L’ultimo allarme in ordine di tempo arriva dal Regno Unito, dove il Guardian ha toccato un tema delicato: il calo di fertilità della popolazione, che riguarda anche l’Italia e interessa sia donne che uomini. Che non si facciano figli per scelta è noto, ma in molti casi c’entrano anche cause esterne e in particolare sostanze chimiche che sono entrate a far parte della nostra vita quotidiana, come conferma Shanna Swan, docente di Medicina ambientale e Sanità pubblica alla Mount Sinai School of Medicine di New York: «Non dico che altri fattori non siano coinvolti nel peggioramento della salute riproduttiva, ma le sostanze chimiche ne sono la causa principale, ed è arrivato il momento di riconoscere questa causalità e agire di conseguenza» ha dichiarato l’esperta al quotidiano britannico.
Quali sono le sostanze responsabili?
I responsabili principali del calo di fertilità sono in particolare gli ftalati e il bisfenolo A, o BPA, che si trovano rispettivamente in prodotti per la pulizia della casa, per la cosmesi e nei composti plastici, usati sia per alcuni rivestimenti di pentole e padelle, sia in contenitori alimentari plastificati, sia in alcuni oggetti comuni e persino negli integratori alimentari: «La cattiva notizia è che si tratta di una conferma a quanto era già emerso da diversi studi in materia e che ci dice che tutti, purtroppo, siamo esposti a queste sostante nocive per il semplice fatto che viviamo in una società nella quale sono impiegate in quantità massiccia; la buona notizia, però, è che in qualche modo possiamo ridurne l’impatto, modificando alcune semplici abitudini di vita quotidiana» spiega Daniela Galliano, ginecologa esperta in medicina della riproduzione, responsabile del centro PMA IVI di Roma.
Gli interferenti endocrini
«Ftalati e BPA sono i due nemici principali perché sono distruttori endocrini, ossia interferiscono nel nostro equilibrio ormonale, che è fondamentale per la riproduzione. Ormai da qualche tempo tutti gli studi internazionali ci confermano che la nostra capacità riproduttiva è alterata da queste sostanze. Sono presenti, per esempio, in molti utensili da cucina, come rivestimenti di pentole o padelle, nei contenitori e posate in plastica per alimenti, persino in alcuni biberon o nei guanti monouso, a cui si fa maggior ricorso dall’inizio della pandemia. Gli ftalati, inoltre, sono utilizzati anche in alcuni farmaci e integratori, come in qualche prodotto a base di Omega3 e oligominerali» spiega l’esperta.
Perché influiscono sulla possibilità di avere figli
Uno studio del 2007 ha dimostrato che il BPA può migrare dagli oggetti nei quali è contenuto agli alimenti, tramite contatto e in particolare in caso di riscaldamento o lavaggio ad alte temperature. «Queste sostanze, come gli ftalati, sono in grado di interagire con gli ormoni, stimolandoli o alterandone la produzione. Questo può aumentare il rischio di sterilità, che riguarda sia gli uomini che le donne, che sono anche maggiormente esposte per gli effetti che queste variazioni possono avere sull’apparato riproduttore, in particolare ovaie e utero. È provato, infatti, che gli interferenti endocrini chimici hanno un ruolo importante nell’insorgenza dell’endometriosi e dell’ovaio policistico, cioè due tra le più importanti cause di infertilità femminile. Negli uomini, invece, colpiscono la prostata» spiega la ginecologa.
A rischio donne e uomini
«Una ricerca dell’American Society for Reproductive Medicine, condotta su un campione di uomini, ha indagato gli effetti degli interferenti endocrini sul seme mostrando come, anche in basse quantità, l’esposizione a queste sostanze chimiche riduce la motilità degli spermatozoi. Tra le molecole analizzate c’era anche il metilparabeno, che si è visto che impoverisce la qualità dello sperma, influendo sulla fertilità. Questo, naturalmente, vale e forse ancora di più per le donne, per il maggior ricorso a trucchi e prodotti cosmetici, come molti spray» prosegue l’esperta, che indica anche un’altra possibile fonte di rischio: «Ricerche recenti hanno analizzato anche gli effetti, non trascurabili, di alcuni fitoestrogeni, che possono essere presenti in prodotti derivati dalla soia, da bevande a base di soia o dal tofu».
Imparare a leggere le etichette
Il primo consiglio dell’esperta è di prestare attenzione agli oggetti e ai prodotti che si usano in cucina e non solo: «È importante imparare a leggere le etichette: questo vale sia per gli alimenti, con particolare attenzione all’elenco di materie prime ed eccipienti, sia per gli oggetti di uso comune, che sul fondo riportano sempre le composizioni, tramite sigle. È auspicabile che in futuro si vada sempre più verso oggetti con dicitura BPA free».
Come riporta il sito dell’EFSA, l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare, i cinque principali ftalati sono indicati con le sigle DBP, BBP, DEHP e DINP e la normativa europea prevede una soglia di assunzione giornaliera tollerabile (DGT) di 50 microgrammi per kg di peso corporeo al giorno. La stessa EFSA dichiara che certifica che «L’effetto più rilevante su cui si basa tale DGT di gruppo è la diminuzione del testosterone nei feti».
Ridurre plastica e lattine
Il secondo consiglio della ginecologa è di modificare le proprie abitudini: «Dovendo convivere con queste sostanze, che si trovano in moltissimi prodotti di uso quotidiano, sarebbe bene cambiare il proprio stile di vita, per esempio, rinunciando o almeno riducendo il più possibile il ricorso alle plastiche – spiega Galliano – È vero che il vetro pesa un po’ di più, ma sarebbe preferibile rispetto ai contenitori in plastica, per esempio, anche quando si mangia fuori, al lavoro. Sarebbe bene anche privilegiare gli alimenti freschi rispetto a quelli in lattina, perché molti rivestimenti contengono bisfenolo. Alcuni alimenti come il pomodoro, poi, hanno una maggiore acidità che migra con più facilità, per questo sarebbe meglio evitare le conserve nei barattoli in lattina. L’elenco degli oggetti che possono contenere queste sostante interferenti endocrine è lungo e non riguarda solo la cucina. Per esempio, anche nei tappetini da palestra possono essercene, quindi il consiglio è di optare per materiali più naturali. Solo così ciascuno può modificare la propria esposizione a questi agenti».
Ridurre lo stress
Fin qui le sostanze chimiche, ma ci sono anche altri fattori che possono influire sulla fertilità. Tra questi c’è anche lo stress, come dimostrato da uno studio dell’università di Oxford, pubblicato sulla rivista scientifica Fertility and Sterility. Dopo aver monitorato i livelli di adrenalina e cortisolo di 274 donne sane in età fertile, è stato dimostrato come le pazienti con il più alto tasso di questi ormoni avevano una probabilità di concepimento più bassa del 12% rispetto alla norma. Studi analoghi sono stati condotti anche sugli uomini, mostrando un temporaneo abbassamento del testosterone nei soggetti sottoposti a particolari periodi di stress, poi tornati a livelli medi una volta superato il periodo critico.
«Sicuramente lo stress non aiuta ed è dimostrato che produce reazioni chimiche nel nostro organismo che possono influire sulla fertilità. Però va tenuto presente che si tratta di un co-fattore, dunque di un fattore che agisce insieme ad altri, come una vita sedentaria o un’alimentazione non equilibrata. In questo caso, infatti, si aumenta lo stato infiammatorio dell’organismo che non giova alla salute complessiva. Però, una delle maggiori cause di difficoltà di concepimento rimane l’età materna. Una donna di 25 anni, per esempio, seppure fumatrice, ansiosa e con ritmi di vita frenetici, mantiene un livello di fertilità nella norma. Lo stesso stile di vita sregolato, invece, su una donna di 40 anni ha un peso maggiore, perché entra in gioco l’età anagrafica» conclude Daniela Galliano.