TORNARE A LAVORARE DOPO UN BAMBINO
Ne parliamo con Nina Gigante (@nina_giga su Instagram), giornalista e neomamma
Sto scrivendo questo articolo con una mano sola. Sul braccio sinistro dorme Arturo, mio figlio, sette settimane oggi. Si dice che quando nasce un bimbo nasca anche una mamma e allora, oggi, sono sette settimane che sono nata anch’io. Questa manciata di giorni di poppate e pannolini sono probabilmente troppo pochi per sapere che madre sono, ma intravedo già cosa non sono. Non mi sento una “madre cavalletta”, pronta a saltare fuori dalla maternità il prima possibile tornando alla vita precedente come se nulla fosse accaduto: trovo il mio tempo con Arturo divertente e ricco e non ho intenzione di rinunciarvi.
E non sono una “madre chioccia”, che nel caldo dell’aia vede la sua unica realizzazione: non intendo immolarmi sull’altare del sacrificio e non ho alcun mito del focolare domestico, anzi. Ma trovare il mio posto in questo “bestiario delle madri” è più facile a dirsi che a farsi. Ci sono l’esempio che ho ricevuto, le idee preconcette su cosa sia – o, meglio, cosa debba essere – una madre, le pressioni esterne, le aspettative che ho per me stessa: ogni tessera di questo mosaico può diventare una trappola asfissiante se non presto ascolto e cura alla donna che sono stata e a quella che sono diventata adesso.
«Diventare genitori è un atto trasformativo potentissimo» conferma la parent coach Elisa Pella, che mi parla accompagnando sua figlia al nido. «E dovremmo imparare a usarlo come risorsa per la nostra evoluzione invece di farci cristallizzare in un ruolo. I genitori devono occuparsi dei figli, ma non possono farlo a discapito di sé, perché, quando presenteranno il conto, a pagarlo saranno proprio i bambini. Non si tratta di scegliere tra le loro esigenze e quelle delle mamme, ma di capire che ascoltarsi vuol dire arare il terreno perché anche i bisogni dei piccoli possano fiorire. Uscita dall’ufficio, decido di passare un’ora al parco con mio figlio. Se lo faccio perché fa piacere anche a me, benissimo; ma se ci vado arrabbiata perché avrei preferito dedicarmi un’ora di pilates, sarò maldisposta verso anche il più piccolo dei suoi capricci».
È proprio così: su un terreno arido non cresce nulla di buono. E, invece, nel diventare madre, mi sembra sia insito un fortissimo potenziale creativo. Da quando è nato Arturo, allattandolo di notte o mentre sono sotto la doccia – sulla doccia delle madri ci sarebbe da scrivere un libro – fermo con una app di memo vocali le mille idee che affollano la mia testa. È nata così anche la traccia per questa chiacchierata. Elisa me lo conferma: «Sono moltissime le donne che con la maternità hanno scoperto nuovi interessi e magari anche trovato il coraggio di cambiare lavoro: tra le mie clienti c’è chi si è dedicata alla progettazione di case green, alla costruzione di giocattoli montessoriani, alla cucina di cibi più sani. Io stessa ho dato vita al mio progetto di parent coaching dopo la nascita di Emma, quando mi sono accorta che i genitori avevano molti strumenti a disposizione per interpretare i bisogni dei bambini ma nessuno per armonizzarli con i propri».
Elisa ha toccato un nervo scoperto: il lavoro. Siamo sempre più numerose a essere freelance o ad avere lavori atipici e, per scelta o necessità, ricominciamo a lavorare molto prima di quanto non abbiano fatto le nostre madri, con impieghi più strutturati e tutelati. E così riprendiamo oscillando tra la voglia di passare qualche ora senza rigurgiti e ruttini, il senso di colpa nel sottrarre tempo e cura al piccolino, la paura di essere meno efficaci sul lavoro perché meno disponibili di prima. Ma anche su questo Elisa mi rassicura: «Sappiamo che la presenza dei genitori nel primo anno di vita è fondamentale perché i bambini sviluppino sicurezza e benessere, ma lo è anche la gioia che portiamo nella relazione. Non esiste un tempo giusto per tornare al lavoro: esiste quello giusto per noi. Spostiamo il focus: non è tanto quello che faccio, ma come lo faccio. Sull’inefficacia di una madre lavoratrice, è vero l’opposto: la maternità libera risorse interne come la resilienza, la pazienza, la proattività e le capacità organizzative. Tutte preziose per la nuova gestione familiare, ma anche per il proprio lavoro».
Ma io lo so, lo vedo che la volontà di tornare a lavoro o di progettare un futuro diverso da sola non basta. Devi poter contare su “risorse esterne” a te: una rete di sostegno che si faccia carico del neonato mentre tu fai altro. «Sì, è così» mi conferma Elisa. «La genitorialità condivisa è fondamentale per il benessere del bambino, ma anche per quello delle mamme. Avere un compagno che prepara la cena, un nonno che accompagna il piccolo a scuola, un’amica a cui poter chiedere un’ora di tregua: attivare un sistema di supporto è indispensabile per coltivare momenti e spazi personali o ritessere le fila del proprio lavoro. Liberare la maternità vuol dire anche questo: cercare il tuo modo di essere madre, sperimentandoti in ambiti diversi dalla relazione con tuo figlio». «E se fossi una “mamma rondine”?» penso mentre guardo Arturo sbadigliare sul braccio ormai indolenzito. Mi muovo senza traiettorie precise, al volo in solitudine preferisco il confronto con altre voci, faccio tanta confusione ma alla fine vado verso l’estate. Verso la gioia dei suoi occhi quando giochiamo e verso quella dei miei, quando provo, anche attraverso queste riflessioni, a restituirmi intera a me stessa.
La presenza dei genitori nel primo anno di vita è fondamentale perché i bambini sviluppino sicurezza e benessere. Ma lo è anche la GIOIA che noi madri portiamo nella relazione.
Professione parent coach
Elisa Pella, l’esperta che ha dialogato in questo articolo (la trovi su Ig come @ilgenitoreconsapevole), è una parent coach, figura professionale nuovissima in Italia che non ha a che fare con i bambini ma con i genitori. «Chi sceglie di affidarsi a un parent coach lo fa perché ha qualche difficoltà nella relazione con i figli o perché ha voglia di dedicarsi del tempo per riflettere sulla genitorialità, il futuro della sua famiglia, le proprie scelte educative» spiega.
«La narrazione della maternità ha spesso a che fare con la naturalezza dell’essere madre. Quante volte ci siamo sentite dire: “Segui il tuo istinto materno!”. Ma non è così: non sempre possediamo gli strumenti per raggiungere la soluzione che vorremmo. Attraverso sessioni di coaching individuale o di coppia, un parent coach aiuta le mamme e i papà a liberarsi da tutte le pressioni esterne e dalle idee preconcette su cosa si debba fare per essere buoni genitori. Si lavora su quello che si desidera per se stessi e per il futuro dei propri figli e su come realizzarlo concretamente. Perché non c’è un modo giusto o sbagliato di essere genitori, ma c’è quello che è più o meno efficace per la nostra famiglia».