Vi racconto una storia. Accade in un minuscolo paese di montagna, in fondo a una valle verdissima, pochi abitanti dal lunedì al venerdì, centinaia di turisti nel weekend. Due ragazzine di città, una Decenne e una Tredicenne, vi si trasferiscono per le prime settimane di vacanza assieme ai genitori, che lavorano in smartworking. Per due giorni setacciano il paese a ogni ora, in cerca di coetanei con cui fare amicizia. L’esperienza dei genitori suggerisce che nei piccoli centri ci sia sempre un posto dove si ritrovano tutti. Basta individuarlo e intercettare l’ora giusta. Eppure le innumerevoli spedizioni hanno esito negativo. Se un ragazzino appare, è sempre in transito verso altrove.

La piccola ha una delle sue idee geniali: “Tappezziamo il paese di volantini in cui diciamo che cerchiamo amici della nostra età e che ogni giorno alle 18 li aspetteremo in piazza”. “Che cringiata” commenta la grande (se avete letto il numero sulle Generazioni, dovreste sapere che si traduce: “Che cosa imbarazzante”). Anche se nessuno, eccetto la piccola, ci crede veramente, tutta la famiglia collabora al progetto. Nottetempo, in ogni bacheca, su ogni palo del paese, compare il volantino scritto a mano. L’indomani, all’ora stabilita, la piazza comincia ad animarsi. Ci sono quelli che vanno giù diretti: “Siete voi le ragazze del volantino?”. Quelli che arrivano per mano ai genitori che sospettano uno scherzo. Quelli che fanno finta di essere lì per caso, e aspettano che qualcuno rivolga loro la parola.

Da quel giorno, la piazza diventa un piccolo laboratorio umano. Chi il primo giorno non ha il coraggio di parlare, lo trova l’indomani. Chi sparisce dopo la prima volta. Chi si presenta puntuale ogni pomeriggio. Chi continua a fingere di passare lì per altre ragioni. La Decenne e la Tredicenne sono sempre là, con un libro che prima o poi viene chiuso, per lasciar spazio a una chiacchierata, due tiri a pallone, una partita a calcio balilla. Per due settimane, escono dalla bolla dei compagni di scuola, dei cugini, dei figli degli amici. Incrociano vite simili ma completamente diverse dalla loro. E avviene una cosa incredibile: iniziano a essere orgogliose della loro diversità. Perché quando esci dalla bolla, quando a spingerti verso l’altro è la curiosità, non il bisogno di conferme, allora è ciò che hai di unico a contare, a renderti interessante.

L’estate da sempre rimescola le carte: i ragazzi di città si trasferiscono in campagna, quelli di montagna vanno al mare, quelli del nord vanno al sud, e viceversa. Non c’è stagione migliore per stravolgere i punti fermi e uscire dal recinto. Eppure c’è voluto un gesto quasi politico, un volantino, per innescare questa normale dinamica estiva. Forse che siamo noi a crescere i nostri figli dentro una bolla, per sentirci sicuri mentre loro sperimentano una sorta di libertà vigilata? Forse che siamo noi a coltivare in loro il valore dell’omologazione?

Pare che una sera, al rientro a casa, la Tredicenne, dopo anni di lotta sull’argomento, abbia detto: “Sai che sono felice di non avere un cellulare? Mi rende unica”. Si narra che la mamma, dopo un attimo di commozione, le abbia fatto firmare quella dichiarazione. Per potergliela sventolare davanti agli occhi all’inevitabile rientro nella bolla.

Leggi tutti gli editoriali di Annalisa Monfreda