La perdita di olfatto e gusto è stata uno dei sintomi nella prima fase della pandemia Covid, ma in molti, dopo la malattia, non sono riusciti a recuperare del tutto la capacità di sentire il sapore o l’odore dei cibi e delle bevande.
Iposmia, fantosmia e parosmia
Anzi, in alcuni casi sono incappati nella fantosmia, cioè sentivano odori o sapori inesistenti, oppure nella parosmia, cioè una distorsione generale per cui si prova disgusto mangiando alimenti comuni o bevendo bevande come caffè o latte. Ora uno studio americano, condotto dalla Duke University della Carolina del Nord e pubblicato sulla rivista Science Traslational Medicine, ha mostrato cosa causa soprattutto la iposmia, cioè la riduzione della capacità di apprezzare sapori e soprattutto odori, chiarendo anche come tornare alla normalità.
Iposmia, la perdita di olfatto e gusto
I ricercatori statunitensi hanno analizzato 24 biopsie nasali, di cui nove di persone che soffrivano di perdita dell’olfatto a lungo termine in seguito a Covid, scoperto che quei tessuti erano interessati da un elevato numero di linfociti. Questo era segno di una infiammazione che, se sottovalutata e cronicizzata, può portare indirettamente alla morte di numerosi neuroni olfattivi.
Se questo può spaventare, va però aggiunto che è possibile intervenire per tempo e ristabilire la normale percezione: il nervo olfattivo, infatti, risulterebbe rimanere integro: «La ricerca fa riferimento in particolare alla iposmia, cioè una riduzione nella percezione degli odori, di cui si è parlato molto durante la pandemia, ma ricordiamo che si tratta di una condizione che è molto frequente anche nell’influenza», chiarisce il professor Gaetano Paduletti, ordinario di Otorinolaringoiatria presso l’Università Cattolica e Fondazione Policlinico A. Gemelli di Roma, e già presidente della Società italiana di Otorinolaringoiatria.
Iposmia: anche l’influenza riduce olfatto e gusto
«Anche noi al Gemelli conduciamo studi sull’olfatto da 20 anni, in particolare sugli effetti dell’influenza. Proprio l’influenza, infatti, in percentuale dà più danni all’olfatto rispetto al Covid. La differenza è che, essendosi trattato di una pandemia, il Covid ha fatto registrare nel complesso un maggior numero di casi; ma l’influenza in proporzione porta maggiori fenomeni olfattivi post malattia», spiega Paduletti.
Quanto tempo occorre per recuperare olfatto e gusto
I numeri relativi al Covid indicano che il 65% di chi aveva avuto un contagio ha riportato problemi nel sentire odori e sapori durante la malattia, con strascichi in non meno di 1 infettato su 10 con il cosiddetto “Long Covid” fino a sei mesi dopo la guarigione. In quanto tempo si guarisce, quindi? «Lo studio della Duke University indica un tempo di guarigione variabile, da qualche mese fino a un anno e, in alcuni casi, anche oltre. Diciamo che un anno è un tempo medio attendibile, ma non è detto che tutti coloro che riferiscono di problemi di olfatto o gusto abbiano realmente una ridotta funzionalità: a volte subentra una componente psicologica» spiega l’esperto.
Quando l’iposmia è un disturbo reale e quando psicologico
«Al Gemelli abbiamo condotto uno studio su un campione di circa 3.000 pazienti e abbiamo constatato che solo il 3-4% di chi riferiva di aver perso olfatto e gusto in realtà aveva realmente iposmia. Questo perché, appunto, i danni concreti da Covid o influenza, legati all’infiammazione delle cellule a causa della malattia, solitamente si risolvono in modo spontaneo nell’arco di qualche settimana» chiarisce l’ex direttore della clinica di Otorinolaringoiatria del Policlinico Gemelli di Roma.
Con quali cibi si manifestano iposmia e parosmia
Il team statunitensi ha indicato una serie di percezioni distorte più frequenti di gusto e olfatto riferite ad alcuni cibi in particolare. Per esempio la carne, i formaggi, le uova, l’aglio, ma anche il caffè o persino l’acqua. Nel caso della iposmia si sente meno il gusto, perché causata da una infiammazione delle vie nasali, mentre nella parosmia si è in presenza di una percezione distorta, che porta a sentire odori o sapori disgustosi anche quando si mangiano cibi normali, per esempio un gusto irrancidito, o simile alla muffa o persino al vomito.
Quando, quindi, è necessario rivolgersi al medico?
Chi è il medico a cui chiedere aiuto
«Se dopo due mesi si accusano ancora disturbi è consigliabile rivolgersi a un medico, in particolare all’otorino per una valutazione più approfondita e soprattutto per capire se si è in presenza di un’infiammazione che si può cronicizzare e che quindi può dare effetti più seri. Lo specialista può effettuare una diagnosi con uno sniffing test, che consiste nel far sentire al paziente alcuni odori.
Riabilitando l’olfatto ritorna anche il gusto
Se ci fosse una percezione ridotta allora è consigliabile iniziare una riabilitazione olfattiva – spiega Paduletti – In questo caso si sottopongono al paziente delle essenze anche molto forti in modo da stimolare la riabilitazione e la rigenerazione delle cellule coinvolte nell’olfatto. Il gusto di fatto è strettamente collegato: intervenendo sull’olfatto si risolve anche il problema del gusto». Come spiega Paduletti, «esistono centri specializzati ai quali lo specialista può indirizzare prescrivendo, se necessario, anche una cura antinfiammatoria, possibilmente senza ricorso ai farmaci steroidei».
Cosa fare in attesa di guarire dall’iposmia
Oggi ci sono anche gruppi di supporto per chi soffre di problemi a gusto e olfatto, che forniscono anche consigli pratici per superare le difficoltà quotidiane, almeno finché non si guarisce del tutto. Uno dei più noti è il britannico AbScent, a cui aderiscono 22mila persone, che consiglia ad esempio di mangiare cibi a temperatura ambiente o freddi; evitare i cibi fritti, le carni arrostite, le cipolle, l’aglio, le uova, il caffè e il cioccolato, che sono tra i trigger più potenti; preferire cibi leggeri e dal sapore relativamente neutro come riso, pasta, pane non tostato, yogurt bianco e verdure al vapore; utilizzare spezie e aromi per mascherare gli odori spiacevoli. Un’eventuale alternativa sono i frullati proteici non aromatizzati, mentre nello spiegare la propria condizione agli altri si può far ricorso al paragone con una persona affetta da allergia.