccinazioni. I loro interventi possono evitare tragedie come quella di Jolanda».
Le sinergie sul campo non possono non coinvolgere i servizi sociali. «Dovrebbero essere più attivi e penetranti, seguendo le famiglie prima e dopo il parto e facendo una formazione obbligatoria sulla grammatica dell’età evolutiva» avverte la psicoterapeuta Anna Oliverio Ferraris. «Con le visite a domicilio si possono prevenire situazioni critiche: i problemi psicologici irrisolti rischiano di innescare uno sfogo ai danni dell’elemento debole della famiglia, che non sa difendersi».
Per intercettare le violenze sui minori prima che sia troppo tardi occorre anche una banca dati ad hoc, chiesta di recente da Filomena Albano, magistrata e Garante per l’infanzia e l’adolescenza, nella relazione annuale presentata al Parlamento. «È necessario mettere in relazione le informazioni in possesso di soggetti diversi come forze di polizia, magistratura, ministeri ed enti locali: adesso ognuno le raccoglie e tratta in modo differente. Bisogna adottare un sistema di monitoraggio costantemente aggiornato, utile per la prevenzione e il contrasto mirato al fenomeno».
I casi di cronaca
Sono 5 negli ultimi 3 mesi gli infanticidi simili a quello di Jolanda. Tra questi: Gabriel, 2 anni, strangolato con un calzino il 4 giugno a Piedimonte (Fr) perché la madre e il compagno non riuscivano ad avere un po’ di intimità; Mehmet, 2 e mezzo, ucciso a Pescara il 7 dello stesso mese a colpi di tubo perché piangeva; Leonardo, 20 mesi, ammazzato di botte il 24 maggio dal compagno della madre e morto per emorragia.