Il sondaggio sulle abitudini green delle famiglie italiane
Questo 2020 ci ha cambiati in tante cose. Ha modificato abitudini e pensieri. E ci ha reso più sensibili al mondo che ci circonda, alla natura con le sue fragilità e i suoi bisogni. Una rivoluzione che noi di Donna Moderna abbiamo deciso di indagare con il nostro progetto Green&me: siamo entrati nelle case di 2100 famiglie italiane per parlare di sostenibilità ambientale, comportamenti e aspettative dei consumatori in questo periodo così complesso. Per raccontarvi i risultati di questa grande ricerca, svolta da BVA- Doxa in collaborazione con Infovalue, partiamo da qui, da uno dei gesti più importanti e quotidiani: la spesa. Abbiamo scoperto, per esempio, che acquisti online e a chilometro zero sono balzati in cima alla classifica delle nuove abitudini alimentari. «Due cambiamenti che hanno contribuito a determinarne uno più grande: la maggiore attenzione per gli aspetti legati alla salute e all’etica del cibo che acquistiamo» spiega Paolo Corvo, docente di Sociologia generale all’università di Scienze gastronomiche di Pollenzo (Cn). «Cucinare durante il lockdown con tanto tempo a disposizione e insieme ai nostri cari ci ha spinti a interrogarci sugli ingredienti di quelle ricette. Fare la spesa è stata per mesi l’unica occasione per uscire di casa e distrarsi: così, rispetto a quando, stressati dal lavoro e dalla fretta, per abitudine arraffavamo le solite cose dagli scaffali, abbiamo riscoperto il tempo e la voglia di confrontare le confezioni, leggere le etichette e riflettere».
I consumatori sono consapevoli del legame tra cibo e salute
«Oggi i consumatori hanno finalmente capito che c’è un forte legame tra quello che si mangia e il proprio stato di salute» conferma Erika Marrone, responsabile qualità del marchio Alce Nero. «E la maggior attenzione all’ambiente si riflette sulla scelta di alimenti sostenibili per il Pianeta e, quindi, anche per noi». Non è allora un caso che il 58% dei nostri intervistati sia interessato alla qualità prima che al prezzo e il 31 si impegni già quotidianamente nell’acquisto di prodotti etici e a filiera controllata. Ma quali sono le caratteristiche di una spesa davvero green? Che cosa dobbiamo sapere perché le nostre scelte siano sane per noi e sostenibili per l’ambiente?
Molti non vogliono più acquistare cibo in confezioni di plastica
Oggi abbiamo molti strumenti a disposizione. A partire dal packaging, il biglietto da visita del nostro cibo. I dati del sondaggio confermano che il 23% di noi preferisce acquistare prodotti senza plastica o sfusi a prescindere dal prezzo, e nel puntare su una marca rispetto a un’altra sceglie aziende che limitano l’uso della plastica (34%) e che propongono eco pack (23%). «Il fatto che la confezione sia compostabile o facilmente riciclabile non è però l’unico criterio da seguire» spiega Raffaella Cagliano, responsabile scientifico dell’Osservatorio Food Sustainability del Politecnico di Milano. «Il pack deve soprattutto permettere la lunga conservazione del cibo per evitare il rapido deterioramento e quindi lo spreco. E poi deve “parlare” davvero ai consumatori, non con slogan e frasi fatte che rimandano a valori di natura spesso inesistenti, ma con dati reali. Prima di tutto gli ingredienti: meno ce ne sono più la materia prima è di alta qualità».
Nelle certificazioni scopri il vero bio che rispetta la terra
Sono molto importanti anche le certificazioni. «Quelle più riconosciute, dal bio al Fairtrade, sono indicatori importanti» aggiunge Erika Marrone. «Garantiscono prodotti che arrivano da un’agricoltura rispettosa della terra, dei suoi tempi e della gente che ci lavora». E per fortuna, come dimostra il nostro sondaggio, il 63% degli italiani considera le certificazioni un criterio importante nel momento della spesa. Non basta certo l’immagine di un contadino con la zappa sulla confezione per garantirci un acquisto green. Anzi, spesso è fuorviante. «Gli alimenti davvero sostenibili sono prodotti in maniera sempre più tecnologica» continua Raffaella Cagliano. «Dalle colture aeroponiche che risparmiano terra e acqua, ai droni con sensori che permettono di irrigare solo al bisogno o intercettare precocemente i segnali delle malattie nelle piante per evitare i pesticidi. Big data e intelligenza artificiale sono il prossimo futuro dell’agricoltura biologica».
La filiera corta e gli acquisti di prossimità
Conoscere i produttori è un altro strumento imprescindibile per chi vuole fare una spesa green. E, come rivela il nostro sondaggio, i consumatori consapevoli non si limitano più semplicemente a comperare frutta e verdura di stagione: adesso ai primi posti c’è la scelta di alimenti italiani (88%) che arrivano da produttori locali (84%). «Era già una tendenza» racconta Francesco Sottile, vicepresidente di Slow Food. «Perché il contatto diretto con i produttori, il dialogo che avviene, per esempio, attraverso i gas, i gruppi di acquisto solidale, o nei mercati contadini è il vero “racconto del cibo”: permette di conoscere la storia dei prodotti, della terra e della gente che li ha generati. Noi abbiamo messo a disposizione informazioni sulle varietà vegetali, i territori, le tecniche di coltivazione e il benessere animale nella cosiddetta “etichetta narrante” adottata da tanti produttori Slow Food. E abbiamo stimolato la nascita delle reti di botteghe di quartiere, importanti “selezionatori” di cibi di qualità». Proprio gli acquisti di prossimità sono un’altra conquista recente: nel nostro sondaggio salgono dal tredicesimo al terzo posto nella classifica delle buone abitudini alimentari del 2020. «Il bottegaio può essere la persona di fiducia che seleziona i prodotti locali migliori e i produttori seri» continua l’esperto.
Come riconoscere il commercio equo
Certo, non tutti i prodotti che finiscono sulla nostra tavola possono provenire dalle fattorie vicine. Ma anche quando si parla di zucchero, banane, cacao o caffè, pur non potendo rinunciare alla quota di anidride carbonica che il trasporto di questi prodotti rilascia nell’aria, è possibile comunque fare scelte sostenibili. Per esempio, cercando il marchio Fairtrade, circuito internazionale che permette a 1.700 organizzazioni di produttori dei Paesi in via di sviluppo l’accesso al mercato secondo regole eque. «Significa che viene riconosciuto a questi agricoltori un prezzo minimo che li protegge dagli sbalzi del mercato e un premio aggiuntivo da spendere per progetti sociali a beneficio delle comunità e per il miglioramento delle produzioni» spiega Benedetta Frare, responsabile comunicazione di Fairtrade Italia. «In Perù, per esempio, lo hanno utilizzato per reimpiantare tante produzioni di caffè le cui bacche erano state danneggiate da malattie provocate dal cambiamento climatico». Ma c’è un altro aspetto importante. «Tutti gli alimenti Fairtrade devono seguire standard ambientali molto rigidi. Nei Paesi dove non c’è innovazione agricola, infatti, l’abuso di pesticidi è spesso la regola e ogni coltivazione rispettosa dell’ambiente serve a proteggere la terra e la salute dei contadini, oltre che quella dei consumatori». Nel nostro sondaggio il 24% dei consumatori considera già questa certificazione il principale criterio per la scelta di un prodotto. Per gli altri, il freno maggiore è ancora il prezzo.
Perché il prezzo più alto è un prezzo giusto
Già, il prezzo. Eccolo qui il principale, grande ostacolo alla diffusione massiccia di scelte eque e bio. Anche in un periodo di grande incertezza economica come quello che stiamo vivendo, però, il 47 per cento degli intervistati si dice attento più alla provenienza dei suoi acquisti che al costo e solo un consumatore su 10 evita i prodotti biologici perché sono più cari. Quello che il consumatore percepisce come un costo più alto spesso però è un prezzo giusto. «Nel nostro caso non solo vengono garantite retribuzioni eque a tutti gli attori della filiera ma quel guadagno viene reinvestito nella terra» racconta Marrone di Alce Nero. «Per esempio, per selezionare le varietà di colture più sostenibili e le tecniche agricole più avanzate, cioè quelle che consentono di risparmiare risorse, evitare l’uso di pesticidi e non ricorrere al lavoro nero. Tutti aspetti che costituiscono un valore». Confrontando una salsa in vendita a 90 centesimi e una che ne costa il doppio, prima di scegliere la più economica è giusto chiedersi che pomodori sono stati usati e chi li ha raccolti. «Che valore attribuiamo a quello che mangiamo? Se ne diamo tanto all’abbigliamento o alla tecnologia perché non facciamo altrettanto con gli alimenti che contribuiscono a determinare il nostro stare in salute?» aggiunge Andrea Segrè, coordinatore di Last Minute Market, iniziativa contro lo spreco.
Quanto è importante non sprecare
«Comprare cibi bio ed etici non sempre vuol dire spendere di più: se acquisto una farina da 3 euro al chilo sto bene attento a non sprecarla, quella in offerta invece spesso finisce tra i rifiuti. In questo anno così complesso, noi abbiamo osservato come pur essendo aumentata la spesa a causa della chiusura di mense e ristoranti, non è cresciuto lo spreco. Vuol dire che abbiamo riflettuto sui nostri acquisti e scelto prodotti di maggiore qualità ma anche programmato i nostri pasti in modo da non buttare via nulla. Un bel risparmio per noi e per il Pianeta».