«Mi chiamo Judit, sono un ingegnere biomedico, mi sono laureata all’università di Barcellona. Amo pattinare e stare con gli amici, come tutti i ragazzi della mia età». Alla domanda «Raccontami chi sei e come sei arrivata a questo traguardo», la spagnola Judit Giró Benet, 24 anni di Tarragona, non poteva rispondere in maniera più diretta.
Giovanissima, ha appena vinto il Premio James Dyson, riservato a ingegneri, scienziati e designer – studenti e neolaureati – che hanno progetti innovativi per migliorare la vita delle persone attraverso la tecnologia. Il suo si chiama Blue Box, è un dispositivo per lo screening biomedico del tumore al seno, e potrebbe rivoluzionare la vita di noi donne. «Dopo la laurea» continua «ho fatto domanda al master in Embedded Cyber-Physical Systems all’università di Irvine, in California. Ho voluto trasferirmi perché credo che lì ci siano le menti più brillanti in questo campo e volevo arricchire le mie conoscenze in materia di Intelligenza artificiale». Ora Judit è Junior Specialist al master dell’università di Irvine e si divide tra la Spagna e gli Usa.
Sono ancora poche le ragazze che raggiungono tali risultati nel campo delle Stem. Tu come ci sei riuscita?
«Mi è sempre piaciuto risolvere problemi, affrontare sfide, e scoprire la biologia, il corpo umano. Per questo ho deciso che la mia strada sarebbe stata quella dell’ingegneria biomedica. All’università le ragazze erano pochissime, al master eravamo in 5 contro 70 ragazzi. Non è un problema di competenze o di bravura, ma di modelli con cui siamo cresciute. A volte è ancora dura. Ma la società sta cambiando, le opportunità aumentano. Ti basta un account Instagram per dire chi sei e cosa sai fare. Non c’è più motivo per cui qualcuno possa dire che una ragazza non deve studiare ingegneria perché è una cosa da maschi. Però è vero che, quando sei la minoranza in un gruppo, senti il bisogno di giustificare la tua presenza e dimostrare quanto sei capace, che puoi farcela, che sei brava e appartieni a quel mondo».
Come è nata l’idea della Blue Box?
«Mentre studiavo Ingegneria biomedica a Barcellona ho partecipato all’incontro con un professore che raccontava degli studi fatti sui cani addestrati per riconoscere con l’olfatto chi è malato di cancro ai polmoni. E lì ho pensato: “Wow! A volte la biologia riesce a trovare le soluzioni ai problemi del mondo”. Ho capito che come ingegnere mi dovevo, sì, occupare di tecnologia e design, ma anche guardare la natura e imparare da essa. Così ho messo insieme dei sensori, un microprocessore, e ho cercato di imitare con la tecnologia il funzionamento del sistema olfattivo dei cani che riconoscono il cancro. Ho realizzato i primi prototipi della Blue Box all’università di Barcellona, ma poi mi sono resa conto che per farla funzionare bene ci voleva qualcosa di più. All’università di Irvine, in California, ho incontrato il mio collega Billy Chen (con cui ha fondato a ottobre 2020 la società The Blue Box Biomedical Solutions, ndr). Grazie all’Intelligenza artificiale siamo riusciti ad avere una percentuale di sicurezza sulla diagnosi del 95%; ma, dato che l’obiettivo era il cancro al seno, sono andata a raccogliere campioni di tumori al seno al primo stadio per affinare la ricerca. Anche con questi abbiamo ottenuto la stessa percentuale».
Come funziona l’apparecchio? È difficile da usare?
«Niente affatto, ricorda un po’ il test di gravidanza. È una piccola scatola che funziona con un campione di urina. Lo infili nella Blue Box, aspetti qualche minuto e poi hai il risultato dell’analisi chimica sul tuo telefono che lo manda anche al cloud dove un algoritmo basato sull’Intelligenza artificiale ti fornisce una diagnosi».
Più facile di una mammografia. Però poi non bisogna farsi controllare da un dottore?
«Il dispositivo è collegato a un’app che ti mette in contatto con un medico nel caso il risultato sia positivo. Io credo che la medicina del futuro debba essere personalizzata, preventiva, fatta su misura, dove il paziente sia al centro e il dottore abbia uno stretto legame col malato. La Blue Box non è un’alternativa al medico ma è qualcosa che, al contrario, può facilitare questo rapporto. Tieni presente che una mammografia emette raggi X, a volte è dolorosa. E molte donne spesso non la fanno. Col nostro apparecchio invece vorremmo spingere tutte a farsi controllare».
Come sei arrivata a considerare il problema in questi termini?
«Mentre stavo lavorando al progetto, mia mamma si è ammalata di cancro al seno. E questo mi ha ricordato quanto sia importante studiare le soluzioni e le alternative. E quanto siano importanti la prevenzione e la cura per noi donne».
Quando entrerà il dispositivo nelle nostre case?
«Ora lo stiamo testando negli ospedali, facendo le analisi cliniche, ma credo che in 3 anni saremo in grado di lanciarlo sul mercato. Naturalmente dopo che sarà stato approvato dalla Food and Drug Administration e dell’Agenzia europea dei medicinali, dato che è un dispositivo medico».
Intanto sei riuscita a vincere il Premio James Dyson, in un anno in cui i concorrenti erano tantissimi.
«Sì, è stata una bella soddisfazione, che mi sta dando la forza e la motivazione per continuare su questa strada. Pensa che mi ha chiamato James Dyson in persona e non riuscivo a crederci».
James Dyson Award, un premio per i giovani inventori
Il James Dyson Award è un concorso internazionale dedicato alle nuove generazioni di ingegneri. Il premio consiste in 35.000 dollari
(più 5.500 per l’università) per i primi classificati. Nel 2020 Judit Giró Benet ha vinto il primo premio e per la prima volta è stata istituita anche
la categoria “sostenibiltà” vinta dal filippino Carvey Ehren Maigue col progetto di un materiale per la produzione di energia rinnovabile.