Il monte-ore delle attività dovrebbe passare da 200 ore nei licei a 90, da 400 a 150 negli istituti tecnici, da 400 a 180 nei professionali (innalzabili tuttavia a discrezione delle singole scuole, ad esempio nel caso di progetti particolarmente significativi per gli studenti, ma da realizzarsi preferibilmente in periodi di sospensione dell’attività didattica come l’estate, le vacanze natalizie e pasquali oppure all’estero).
I percorsi proposti dovranno essere coerenti con l’indirizzo e il corso di studi e caratterizzati da una forte valenza orientativa. Quindi niente di particolarmente fantasioso rispetto ai programmi scolastici e soprattutto niente che assomigli a un contratto di lavoro: l’Alternanza dovrà essere un’esperienza di semplice formazione. Non sarà un requisito di ammissione all’esame di maturità (come già stabilito per quest’anno) e naturalmente non sarà oggetto di verifica all’esame, mentre fino a qualche mese fa pareva che il colloquio orale dovesse consistere proprio nella presentazione delle esperienze lavorative fatte.
I perché di questa drastica riduzione
Le proteste degli studenti dei licei, che negli anni scorsi hanno scritto al MIUR e sono scesi ripetutamente in piazza contro la Buona Scuola sono evidentemente state ascoltate dal ministro Bussetti: in buona sostanza i ragazzi si sono sentiti fin qui “sottratti” dall’Alternanza ai loro impegni scolastici ordinari, in un marasma organizzativo perenne che se in qualche caso li ha portati a conoscere significativamente il mondo del lavoro, a volte li avrebbe fatti crescere pochissimo, catapultandoli dai libri a un continuo mercanteggiare di ore (“quante me ne mancano per finire?’’ è una delle domande più ricorrenti nei corridoi e nelle assemblee di classe). Un liceale su tre fino allo scorso anno si esprimeva negativamente sulle esperienze fatte.
Scontenti, com’è noto, anche i docenti: alcuni ideologicamente restii ad aprire le porte della didattica ad altri mondi, moltissimi lasciati soli a muoversi tra apprendistati e imprese formative simulate, a progettare e scegliere tirocini o stage per i loro ragazzi.
E naturalmente perplessi anche i genitori, solo di rado ammessi a capire il senso di quella che la legge 107 aveva proposto come una rivoluzione epocale della scuola superiore italiana.
Diversa la situazione nei tecnici e nei professionali: l’Alternanza è considerata da 4 studenti su 5 una buona occasione offerta dalla scuola in vista di ciò che li aspetta dopo il diploma; gli insegnanti dal canto loro sono rodati da anni a costruire le competenze degli studenti attraverso le attività che si svolgono al di fuori della programmazione ordinaria e in collaborazione con gli enti esterni.
Ma come sempre le motivazioni di queste scelte sono anche o soprattutto di natura economica: la spending review andrà quasi di sicuro a intaccare i fondi che negli anni scorsi erano stati destinati all’Alternanza, anche se pare che il MIUR garantirà 100 milioni di investimento più altri 100 milioni di fondi europei (oltre a denaro che arriverebbe una tantum): mancherebbero tuttavia all’appello 50 milioni che l’ex sottosegretario Toccafondi nei giorni scorsi ha definito un “regalo” dell’esecutivo alla realizzazione del reddito di cittadinanza. Si tratterebbe insomma di fondi risparmiati ma non reinvestiti nell’istruzione e probabilmente neanche nell’edilizia scolastica (che pure è uno dei punti salienti del programma di governo).
Cosa si perde
Confindustria e in generale i rappresentanti delle piccole e medie imprese non sono affatto contenti di questo ritorno al passato: negli istituti tecnici e nelle scuole professionali l’Alternanza Scuola Lavoro funziona bene dal 2003 ed è un’esperienza pre-professionale che negli anni ha creato un legame solido tra scuola e l’imprenditoria e che, a detta di tutor esterni e insegnanti, non era affatto il modo con cui le aziende trovavano manodopera a basso costo.
Non è automatico che il dimezzamento delle ore garantisca la qualità dei percorsi che il governo viceversa promette.
L’incertezza degli scenari futuri
In molte scuole alcuni progetti sono naturalmente in stand by, nell’attesa di sapere quale sarà il destino dell’Alternanza.
Ma che fine rischiano di fare le esperienze di buone pratiche messe in atto in questi anni? Si allenteranno fino a interrompersi i legami stretti tra scuole, aziende, enti pubblici e privati, professionisti, ospedali, giornali, musei? Che fine farà, soprattutto, la capacità progettuale che l’Alternanza Scuola Lavoro ha provato a introdurre nel mondo della scuola come strumento di rinnovamento della didattica?
Riuscirà l’Italia a tenere il passo con la stragrande maggioranza dei paesi europei dove esiste un sistema duale che, pur in forme diverse da paese a paese, cerca però di incrociare le richieste del mondo del lavoro con la formazione dei giovani, provando anche a risolvere il grave problema degli abbandoni scolastici, piaga trasversale dell’istruzione in tutti i paesi dell’Unione Europea?