«Fino a poco tempo fa eravamo solo “quelli che ti portano il cibo a casa”». Maurilio è uno dei ragazzi di Riders Union Bologna, una delle prime organizzazioni indipendenti nate in difesa dei fattorini in bici o in scooter. In Italia nessuno si era occupato di loro, salvo qualche accademico. Poco i sindacati, zero i partiti. E così le proteste – per le difficili condizioni di lavoro, le paghe troppo basse e la scarsa sicurezza – hanno iniziato a montare sui social network finché non si è creata una rete spontanea. Che ora comincia a raccogliere i primi frutti.
Cosa chiedono
Il 4 giugno il ministro del Lavoro Luigi Di Maio ha convocato una rappresentanza di riders. «Abbiamo sottolineato l’esigenza di aprire un tavolo nazionale con le piattaforme come JustEat e i lavoratori» racconta uno dei presenti. Fra il 14 e il 15 giugno lo stesso Di Maio ha ricontattato i riders: «Ha preannunciato una proposta di legge che punta a estendere le tutele del lavoro subordinato non solo a noi, ma a chiunque operi per le piattaforme digitali». La bozza del decreto prevede una “indennità mensile di disponibilità”, alla quale saranno agganciati ferie, maternità e malattia. E, proprio come la “Carta dei diritti” varata dal Comune di Bologna con contenuti simili, ha incendiato il confronto politico degli ultimi giorni.
Quanti sono
Inquadrare il fenomeno è necessario anche perché, al momento, nessuno è neppure in grado di stimare quanti siano i fattorini che ogni giorno consegnano il nostro sushi e le nostre pizze a domicilio. Secondo Deliveroo e Foodora, i 2 principali operatori del settore, sono circa 10.000. I riders indicano invece una cifra quasi doppia.
Quanto guadagnano
La paga è insoddisfacente e a dirlo sono le cifre fornite dagli stessi datori di lavoro: Deliveroo e Foodora parlano di una media di 839 euro per chi fa il rider come lavoro principale, consegnando 5 o 6 sere a settimana, e di 343 euro per chi lo fa come seconda occupazione. Sui contratti è il caos totale. Si va dalla paga oraria di Deliveroo (5,60 euro) con un rimborso-consegna diverso a seconda della città (1,50 a Milano; 0,80 a Torino), al pagamento a cottimo di 3,60 euro a consegna di Foodora. «Abbiamo la necessità di essere riconosciuti come lavoratori subordinati e non autonomi, con tutele e salari minimi» spiega Angelo Avelli, una delle anime della protesta milanese.
Come (non) sono assicurati
Le organizzazioni chiedono anche la copertura assicurativa, che oggi manca. E così capita che un rider che si è scontrato con un’auto si sia visto chiedere i danni perché l’azienda declinava ogni responsabilità. Le cose comunque si stanno muovendo: Foodora, per esempio, stipula con i propri rider contratti di collaborazione coordinata continuativa che, oltre al versamento dei contribuiti Inps, prevedono l’assicurazione Inail in caso di infortuni sul lavoro e una polizza in caso di danni contro terzi che la società tiene a suo carico.
In generale, però, le piattaforme fanno muro. Non è un caso che la “Carta dei diritti” bolognese sia stata sottoscritta solo da 2 sigle più piccole, MyMenu e Sgnam (con cui è partita la contrattazione di secondo livello). Silenzio da parte di Foodora, Deliveroo, JustEat e Glovo secondo i quali la questione non può essere affrontata a livello metropolitano, ma nazionale. Cosa che potrebbe accadere a breve.
Autonomi o dipendenti?
In Italia nel 2017 la prima sentenza di tribunale sui riders ha dato loro lo status di lavoratori autonomi. Lo stesso fanno le leggi francesi e inglesi, che però offrono paghe più alte. Spagna e Belgio hanno invece stabilito l’esatto contrario: il fattorino va inquadrato come dipendente. In Germania esistono polizza e salario minimo, mentre l’Austria riconosce ai riders la rappresentanza sindacale.