I principi alla base della filosofia della prima Scuola internazionale italo cinese (Siic) sono apprendimento dei valori, conoscenza della ragione, propensione al pensiero, eleganza nel portamento. Sono iscritti a caratteri cubitali all’ingresso dell’edificio di circa 9.000 metri quadri (tra interni ed esterni), in via Palladio a Padova, nel quartiere multietnico dell’Arcella.

Ci sono anche 30 alunni italiani

La Siic è un istituto paritario riconosciuto dal ministero dell’Istruzione, con un centinaio di iscritti, di cui 30 italiani: «Un esperimento unico che in tanti vorrebbero copiare» sottolinea con un pizzico di orgoglio il vicepreside Wang Fushen, capello brizzolato e abito scuro. Un sogno che sua moglie, il dirigente scolastico Li Xuamei, lettrice di cinese all’università Ca’ Foscari di Venezia, insegue da quando si è trasferita in Italia. E che si è realizzato nel 2013, grazie ai fondi del governo di Pechino e di una cordata di imprenditori asiatici. Oggi la scuola si finanzia quasi interamente con le rette degli alunni (3.500 euro l’anno per il nido, 4.500 per le elementari, 5.500 per le medie), che continuano ad aumentare. «E l’anno prossimo apriremo il liceo linguistico» assicura il professor Wang, mentre corre dalla mensa al suo ufficio. Anche il caffè, qui, si prende di fretta «altrimenti come avremmo potuto costruire tutto questo?».

Qui si punta su disciplina e pulizia

I programmi scolastici uniscono la didattica italiana con la tradizione cinese: l’entrata è alle 8, l’uscita alle 16.10, ma chi vuole si ferma fino alle 18.10. All’ingresso si fanno 40 minuti di lettura nelle classi, tutte perfettamente pulite e ordinate. E, alle 10.15, c’è la ginnastica oculare: gli studenti seduti ai banchi fanno pressione con le mani sulle tempie e sul collo e muovono a ritmo i piedi sotto il banco.

Alle materie previste dal ministero, e insegnate da docenti italiani, si affiancano i corsi affidati ai maestri cinesi: la calligrafia, l’arte, la matematica col metodo cinese con tanto calcolo mnemonico per imparare a contare velocemente, e la musica, con lo studio di pianoforte e hulus (un particolare tipo di flauto). Nel pomeriggio, poi, si fa danza, taekwondo, ping pong e piscina.


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Si impara l’inglese dall’asilo e il mandarino dalla prima elementare

I più piccoli iniziano a studiare l’inglese alla scuola d’infanzia e il cinese in prima elementare, con docenti rigorosamente madrelingua, cosa molto gradita ai genitori italiani. «La maggior parte delle nostre scuole vive nel passato: alla fine del ciclo di studi, i ragazzi non sanno parlare una parola d’inglese» dice Roberta Andreatta, mamma di Elena, che ha 11 anni ed è in prima media. Ha deciso di iscrivere la figlia alla Siic l’anno scorso «per stimolarla», e non è stato un problema per lei iniziare il mandarino più tardi dei suoi compagni, perché «qui si lavora per gruppi di studio, in base al livello di partenza, e anche gli insegnanti pretendono in maniera differente».

Com’è la convivenza con gli studenti cinesi?

«Non va male, ma c’è un approccio differente: mentre i bambini italiani sono socievoli e fanno amicizia più facilmente, quelli cinesi, in genere più riservati, tendono a formare gruppi chiusi». Nei corridoi c’è silenzio e gli alunni escono dalle classi in fila indiana «perché noi insegniamo la disciplina, che è quello che più manca alla scuola italiana» sottolinea il dirigente scolastico. «Ai primi 2 anni delle elementari si fa condotta civica. Qui non si corre, ci si siede composti, non sono ammessi i cellulari, si saluta con un mezzo inchino, tutti (maestri e studenti) hanno la divisa e le bambine devono raccogliere i capelli lunghi: solo chi è istruito, ben educato e sereno sarà utile alla società, potrà diventare un buon cittadino del mondo e costruire il futuro».

Si promuove un’educazione rigida ma (troppo) selettiva

Le regole della Siic fanno tornare alla mente l’educazione alla “tiger mum” raccontata da Amy Chua nel famoso besteller “Il ruggito della mamma tigre”. «Per fortuna nelle scuole italiane possiamo evitare tutto questo formalismo, che è molto lontano dalla nostra cultura» afferma Federico Masini, ordinario di Lingua e letteratura cinese alla Sapienza di Roma e coordinatore di un progetto ministeriale sullo studio del cinese «L’attenzione all’esteriorità è tipica dell’antico sistema educativo orientale, che si fonda sui principi dell’obbedienza e dell’apprendimento mnemonico. Ma non garantisce sempre la sostanza e non è detto che sia un bene. Tradizionalmente la scuola cinese, al contrario di quella italiana, è estremamente rigida e selettiva e permette solo ai migliori di andare avanti, tagliando fuori gli altri».

Certo, il modello a cui la scuola di Padova si ispira difficilmente sarà riprodotto in Italia, ma per il docente questa competizione e attenzione alle forme potrebbe acuire le differenze e spiegare in parte la maggiore riservatezza dei bambini cinesi: «Se per primo il sistema scolastico è selettivo, e non include chi ha competenze inferiori, difficilmente lo faranno i suoi studenti».

Il cinese diventerà la seconda lingua?

Secondo un’indagine della Fondazione Intercultura con Ipsos, sono 279 gli istituti superiori (l’8% del totale) che hanno attivato l’insegnamento del cinese nei programmi scolatici o extra. Gli studenti delle superiori che imparano il mandarino sono circa 17.500. E la Cina è diventata la prima meta di studio extraeuropea sorpassando, seppur di poco, gli Stati Uniti.

Il cinese «si avvia a diventare la seconda lingua straniera studiata in Italia» dice Federico Masini, ordinario di Lingua e letteratura cinese alla Sapienza di Roma. Al ministero dell’Istruzione Masini ha coordinato i lavori per la creazione del “Sillabo”, «un quadro di riferimento per rendere la didattica del cinese omogenea sul territorio nazionale».

Il cinese oggi è così diffuso che «è stata aperta una classe di concorso per gli insegnanti di cinese e il Ministero ha bandito i primi 13 posti di ruolo: un numero destinato a crescere negli anni». È facile comprenderne il motivo: «I ragazzi e le famiglie sono lungimiranti e vedono come il mondo stia cambiando: l’Oriente offre opportunità di futuro e di crescita».