Quest’anno siamo bersagliati da un mix di virus. Al Covid si è aggiunta l’Australiana, l’influenza che è arrivata in anticipo e ha colpito di più, mettendo a letto milioni di italiani e facendo registrare il record di casi dal 2009 già a inizio dicembre.
Ha picchiato duro soprattutto su anziani e bambini, mandando in tilt i Pronto soccorso di mezza Italia. Distinguere tra i due malanni è quasi impossibile perché hanno gli stessi sintomi: tosse, mal di gola, febbre, dolori muscolari. Si può solo tenere presente che il tempo di incubazione è più breve nell’influenza (circa 1-3 giorni) rispetto a quello della variante Omicron (circa 4-5).
Il picco dell’influenza Australiana
Ma cosa dobbiamo aspettarci per gennaio e febbraio? «Se è vero che il “picco dei casi” è stato registrato a fine anno, il virus continuerà a farci compagnia ancora fino a fine febbraio o inizio marzo» spiega Ignazio Grattagliano, coordinatore della Società italiana di medicina generale per la Puglia.
«Quando si raggiunge il picco, segue di solito un plateau, un periodo in cui i contagi restano stabilmente alti per due o tre settimane. Va poi tenuto conto che l’epidemia di influenza stagionale investe solitamente, per ragioni atmosferiche, prima il Nord e poi il Sud, e siccome nel Meridione si è registrato a dicembre un caldo insolito, è ragionevole pensare che in alcune Regioni il picco vero e proprio debba ancora arrivare». Dunque, spiega il medico, chi non lo ha fatto può ancora vaccinarsi, specie se residente al Centro-Sud, considerando che la copertura del vaccino scatta tra i 10 e i 12 giorni dall’inoculazione.
I sintomi dell’influenza Australiana
«Il ceppo virale australiano è più virulento rispetto a quelli registrati negli anni passati e, a differenza di questi ultimi, che davano per lo più sintomi gastrointestinali, colpisce prevalentemente le vie respiratorie» aggiunge il medico.
A questo si aggiunge un’alta contagiosità, dovuta a un mix di fattori. «Molto ha influito la mancata circolazione dell’influenza nelle due passate stagioni. Generalmente chi è sano e ha un buon sistema immunitario contrae l’influenza ogni 5-6 anni, perché la protezione nei confronti dei virus di questo tipo cala più o meno dopo questo intervallo di tempo.
Il fatto che per due inverni di pandemia, distanziamento e mascherine ci abbiano evitato le infezioni, ha spianato la strada all’Australiana».
Tra influenza stagionale, Covid e altri virus respiratori
A questo si è aggiunta una vera e propria “tempesta virale”: «Insieme alla stagionale circolano il Sars Cov2 e una serie di adeno e rinovirus, a cui si aggiunge il virus respiratorio sinciziale, che sta colpendo soprattutto i bimbi molto piccoli. Un mix esplosivo che mette sotto pressione gli ospedali» spiega Miriam Lichtner, docente di Malattie infettive all’Università la Sapienza di Roma, e componente della Società italiana di malattie infettive e tropicali.
A predominare, dicono i dati dell’Istituto superiore di sanità, è soprattutto l’influenza, con un rapporto rispetto al virus del Covid 19 che al momento è di circa 3 a 1. «Per evitare confusione è sempre bene sottoporsi a un tampone. Di fronte a un soggetto fragile, in caso di positività questo ci permette di intervenire nei primi giorni con gli anticorpi monoclonali o i farmaci antivirali, che danno una buona protezione contro la malattia severa» spiega il dottor Grattagliano.
Come curare l’influenza Australiana
E in caso di influenza? «Nelle persone in buona salute è sufficiente una terapia basata su antifebbrili e antinfiammatori, in genere i sintomi si esauriscono in qualche giorno, non c’è da preoccuparsi. Inutile quindi la corsa all’antibiotico, che va preso solo se il sintomo persiste dopo cinque giorni, e solo dopo aver sentito il medico» avverte il dottor Grattagliano.
L’allerta sale, invece, se siamo in presenza di soggetti molto fragili, come i grandi anziani, chi ha immunodeficienze e chi soffre di malattie croniche importanti, di malattie respiratorie, demenza ma anche persone allettate o che vivono in istituto.
Quando preoccuparsi
«Se la febbre è spiegata da un quadro clinico chiaro, per esempio una faringite, non c’è da preoccuparsi» spiega Miriam Lichtner. «Bisogna invece allarmarsi se il paziente è fragile, magari immunodepresso, se la temperatura alta resiste anche dopo due o tre giorni, senza un apparente motivo, oppure quando lo stato cognitivo cambia, la persona è soporosa, non riconosce, la pressione è molto bassa: questi sono tutti segni che l’infezione si è estesa.
Non è detto che correre in ospedale però sia sempre la soluzione migliore per tutti. Nelle persone molto anziane, specie se affette da demenza, il ricovero può essere controproducente, quindi il consiglio è: prima di mettersi in fila al Pronto soccorso sentiamo sempre un medico».
Come proteggersi dalle nuove varianti di influenza
Con Pechino che è tornata in piena emergenza ma non attua più restrizioni, sembra di essere a due anni fa, quando il virus faceva paura e picchiava duro. «Il timore degli studiosi è che, a causa dell’alta circolazione del virus, si sviluppino dalla Cina varianti più diffusive e ad alta patogenicità» dice l’infettivologa Miriam Lichtner. «Non siamo nella situazione del 2020, certo, ma dobbiamo continuare a vaccinarci e a proteggere i fragili con antivirali e monoclonali».
La risposta del vaccino
Diversi studi, spiega l’esperta, hanno mostrato che dopo qualche mese la protezione del vaccino cala. Chi si è sottoposto alla terza dose o si è ammalato un anno fa rischia di reinfettarsi, anche se è in buona salute. «Un nuovo booster va invece a stimolare il sistema immunitario, e questo ci fa da scudo parziale anche per le sottovarianti di Omicron e eventuali nuove varianti. Limita anche la trasmissione del virus, perché chi ha una buona risposta immunitaria resta contagioso per meno tempo».
Per fragili e anziani utile la quinta dose. «Chi ha fatto la quarta da più di 120 giorni dovrebbe prenotarla: è un vaccino bivalente, che protegge sia dal ceppo di Wuhan, sia da Omicron. Non dimentichiamo che anche oggi il 50% di chi contrae il Covid rientra tra i fragili».