Piccolo esperimento sociale: qual è stata la virtù che hai dovuto utilizzare più volte in questo anno di pandemia? Scommettiamo che, come molti, risponderai: «La pazienza». La pazienza di seguire le regole, senza poter abbracciare le persone a cui vuoi bene, la pazienza di trascorrere lunghe e interminabili giornate in casa, la pazienza di abituarsi alle videoriunioni e, intanto, aiutare i figli in Dad nella stanza accanto. La lista sicuramente non si ferma qui: questi mesi di attesa sono stati costellati da mille atti di pazienza e se scavi solo un poco nei tuoi ricordi recenti chissà quanti ne ritrovi.
Ma abbiamo davvero imparato qualcosa su questa virtù millenaria, qualcosa che magari ci sia utile nella tanto attesa ripartenza? «Io vivo a Londra: qui siamo già ripartiti, negozi e pub sono aperti e la gente ha sempre fretta, fame di fare. Però vedo che molti hanno messo in discussione abitudini, priorità e valori e stanno iniziando una sorta di cambiamento interiore, partendo proprio dalla pazienza forzata sperimentata durante il lockdown. Ecco, invito tutti a farlo». A parlare è il coach Raffaele Gaito. Insegnante alla Business school de Il Sole 24 Ore, ha appena scritto L’arte della pazienza (Franco Angeli), un libro che sui social sta facendo furore.
Una bella sfida la sua, visto che la maggior parte di noi ha vissuto questo anno con insofferenza.
«È vero, si tratta di una sfida forte. Ma pensiamo che questo è un momento in cui possiamo finalmente liberarci da quello che io chiamo il “binge watching di vita”. Ha presente quando la sera, sul divano, ci abbuffiamo di serie tv? Ormai ci comportiamo così sempre: dobbiamo avere e fare tutto e subito e la tecnologia ci aiuta. In un clic arrivano la cena o un abito, l’appuntamento con il medico e con una nuova storia d’amore. È quasi una forma di dipendenza da questa fretta di vivere. Un’abbuffata che ci porta a cercare sempre nuove cose da fare, persone da incontrare».
Cosa c’è di male nel non voler aspettare?
«Prima io ho usato la parola dipendenza e non l’ho fatto a caso. Il meccanismo è stato evidenziato ormai da molti studi: alla base c’è la dopamina, neurotrasmettitore che viene prodotto in diverse aree del nostro cervello e che ci rende felici ed euforici. Le attività “binge watching” generano vere scosse di dopamina e a lungo andare noi ne diventiamo dipendenti, cioè ne vogliamo sempre di più ma ne siamo sempre meno soddisfatti. È un circolo vizioso che può essere spezzato ritrovando proprio la pazienza e spogliandola della patina di costrizione che ha avuto finora. Per farlo, bisogna capire cosa sia davvero».
Ci dia la sua definizione.
«Qualcosa di molto lontano dalla passività, dalla pigrizia o dall’immobilismo. Chiariamolo con un esempio. Quando nei miei corsi in azienda chiedo di definirla con un’immagine, tutti mi propongono la figura di una persona bloccata nel traffico e che riesce a non strepitare. Ma questa è la calma, è l’essere zen. La pazienza ha a che fare con l’attivismo: è una maratona. Chi è paziente agisce, fa, quindi supera l’insofferenza, la sensazione di costrizione. Accetta che certe cose richiedano tempo, si dà un obiettivo, professionale o personale, e aspetta. Intanto studia, analizza, procede. La persona paziente è perseverante e costante. E, soprattutto, è guidata dalla visione: si chiede il perché delle sue azioni e mantiene la capacità di focalizzarsi sui suoi obiettivi».
Nel suo libro lei definisce la pazienza come un muscolo che va allenato. Come si inizia?
«Io suggerisco il diario della pazienza. Prendo carta e penna, perché questo gesto permette di fermarmi e riflettere, e ogni giorno scrivo cosa dovrei fare per arrivare dove voglio e cosa faccio concretamente. Appunto idee, dubbi e sentimenti. E, cosa cruciale, rileggo tutto periodicamente per correggere il tiro. Per fare questo, tra l’altro, sono paziente, mi prendo del tempo».
E poi come prosegue l’allenamento?
«Con la ricerca di nuove abitudini. Vado a caccia di quelle che io chiamo le alternative lente e inizio dalle piccole cose. Guardi che anche preparare il caffè con la moka, fare le scale e non prendere l’ascensore o acquistare un paio di scarpe in negozio piuttosto che online spingono la mente a essere lungimirante e a valutare tutte le opzioni».
In queste settimane di zone gialle e ripartenze però tutti vorrebbero tornare a lavorare e produrre il più velocemente possibile!
«È naturale: devo guadagnare, rifarmi delle perdite e arrivare alla fine del mese. Attenzione, però, perché questa corsa potrebbe stremarmi e non bastare. In un momento di crisi come questo dovrei acquisire nuove competenze che mi rendano unico nel mio settore, provare strade diverse. Le racconto un aneddoto che riguarda Steve Jobs. Pochi sanno che all’inizio, quando non aveva un dollaro in tasca e faticava all’università perché non era un secchione, si è iscritto a un corso di calligrafia. Tutti gli davano del matto: voleva progettare computer e perdeva tempo così? Ma lui aveva la famosa visione di cui abbiamo parlato prima. Ha studiato grafica e calligrafia a lungo e, un decennio dopo, il primo Mac ha sbaragliato gli altri pc proprio perché era diverso: bello esteticamente e attento alla grafica».
Una guida per la ripartenza lenta
Che cos’hanno in comune l’imperatore Marco Aurelio, Steve Jobs e Guglielmo Marconi? O, ancora, il miliardario cinese Jack Ma e le scrittrici J.K Rowling e Astrid Lindgren, mamme di Harry Potter e Pippi Calzelunghe? Sono tutte persone di grande fama, geniali, ma che hanno avuto una immensa pazienza perché per sfondare hanno atteso parecchi anni. Lo racconta il growth coach Raffaele Gaito nel suo nuovo saggio L’arte della pazienza (Franco Angeli). L’autore analizza queste storie famose passo dopo passo. E poi ci insegna ad addestrare la pazienza con esercizi, idee e spunti pratici, da sottolineare e testare nella quotidianità. Con calma, ovviamente.