Prima l’emergenza sanitaria a causa della pandemia Covid, con il primo durissimo lockdown che ha stravolto le nostre vite e quelle di mezzo mondo. Poi, ora che si pregustava un graduale ritorno alla normalità, dopo le intense campagne vaccinali, è arrivato il conflitto in Ucraina. Una guerra che, a differenze di altre del passato (e che sono tuttora in corso) ci ha colpiti di più, forse perché Kiev è più vicina di altri teatri, perché la popolazione ucraina è ritenuta europea, ma anche a causa di un bombardamento mediatico senza precedenti. In una parola, l’infodemia, la sovrabbondanza di immagini, video, testimonianze che ci raggiunge dalla tv e sui cellulari, tramite i social, o in radio: insomma ovunque siamo.
L’infodemia provoca stanchezza e ansia
Il risultato è un sovraccarico, un senso di stanchezza unito ad ansia, di cui ha parlato anche la psicologa americana Wendy Rice. Intervistata dalla CNN, l’esperta ha fatto riferimento a un senso di logoramento, che «non fa bene a se stessi, né a nessun altro». «È vero, viviamo da molto tempo in uno stato costante di emergenza, con un sovraccarico di emozioni che, nel caso della guerra in Ucraina, si unisce a una forte empatia» conferma Carlo Alfredo Clerici, professore associato di Psicologia clinica all’università degli Stadi di Milano.
Troppe notizie mettono in allarme
«Ciò che stiamo vivendo, le emozioni e le ansie, hanno una spiegazione: siamo circondati di stimoli che ci arrivano dalle immagini di bombardamenti, in particolare degli ospedali e di file di profughi che cercano di lasciare il loro paese, compresi i bambini. Questo, oltre a metterci in uno stato di allarme, stimola il nostro altruismo e ci spinge a immedesimarci in situazioni che pure sono lontane fisicamente da noi. Le immagini con gli orrori della guerra che ci arrivano nei momenti di raccoglimento, magari agli orari dei pasti, esercitano una pressione emotiva fortissima» constata Clerici. Oggi poi l’informazione occupa ogni spazio e tempo della nostra vita, raggiungendoci anche sui social.
Lo stato di allarme provoca panico e psicosi collettiva
Tutto ciò, unito agli allarmi più o meno fondati su possibili conseguenze dirette anche sulle nostre vite, in termini di rincari, scarsità di approvvigionamenti o persino possibili attacchi nucleari, come paventato in più di una occasione, creano un senso di panico che può arrivare alla psicosi: da qui anche la corsa alle scorte o a veri e propri stati d’animo di ansia, di cui esistono segnali concreti.
L’infodemia provoca dall’ansia all’apatia
Come si capisce se si è in preda all’ansia? «La gamma dei segnali è ampia: uno dei più classici è l’insonnia, oppure la presenza di incubi notturni o ancora la tachicardia. Ma si può andare incontro anche a reazioni opposte: quando le nostre risorse e la capacità di reagire a uno stato di emergenza si esauriscono, come può capitare adesso dopo due anni di pandemia, si può provare anche totale disinteresse o apatia» spiega il medico e psicologo clinico. Qualcuno potrebbe anche andare incontro a cambiamenti nell’appetito, problemi di stomaco o maggiore irritabilità.
Bisogna proteggersi cercando di evadere o aiutando gli altri
Una delle reazioni più immediate potrebbe quella di sentire l’esigenza di “evadere”, come conferma la Rice alla CNN, che non biasima la voglia di disimpegnarsi rispetto a un argomento come la guerra, di cercare diversivi: concedersi una serata a teatro o al cinema, ascoltare podcast o programmi divertenti, che non parlino di conflitti e morti, leggere un libro o dedicarsi ad attività che si amano. «C’è anche un altro modo per reagire ed è quello di impegnarsi per gli altri, di fare accoglienza, per esempio. Questo permette di uscire dalla propria bolla, ma anche di ridimensionare i nostri problemi» spiega l’esperto.
Bisogna imparare a selezionare le fonti di informazione
«Un altro modo, poi, è avere cura di sé, sia nel senso letterale, a livello fisico, sia in senso culturale: cercare di selezionare le fonti di informazione e limitarle. Per esempio, quando si ha una App di previsioni meteo è facile farsi condizionare, leggendo dell’arrivo della pioggia. Poi, magari, si constata che si tratta di un fenomeno più circoscritto. Se questo accade più volte, alla fine è plausibile che si disinstalli la App per ridurre il carico di ansia che le previsioni possono suscitare. Nello stesso modo può essere utile diminuire la quantità di notizie che leggiamo, filtrandole e selezionandole con maggiora cura» spiega Clerici, che aggiunge: «In fondo è lo stesso meccanismo che accadeva durante il primo lockdown: chi era costretto a casa, era sommerso da una marea di informazioni che spesso ha contribuito ad aumentare l’angoscia rispetto a chi invece ha avuto la possibilità di continuare a lavorare e quindi, in un certo senso, a distrarsi».
Che rischi per i bambini?
Nel mirino dell’infodemia sono finiti, loro malgrado, anche i bambini: della guerra si parla anche nelle scuole e non sempre in modo corretto. Se la sensibilizzazione al problema è legittima, non va dimenticata l’attenzione al modo in cui si propone una tematica che altrimenti rischia di alimentare stati di tensione anche importanti, che possono sfociare in incubi o forti preoccupazioni: «Questo è un tema molto descritto dagli esperti. Intanto il consiglio è di prestare attenzione ai rapporti in famiglia: il dialogo con i genitori non deve mai mancare, perché questi hanno la funzione di rassicurare. Poi proprio madri e padri potranno aiutare a filtrare: è chiaro che se loro per primi sono terrorizzati, non potranno che trasmettere lo stesso sentimenti ai figli. Aiutiamo i più piccoli, se possibile rispetto alla loro età, a storicizzare, spiegando loro che nella storia ci sono già stati momenti di forte conflitto che poi si sono superati. La famiglia deve rappresentare una sicurezza anche in questo contesto, con i propri sentimenti e, magari, spegnendo la tv e limitando il bombardamento di immagini negative, cercando invece di ritrovare serenità nella condivisione di momenti piacevoli insieme».