Irma Testa, classe 1997, è considerata la pugile under 20 più forte al mondo ed è la prima pugile italiana a partecipare a una Olimpiade, quella di Rio.
Irma Testa ha iniziato a fare pugilato a 10 anni alla Boxe Vesuviana di Torre Annunziata, provincia di Napoli. Nel 2012 ha vinto il bronzo agli Europei in Polonia e nel 2015 l’oro ai Mondiali di Taiwan, categoria juniores. A maggio 2016, ai Mondiali di Astana, in Kazakhstan, si è qualificata per le Olimpiadi di Rio. Ecco cosa racconta di sé.
«Provolera è uno dei quartieri più brutti di Torre Annunziata: cupo, caotico, violento. Sembra una favela brasiliana. Tra quelle strade, il mio allenatore raccoglie i bambini che marinano la scuola e li porta in palestra a imparare la boxe». Da piccola anche Irma Testa alle lezioni di storia preferiva tirare pugni sotto lo sguardo del suo mentore, Lucio Zurlo. Via le pistole giocattolo («le bambole non mi sono mai piaciute») e vai con i guantoni. Diretto, jab e gancio sinistro, il suo colpo migliore.
Mamma cuoca e papà cameriere erano contenti, «perché volevano che facessi uno sport e stessi lontana dalla strada». Figurarsi ora che la scugnizza di casa è diventata una farfalla, per quel suo volare elegante sul ring e alto nella vita. Da diversi anni, Irma vive ad Assisi, in Umbria, dove si allena con la Nazionale italiana di pugilato. A fine aprile, a soli 18 anni, ha staccato un biglietto per le Olimpiadi di Rio de Janeiro. «I miei hanno tirato un sospiro di sollievo, perché almeno una l’hanno sistemata» racconta. «Per loro non è stato semplice tirare su 4 figli. Ho due fratelli più piccoli e una sorella di un anno più grande di me: Lucia, a cui devo tutto».
Non litigavate come tutte le sorelle? «Nel nostro caso è stato diverso. Per me Lucia è perfetta, irraggiungibile. È stata lei la prima a darsi al pugilato. Si allenava anche 3 o 4 ore al giorno. L’ho seguita perché non riuscivo a starle lontana».
Chi era più forte? «Mia sorella sicuramente. Da lei le prendevo sempre. A un certo punto ha deciso di appendere i guantoni al chiodo, altrimenti chissà dove sarebbe arrivata».
Dove hai trovato la forza per continuare da sola? «La boxe mi era entrata dentro. Se saltavo un allenamento, mi mancava l’aria: avevo bisogno dell’odore dei guantoni, del sudore sulla pelle, delle grida dei ragazzi che facevano a pugni. Questo sport era la mia certezza».
In che senso la tua certezza? «Sapevo che se mi fossi impegnata, avrei ottenuto qualcosa di bello. Dopo anni di smarrimento, avevo un obiettivo da conquistare. La mia vita aveva un significato: quando lotti per qualcosa, cresci. È quello che purtroppo manca a molti ragazzi della mia città».
Qual è il fascino del pugilato che a volte le donne non comprendono? «Quando dicono che è uno sport maschile, mi viene da ridere. Semmai è il contrario: nella boxe contano la grinta, il coraggio, la capacità di soffrire e di stringere i denti. Tutte doti che noi ragazze abbiamo già dentro».
Non è una disciplina violenta? «No, perché dietro ai pugni c’è molto altro: bisogna entrare nella testa dell’avversario, prevenire le sue mosse, sorprenderlo. La boxe è un confronto tra due menti che vogliono prevalere l’una sull’altra. A me sembra un film di Harry Potter: sul ring ci sono due scintille d’intelligenza, e alla fine del combattimento, una delle due si spegne. Come per magia».
Ti alleni anche 7 ore al giorno, nel tempo libero che cosa fai? «Ne ho poco e per non sprecarlo leggo. Mi piacciono le biografie dei personaggi celebri: dietro le loro imprese ci sono quasi sempre delle vite complicate. Adoro scavare nelle esistenze, per capire come da un dramma sia nato un grande uomo o una grande donna».
Il tuo personaggio preferito? «La pittrice Frida Kahlo, perché non ha mai avuto paura. Quando era ingessata in un letto, dopo 32 interventi chirurgici, si è fatta montare uno specchio e ha iniziato a farsi degli autoritratti. Sapeva che senza l’arte, la sua passione, sarebbe morta».
E tu, hai mai paura? «Mi spaventa l’idea di deludere le persone che mi vogliono bene. A me piace perfino perdere qualche volta, perché nella sconfitta trovo gli stimoli per migliorarmi. Mi preoccupa un po’ la mia vita dopo il pugilato».
Hai già pensato a come sarà? «Resterò nella Polizia, il corpo per il quale combatto. Voglio lavorare nel Falchi della Questura di Napoli, la squadra mobile che si occupa di mantenere l’ordine in città. Ce la posso fare perché conosco bene il contesto delicato in cui i poliziotti si muovono».
Alle Olimpiadi di Rio vai per… «Vincere. Voglio dedicare l’oro a me stessa, alla mia famiglia e agli allenatori che mi hanno aiutato nei momenti difficili. Il peggiore è stato l’adolescenza. Ero sola, lontana dagli affetti, ma a differenza dei miei coetanei non potevo permettermi di sbagliare. Se lo avessi fatto, avrei buttato via tutto».
Nel tuo paese sei famosa come Maradona. Ci torni mai? «Una o due volte al mese. Ho ricordi bellissimi della mia infanzia. Come quando mio nonno mi portava a pescare di mattina presto. Guardavo il sorgere del sole e pensavo che quella era l’alba di Torre Annunziata. Ora giro il mondo, ma di posti così belli non ne ho mai più trovati».
E per l’amore c’è spazio? «Sì. Anche se con la vita che faccio è difficile tenere insieme tutto».