Sua madre Shyamala glielo ripeteva sempre: «Sii la prima, ma fai in modo di non essere l’ultima». Kamala Harris, 56 anni, le ha dato ascolto: con il successo alle elezioni del 3 novembre in tandem con Joe Biden è diventata vicepresidente degli Stati Uniti, ruolo mai ricoperto da una donna, tantomeno di colore.

Pochi giorni dopo la vittoria, nello Stato del Delaware, ha tenuto un discorso capace di abbracciare l’universo femminile. Si è rivolta alle giovani invitandole a sognare in grande: «Ogni bambina che ci guarda stasera vede che questo è un Paese di opportunità». Ha ricordato «le generazioni di nere, latine, asiatiche, bianche e native americane che hanno preparato la strada per questo momento», comprese le suffragette dell’inizio del 20esimo secolo, a cui ha reso omaggio indossando un tailleur pantalone del loro colore simbolo: bianco scintillante. E ha sorriso con il cuore, come facciamo tutte noi al pensiero dell’ennesimo soffitto di cristallo andato in pezzi.

Chi è Kamala Harris

Kamala (con l’accento sulla prima A) Harris è la bambina a cui la mamma indiana ha voluto dare il nome sanscrito del loto, fiore simbolo della dea della saggezza. Nella California degli anni ’70 sfilava nel passeggino alle manifestazioni per i diritti degli afroamericani. «Ricordo ancora i canti, gli slogan e un mare di gambe in movimento» ha raccontato nel memoir del 2019 The truths we hold: an American journey (in uscita in Italia il 28 gennaio per La Nave di Teseo con il titolo Le nostre verità). Nonostante il colore della pelle, a Berkeley frequentava la scuola di Thousand Oaks, il quartiere ricco e bianco della città, in uno dei primi esperimenti di integrazione. I suoi genitori (il padre economista immigrato dalla Giamaica, la madre biologa dall’India) l’hanno cresciuta a pane e attivismo, templi induisti e chiese battiste. Dopo il divorzio della coppia, ci ha pensato la mamma ad allevare Kamala e la sorella minore Maya «perché fossero orgogliose del colore della loro pelle».

Chi ha provato ad assegnarle un’etichetta razziale, si è sentito rispondere che lei è semplicemente americana. «È un personaggio unico, che grazie alle sue origini, ha dentro di sé la ricchezza e le contraddizioni dell’America di oggi: è nera ma, a differenza di moltissimi afroamericani, non ha alle spalle una storia di schiavitù» dice Francesco Costa, vicedirettore di Il Post e autore della newsletter sulla politica statunitense Da Costa a Costa. «Piace perché sfugge ai cliché della società: infatti le minoranze etniche hanno votato compatte per lei e Biden, gli unici capaci di rappresentarle».

Dopo l’omicidio dell’afroamericano George Floyd da parte di un poliziotto bianco a maggio 2020,
Dopo l’omicidio dell’afroamericano George Floyd da parte di un poliziotto bianco a maggio 2020, Kamala Harris si è schierata con il movimento Black Lives Matter (foto sopra). Nel 2018, da senatrice, si era opposta alla elezione alla Corte Suprema del giudice Brett Kavanaugh, accusato di molestie sessuali ai tempi dell’università.

Kamala Harris e Joe Biden

Chignon spettinato, leggings, sneakers (è un’avida collezionista di Converse, con cui è apparsa anche sulla copertina di Vogue Usa). È diventato virale in Rete il video in cui la vicepresidente appena eletta appare così, mentre al telefono ripete a Joe Biden: “We did it Joe”, ce l’abbiamo fatta. Dal 20 gennaio, giorno dell’insediamento alla Casa Bianca, guideranno il Paese insieme: lui veterano della politica, lei veterana dei record. Dopo la doppia laurea, in Economia e Scienze politiche, e la specializzazione in Legge, è stata la prima donna di colore a diventare procuratore distrettuale della California e la prima donna in assoluto nominata procuratore generale dello Stato.

«È accaduto quando quei ruoli erano ancora ricoperti al 95% da bianchi e al 75% da uomini» spiega Costa. Successi che a volte le sono costati l’accusa di essere troppo ambiziosa. «Lo è sicuramente, come quasi tutti i politici emergenti quando capiscono di avere talento. Ma se fosse stata un uomo, nessuno avrebbe avuto niente da ridire». Lei ha tirato dritto e nel 2016 ha centrato un altro primato: è diventata la seconda donna nera nella storia eletta al Senato. Che sia una tipa tosta è un dato di fatto. Lo ha dimostrato quando, nel corso di 2 audizioni al Senato, ha interrogato l’ex ministro della Giustizia Jeff Session e il giudice della Corte Suprema Brett Kavanaugh, accusati rispettivamente di collusioni con la Russia e di molestie sessuali. Entrambi sono stati messi alle strette dalla raffica di domande dell’allora senatrice della California.

Anche con Joe Biden all’inizio non è stata tenera. In un acceso dibattito durante le primarie democratiche gli ha rinfacciato di aver lavorato con 2 senatori segregazionisti negli anni ’70 e di essersi opposto al servizio di scuolabus per le minoranze che vivevano nei quartieri più disagiati, ricordando una ragazzina nera che era potuta andare in una scuola migliore proprio grazie a quei pullman: «Quella ragazzina ero io». Una volta abbandonata la corsa alla nomination, si è schierata dalla sua parte solo dopo che le altre donne impegnate nelle primarie hanno abbandonato il campo. Da quando Biden l’ha scelta come suo braccio destro, però, tra loro è tornata l’armonia. Kamala lo ha descritto come «un uomo capace di riunificare e guarire il Paese». Lo dovranno fare insieme, soprattutto dopo l’attacco al Campidoglio del 6 gennaio da parte degli ultras pro-Trump proprio mentre il Congresso ufficializzava la loro vittoria.

«Come ha detto il presidente eletto, è stato un assalto allo Stato di diritto» ha commentato Kamala Harris in un video. Per poi affondare il colpo: «La sfida che abbiamo davanti è capire come riformare un sistema della giustizia che non tratta tutti nello stesso modo. Un sistema che agisce in modo diverso a seconda che tu sia bianco o nero, ricco o povero». Se al posto degli estremisti di destra ci fossero stati i manifestanti di Black Lives Matter, le forze dell’ordine sarebbero intervenute in modo molto più deciso. È questo il pensiero della vicepresidente e di molti intellettuali americani, come l’attivista per i diritti dei neri Derecka Purnell che sul Guardian ha avvalorato la tesi della Harris: «Di fronte alla resistenza degli afroamericani, lo Stato risponde con la repressione. Davanti alla rivolta dei bianchi conservatori, con la collusione».

La ferita è profonda, ma Kamala Harris si sta già muovendo per ricucirla. Ha annunciato che al suo fianco lavoreranno almeno 3 donne di colore, tra cui Tina Flournoy, nel ruolo fondamentale di capo dello staff. «In una Nazione che tiene moltissimo al fatto che tutte le identità vengano rappresentate è un segnale forte: si occuperà certamente delle minoranze etniche» dice Costa. «Per il resto, come Biden, Harris incarna l’anima moderata del partito E questi 4 anni saranno per lei una rampa di lancio: alle prossime elezioni in cui i democratici dovranno scegliere un candidato, c’è da scommettere che Harris sarà in prima fila».

La vita privata di Kamala Harris

Sul fronte della vita privata Kamala Harris ha già fatto saltare gli schemi dell’America più bigotta, grazie a una famiglia allargata nel segno della modernità. A 50 anni ha sposato Douglas Emhoff, bianco, ebreo e già padre di 2 figli, Cole ed Ella, 16 e 11 anni, che oggi la chiamano “Momala”. «Ho avuto tanti titoli, ma questo è il più significativo» ha confidato lei, che è anche amica della madre dei ragazzi, Kerstin, al punto che quest’ultima ha collaborato attivamente alla sua campagna elettorale.

Kamala Harris ha sposato nel 2014 a Santa Monica l’avvocato Douglas Emhoff, conosciuto un anno pri
Kamala Harris ha sposato nel 2014 a Santa Monica l’avvocato Douglas Emhoff, conosciuto un anno prima a un convegno legale. Il giorno dopo lui le mandò una mail: «Mi piaci davvero. Vediamo se funziona».

Per supportarla a Washington, il marito non ci ha pensato 2 volte a mettere in stand by la carriera da avvocato. La ricompensa? Il titolo di primo “second gentleman” della storia. Il potere di questo ribaltamento di ruoli? Enorme. «Il presidente e il vice contano non solo per l’attività governativa, ma anche per le scelte personali, a cui i cittadini guardano come esempi da emulare» conclude Costa. «Rispetto al predecessore Mike Pence, religiosissimo e conservatore, Kamala è una rivoluzionaria». Solo in un dettaglio non potrebbe essere più tradizionale: la ricetta del pollo arrosto, piatto forte delle prossime cene a casa di Madame Vice President.

Un libro per conoscere Kamala Harris

Chi sono i nuovi protagonisti della politica Usa? Il 19 gennaio, un giorno prima dello storico cambi
Chi sono i nuovi protagonisti della politica Usa? Il 19 gennaio, un giorno prima dello storico cambio di guardia alla Casa Bianca, esce Una storia americana. Joe Biden, Kamala Harris e una Nazione da ricostruire (Mondadori) di Francesco Costa, vicedirettore di Il Post. Ripercorre le vite del nuovo commander in chief e della sua vice, dall’infanzia alle rispettive carriere, fino alla vittoria elettorale.