Si sente spesso parlare della difficoltà per i giovani di trovare lavoro o della presunta inutilità della laurea, tanto che qualcuno si spinge a ritenere che il “pezzo di carta” non serva a nulla o quantomeno non aiuti a trovare sbocchi nel mondo del lavoro. Uno dei limiti dei percorsi di formazione, infatti, sarebbe nella mancanza di contatto tra il mondo accademico e quello delle imprese. È partendo anche da questa criticità che la task force guidata dal manager Vittorio Colao, voluta dal premier Giuseppe Conte per rilanciare l’Italia dopo la crisi sanitaria, ha puntato l’attenzione anche sui percorsi di formazione, sostenendo la necessità di potenziare le cosiddette “lauree professionalizzanti”.
Italia al 7° posto nel ranking mondiale delle università
Le lauree professionalizzanti sono state chiamate così perché agevolano l’ingresso dei laureati nel mondo professionale. Spesso le difficoltà dei giovani, infatti, stanno proprio nel trovare lavoro dopo gli studi accademici. Sulla validità di questi ultimi ci sono pochi dubbi, come dimostrano i risultati della 17esima edizione del Qs World University Rankings, la classifica globale dei migliori atenei nel mondo. L’Italia risulta al 3° posto in Europa (dopo Regno Unito e Germania, e davanti a Francia e Spagna) e al 7° nel mondo.
Il Politecnico di Milano guida la top ten nel nostro Paese, sia nel complesso sia alla voce Employability, quindi la capacità di offrire una preparazione professionale e appetibile nel mondo del lavoro. A seguire ci sono la Sapienza di Roma, l’Università Cattolina di Milano, l’Alma Mater di Bologna e il Politecnico di Torino.
Le lauree più richieste, secondo Almalaurea, sono in ingegneria, professioni sanitarie e architettura. In questo quadro si fanno largo le lauree professionalizzanti che, con un percorso più breve, offrono molte opportunità di impiego.
Cosa sono le lauree professionalizzanti
«Lo scopo di questi corsi accademici è quello di formare figure professionali in possesso di una laurea che li avvicini il più possibile al mondo del lavoro, già alla fine del triennio di studi» spiega il professor Massimo Nepi, Presidente del Comitato Unico per la didattica di Scienze Biologiche – Agribusiness, presso l’Università di Siena. Come le lauree triennali, quindi, permettono di proseguire eventualmente il corso di studi accademico arrivando alla laurea magistrale, ma il loro punto di forza sta nel fatto che, pur terminando dopo il triennio, offrono opportunità di impiego in tempi rapidi. Ciò è possibile grazie allo stretto contatto con aziende e imprese dei settori di specializzazione.
Un progetto nuovo
Previste da un decreto ministeriale del 2016 (n. 987), sono diventate operative solo con l’anno accademico 2018/2019, quindi sono molto “giovani”. Erano state caldeggiate dall’ex ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli, ma si erano “arenate” per difficoltà burocratiche legate dal cambio di Governo. Adesso sono a regime e si attendono anche i primi laureati, che sono però in numero ristretto rispetto ai “colleghi” delle lauree tradizionali. Intanto, dopo i primi due anni di lezioni alternate alle prime esperienze sul campo, con il terzo anno il tirocinio diventa preponderante.
L’esempio di Siena: diventare “agribusinessman”
«Come dice la parola stessa, la laurea in Agribusiness permette di unire le competenze classiche del settore agrario con quelle di tipo economico e di gestione finanziaria. La figura professionale che viene formata è quella di un “manager dell’agricoltura” a tutto tondo, che ha conoscenze che spaziano dall’ambito biologico e chimico a quello tecnico agrario, senza dimenticare i settori economico e giuridici, con l’apprendimento delle norme di un settore molto dinamico, complesso e importante per il nostro Paese. Il nostro professionista va oltre il classico laureato in agraria, anche se la classe di laurea è la stessa delle Scienze agrarie» spiega Nepi.
«A
contraddistinguere questo corso universitario è anche il fatto che molti
docenti sono professionisti che lavorano in questo mondo, e molti dei seminari
sono tenuti anche da esperti esterni al mondo accademico» prosegue il
professore.
A Palermo si diventa esperti di sicurezza sul lavoro
All’università di Palermo si formano gli esperti laureati in Ingegneria della Sicurezza. «Si occupano della progettazione e messa in sicurezza in tutti i luoghi del lavoro. Si tratta di una figura molto importante e soprattutto richiesta dalla legge che impone in qualunque sede di lavoro una valutazione del rischio e dei sistemi di protezione e prevenzione. È una figura trasversale, che opera sia nel settore pubblico che privato» spiega Salvatore Favuzza, professore dell’ateneo di Palermo, dove è coordinatore del corso di laurea ad orientamento professionale in Ingegneria della Sicurezza.
L’importanza del tirocinio
Il marchio distintivo delle lauree professionalizzanti è l’importanza data ai tirocini. Dei tre anni di corso, il terzo è quello in cui si concentra la gran parte delle esperienze sul campo, che però sono anticipate fin dall’inizio del percorso di formazione. «Già al primo anno sono previste 150 ore di tirocinio, pari a 6 crediti, con i primi contatti col mondo produttivo. Dopo aver maturato un adeguato bagaglio di conoscenze trasversali, al terzo anno arrivano a 1150 ore, pari a circa 6/7 mesi da passare in un’azienda» spiega Nepi. A Palermo sono previsti invece 180 crediti, dei quali 50 di formazione in aziende esterne all’università. In entrambi gli atenei (e in genere in tutti i corsi professionalizzanti) si accede in numero limitato.
Università pubbliche a numero chiuso
Si tratta in tutti i casi di università pubbliche, ma a numero programmato, alle quali è possibile accedere tramite test o fino a esaurimento posti. A Siena sono ammessi solo 20 studenti per anno accademico, ma non c’è selezione: «Soltanto due posti sono riservati a cittadini stranieri, uno proveniente dalla Cina e uno da un Paese extra Ue. Si accede tramite bando, fino a esaurimento posti. Una volta iscritti, però, tutti gli studenti sono sottoposti a un test di verifica obbligatorio sulle conoscenze di base» spiega Nepi.
A Palermo, invece, c’è un test di ammissione: «Il numero massimo di frequentatori è di 50 all’anno, selezionati con esami identici a quelli degli iscritti alla laurea tradizionale di Ingegneria, dunque con domande di matematica, fisica, comprensione verbale, logica e inglese» spiega Favuzza.
Lauree professionalizzanti: dove sono già attive
Nell’anno accademico 2019/2020 ancora in corso sono 14 i corsi attivati, in tre macro-aree: Ingegneria, Edilizia e Territorio, Energia e Trasporti. Si spazia, infatti, dalla laurea in Ingegneria meccatronica a Bologna, a quella del Legno (Bolzano e Firenze, qui con l’indirizzo in Tecnologie e trasformazioni avanzate per il settore legno, arredo ed edilizia), Ingegneria per l’industria intelligente a Modena, Ingegnerie delle tecnologie industriali nel Salento, Conduzione del mezzo navale e Ingegneria meccatronica a Napoli, costruzioni e Gestione ambientale e del territorio a Bari, senza dimenticare Tecniche e gestione dell’edilizia e del Territorio a Padova.
L’università politecnica delle Marche, poi, propone il corso per Tecnico della costruzione e gestione del territorio, a Udine c’è quello su Tecniche dell’edilizia e dell’ambiente, a Palermo è attiva la laurea in Ingegneria della sicurezza, a Sassari quella in Gestione energetica e sicurezza, infine a Siena l’Agribusiness.