Questa non è una storia facile da raccontare. È la storia di un orrore. Di uno scandalo che ogni giorno si ripete nelle nostre strade, a pochi metri da noi. È la storia di Ana, che a 12 anni ha iniziato a prostituirsi. Prima nel suo Paese, in Romania. Poi in Italia. E purtroppo le piccole Ana sono tante nelle nostre città: almeno duemila, secondo le stime dell’Interpol. Un crimine che deve finire. Ana (ha scelto un nome di fantasia per proteggere la sua identità), come mostrano le foto di questo servizio, ha un viso da bimba, e mani con le unghie lunghe e laccate, da donna. Fa sorrisi come una ragazzina, si rannuvola come una ragazzina, e quando è inquieta cerca lo sguardo rassicurante delle persone che le vogliono bene.
Non sono molte. Perché la sua infanzia è stata un incubo. Venduta dalla madre, cacciata di casa e costretta a fare l’amore con gli adulti. Violentata da persone che credeva amiche, passata di mano da uno sfruttatore all’altro, picchiata senza pietà. E infine buttata a far soldi sulle strade italiane. Dove ha visto la morte in faccia. Per fortuna la sua odissea è finita.
Come può un uomo andare con una baby prostituta? Di’ la tua nel forum
Da qualche mese Ana, che ha appena compiuto 16 anni, è tornata in Romania, accolta e seguita giorno e notte da un’associazione di volontariato di Timisoara, dove noi l’abbiamo incontrata. Presto potrà andare a scuola e costruirsi un futuro normale. Ma intanto fa i conti con un passato così sconvolgente da sembrare irreale. Ana fuma un pacchetto di sigarette al giorno. Si muove e cammina con la sicurezza di una ragazza più grande. E le sole frasi che conosce d’italiano sono i prezzi delle prestazioni sessuali. Le torna in mente anche una canzone di Toto Cutugno, che sulle sue labbra ha un significato amaro: «Lasciatemi cantare, sono un italiano vero». Chissà quale cliente gliel’ha insegnata.
Ana, te la senti di raccontare la tua storia?
«Proviamo. Per me non è facile, vorrei cancellare quello che mi è successo. Va bene se quando non ce la faccio più mi fermo un po’?».
D’accordo. Sai che sembra inimmaginabile che una bambina di dodici anni finisca sulla strada?
«Invece è successo. Quando mio papà era vivo la nostra famiglia viveva sotto lo stesso tetto. Lui beveva molto e picchiava me e i miei fratelli. Ma almeno ci teneva con lui. Poi è morto. E il nuovo compagno di mia mamma, il “concubino”, mi ha buttata fuori di casa».
È stato allora che hai iniziato a prostituirti?
«Sì, a 12 anni. Non avevo nessuno e dovevo guadagnare qualche soldo per mangiare. Ero una vagabonda cacciata di casa, come tanti ragazzini rumeni. Dormivo dove capitava, chiedevo pezzi di pane. Così a volte mi prostituivo per fame, con ragazzi più grandi».
Quando sei finita nelle mani degli sfruttatori?
«Quando mia mamma mi ha ceduta a un uomo rom, Andrei. Lo conoscevo bene, aveva 26 anni ed era l’amante di una mia amica di 16 anni. Qualche volta dormivo da lui».
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Vuoi dire che sei stata venduta da tua madre?
«Venduta? No, non venduta, c’è stato un contratto firmato davanti al notaio: Andrei, che era sposato, mi accoglieva in casa sua, e in cambio io facevo la baby sitter al suo bambino e mia mamma gli dava dei soldi. Gli passava il contributo statale che mi spettava come orfana di padre: 800 mila lei, circa 22 euro al mese. Non so come hanno fatto, ma ci sono riusciti».
Così sei diventata una schiava?
«All’inizio non avevo capito che Andrei era un magnaccia. Vedevo che ogni giorno usciva di casa con la moglie e l’amante. Mi diceva che andavano a rubare negli appartamenti. Che fregavano la gente. Ma qualche volta le ragazze tornavano coperte di lividi, e immaginavo che non mi raccontavano la verità. Infatti, un giorno Andrei mi ha chiesto di prostituirmi: “Da te non voglio tanti soldi, solo un contributo per proteggerti dalle persone violente”».
E tu hai accettato?
«Gli ho detto che non volevo. Prima lo avevo fatto qualche volta per bisogno, ma non mi andava che diventasse una cosa quotidiana. Allora lui si è messo a fare il pazzo. Urlava. Mi diceva che mangiavo senza dare niente in cambio. Mi ha scaraventato lo stereo sulla schiena. Mi ha violentata, e frustata con una cinghia. Sono stata costretta a obbedirgli».
Avevi paura di scappare?
«Sì, mi avrebbero uccisa. Sapevo che il mio sfruttatore era amico dei poliziotti corrotti. Dove potevo andare? Mi avrebbero ritrovata sicuramente».
Come ti sentivi in quelle notti?
«I clienti mi facevano schifo. Ma quello era il meno. Tremavo all’idea di non portare a casa abbastanza soldi. Andrei pretendeva sei milioni di lei, 200 euro a notte. Una cifra enorme in Romania, dove un operaio guadagna 80 euro al mese».
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Come ci riuscivi?
«Facevo la ladra. Derubavo i clienti. Gli portavo via il portafoglio mentre erano in bagno. Ma non era facile».
Cosa succedeva se non portavi a casa i soldi?
«Andrei mi picchiava. Non aveva pietà. Una volta mi ha incrinato una costola e mi ha pestata tanto che l’occhio sinistro era un grumo di sangue. Da allora non ci vedo bene».
Come sei arrivata in Italia?
«Andrei si era stancato di litigare con me e mi ha venduta a uno sfruttatore italiano che era venuto qui per comprare ragazze. Avevo 14 anni. Al mio nuovo padrone sono costata duemila euro, mille veri e mille in banconote false».
Dove ti hanno portata?
«Il primo giorno a Milano, in un appartamento con altre due ragazze. Poi sono stata spostata a Brescia, dove mi hanno buttata sul marciapiede».
Com’è stata la prima volta in Italia?
«È stata la notte più terribile della mia vita. Hanno ucciso sotto i miei occhi la mia compagna di stanza. Sono viva per miracolo».
Chi voleva ucciderti?
«C’è stato un regolamento di conti tra sfruttatori. Il mio capo aveva debiti con un altro magnaccia e quella sera, prima di portarci in strada, ha ricevuto una telefonata di minacce: “Ci devi restituire i soldi. Se porti le ragazze in strada te le ammazziamo”. Io ho sentito la telefonata, avevo paura, tremavo come una foglia, non volevo uscire. Ma non ci sono state ragioni».
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Che cosa è successo?
«In piena notte una Mercedes nera si è fermata davanti a me. Un uomo ha urlato qualcosa. Poi è sceso dall’auto, ha puntato la pistola contro la mia compagna, le ha sparato alla testa. “Devi dire al tuo capo che lo avevo avvertito” mi ha gridato. Mi aveva risparmiato perché riferissi le sue minacce. Ero terrorizzata».
E dopo quella notte tu hai continuato ad andare in strada?
«Le mie lacrime non contavano niente: gli sfruttatori non si commuovono».
Come hai fatto a resistere?
«Con la droga. Marijuana, ecstasy, cocaina, un po’ di tutto. Solo con la droga potevo andare avanti. Vivevo in un mondo strano, irreale, dove quella roba mi teneva in piedi anche se non mangiavo e dormivo pochissimo».
Come erano i clienti italiani?
«C’era di tutto: chi urlava, chi mi faceva male, chi ha cercato di investirmi perché mi aveva scambiata per un’altra donna».
Erano uomini giovani?
(Ana si stupisce e ride) «I giovani non si fermano mai. Erano vecchi. Con i capelli bianchi. Ricchi. Su auto costose».
Quanto chiedevi per un rapporto?
(Risponde in italiano) «Cento in appartamento, cinquanta sulla strada».
Quanti uomini incontravi?
«Tanti. Dovevo guadagnare tremila euro a settimana».
E che cosa pensavi di loro?
«Li disprezzavo. Erano stupidi. Una persona intelligente deve capire che le ragazze in strada sono delle schiave».
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Secondo te si rendevano conto che eri minorenne?
«Non lo so. Io ripetevo la frase che mi avevano insegnato gli sfruttatori: “Ciao, ho 19 anni, vengo da Chisinau, Moldavia”».
Con te c’erano altre ragazze minorenni?
«Sì, moltissime. Io ero la più giovane del gruppo, ma tante rumene e moldave avevano quindici anni».
Se un ex cliente italiano legge questa intervista, deve sentirsi in colpa per avere approfittato di te?
«Deve sentirsi in colpa perché è andato in strada anziché restare a casa con sua moglie e i suoi figli».
E non perché ha fatto del male a una bambina?
«No, per questo no. Gli sfruttatori mi vestivano come una donna grande, forse i clienti non si accorgevano che ero piccola».
Ma un adulto sa distinguere una bambina da una donna.
«L’unica colpevole sono io, io e basta. Non so perché ma mi sento in colpa. E adesso non parliamone più, mi fa troppo male».
Come ti sei salvata?
«Mi sono ribellata. Ho provocato uno scandalo alla frontiera. Un amico mi ha insegnato un trucco per tornare in libertà. Gli sfruttatori ogni due mesi mi riportavano in Romania per rinnovare il permesso di soggiorno. E al confine con l’Ungheria, davanti a un poliziotto, mi sono messa a urlare: “Aiutatemi, mi tengono prigioniera, sono una schiava”. Il mio sfruttatore è stato arrestato e io sono stata trasferita in una casa dei servizi sociali».
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Dove vivi adesso?
«Sotto protezione, in una abitazione segreta, con l’aiuto di una associazione di volontari. Passo la giornata con altre ex prostitute, ragazze di 16 e 17 anni. Facciamo insieme i compiti, andiamo nei centri commerciali, diamo una mano alle persone in difficoltà. A volte ci viene a trovare una psicologa».
Come ti senti?
«Adesso va bene. Ma i primi tre mesi è stato pazzesco. Minacciavo le altre ragazze, davo calci e pugni ai volontari, avevo sbalzi di umore e passavo dal sorriso alle lacrime in cinque minuti. Volevo farmi male, mi spegnevo le sigarette sulle braccia».
Hai paura che gli sfruttatori ti possano rintracciare e te la facciano pagare?
«Andrei sa dove mi trovo. Dal carcere ha telefonato all’associazione che mi aiuta per chiedere notizie. Ci sono state minacce, e per questo ho cambiato casa. Abbiamo chiesto più protezione alla polizia. Ma ora mi sento più tranquilla: finalmente ho incontrato delle persone che mi vogliono bene».
Hai rivisto tua mamma?
«No, perché so che mi sbatterebbe la porta in faccia».
Le vuoi ancora bene?
«Sì, la mamma è la cosa più preziosa, perché mi ha messa al mondo».
Però ti ha abbandonata.
«Non lo so. Forse mia mamma sta male e non sa quello che fa. Ma spero che un giorno si riprenda e torni a essere la mia mamma di una volta».
Ana, tu hai sofferto molto: chi ti ha tradita?
«La povertà. Mi sono trovata a elemosinare il pane. Guadagnavo due euro al giorno. La gente per bene non mi degnava di uno sguardo. Se stavo meglio, di sicuro non diventavo una prostituta».
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Che cosa speri per il futuro?
«Il mio sogno è di avere un figlio. Un bambino desiderato come io non sono mai stata desiderata. Amato come io non sono stata mai amata».
>>In italia oltre duemila baby prostitute
Sulle strade italiane ci sono duemila baby prostitute. Sono rumene, moldave, nigeriane. «Le minorenni sono il dieci per cento delle oltre 20 mila straniere costrette a prostituirsi» spiega Francesco Carchedi, sociologo dell’università La Sapienza e collaboratore di Parsec, un’associazione di Roma impegnata nell’assistenza alle lucciole. «Negli anni scorsi il numero di prostitute era diminuito per la scomparsa delle albanesi. Ma una ricerca del Comune di Roma, che sarà presentata a fine ottobre, rivela che il fenomeno sta tornando ai livelli del passato. Le ragazze ora arrivano dalla Romania». E l’età si abbassa sempre più. «Ormai i nostri volontari incontrano anche ragazzine di 12, 13 anni» conferma Gianpiero Cofano, dell’associazione Giovanni XXIII di don Oreste Benzi. «In questi casi il confine tra prostituzione e pedofilia non esiste più».
>>Tre milioni di italiani vanno con minorenni
La commissione Affari sociali della Camera ha stimato in tre milioni i clienti delle baby prostitute. Un crimine orrendo, che i clienti “giustificano” così: «Con le adulte non riesco ad avere rapporti normali, figuriamoci fare l’amore: per questo vado con le più piccole» ci ha confessato Jackson, un uomo maturo. E Marco, 40 anni: «Quando pago una ragazzina la mia fantasia va a mia figlia, che ha la stessa età». Ma per molti, dice Claudio Donadel, responsabile del progetto Città e prostituzione del Comune di Venezia, il motivo è un altro: «Vogliono provare una sensazione di potere e dominio su una persona indifesa».
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>>Timisoara: la capitale del traffico di ragazze
Night club, ragazze negli alberghi, prezzi stracciati: è la formula del sesso facile a Timisoara. La quarta città della Romania, circa 400 mila abitanti, è una delle capitali europee della prostituzione. Qui arrivano, giovanissime, le ragazze dai centri di provincia e dalla Moldavia, vengono comprate e vendute dai gruppi criminali, e poi trasferite nei Paesi di destinazione passando per le vicine frontiere con la Serbia e l’Ungheria. Si calcola che una parte consistente delle 700 mila rumene finite in dieci anni nel giro della prostituzione siano passate per Timisoara. Ma c’è anche una faccia scintillante del sesso a pagamento. È la prostituzione al servizio degli uomini d’affari. Nel distretto industriale di Timisoara si contano 1.300 aziende italiane.
E ogni giorno atterrano aerei da Milano, Venezia, Roma. Una fonte di clienti per i locali notturni e le call girl degli hotel.
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