Per le donne arriva dal mondo del lavoro una buona notizia: crescono le possibilità di impiego. Ma ce n’è anche una meno buona: queste opportunità sono soprattutto nei settori che richiedono competenze scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche, le cosiddette materie Stem, cioè proprio quelle in cui poche si specializzano.

I dati parlano chiaro: oggi su 10 studenti iscritti a facoltà scientifiche e tecniche meno di 2 sono ragazze, mentre metà delle offerte di lavoro si concentrano in quegli ambiti e secondo il Report 2020 del World Economic Forum sono destinate ad aumentare più del doppio rispetto agli altri. «Le donne fanno ancora fatica a cogliere queste chance» afferma Darya Majidi, ceo di Daxo Group, società di consulenza strategica per la digital transformation delle aziende. «Lo vedo da imprenditrice: cerco ma non trovo donne. Mancano analiste, progettiste, sistemiste, programmatrici e manager del settore. Perché oltre al digital mismatch, cioè il divario tra le competenze tecnologiche dei lavoratori e quelle richieste dalle aziende, oggi l’Italia deve fare i conti anche con il “gender digital mistmach”, cioè la mancanza di laureate in questi settori».

E dire che, negli ultimi anni, l’invito «Ragazze, studiate le Stem» è stato ripetuto da più voci e da più parti. Perché non è stato ascoltato?

Il motivo è innanzitutto culturale

«Quando ho suggerito alla figlia di una conoscente di entrare alla Normale di Pisa, lei mi ha risposto: “Non sono in grado”. Eppure si era appena diplomata con il massimo dei voti: poteva scegliere qualunque strada» racconta Darya Majidi. «La sua convinzione, priva di fondamento logico, arriva dal contesto nel quale stiamo crescendo ancora oggi le nostre figlie. L’altro giorno ho visto al parco 4 bambini giocare agli zombie e rincorrersi: erano 3 maschi e una femmina, la stessa percentuale che trovi in ambito lavorativo tech. Quando la bambina ha proposto di fare lei la zombie e rincorrere gli altri, si è sentita rispondere: “No, tu no perché sei femmina”. Questo “No, tu no” è continuo e persistente: per esempio, ai videogiochi le bambine giocano poco, mentre i maschi allenano la dimestichezza con la tastiera, la strategia, il problem solving. Il “no” che respiriamo da piccole è il blocco che da grandi abbiamo quando dobbiamo lanciarci. Se io sono dove sono, è grazie a mio padre che mi ripeteva sempre: “Tu sei un campione, puoi fare quello che vuoi”».

L’empowerment femminile spesso è ancora un miraggio

I limiti autoimposti trovano terreno fertile nella società e nella scuola che non credono nell’empowerment femminile o non fanno abbastanza per coltivarlo. «Ci limitiamo a dire che le Stem sono importanti, ma tante mie amiche non conoscono ancora neanche il significato dell’acronimo» spiega Chiara Burberi, fondatrice della piattaforma di didattica digitale redooc.com. «Perché tutti siano coinvolti servono strategie politiche e iniziative sistematiche. La Finlandia, per esempio, ha deciso di avviare la trasformazione digitale del Paese cambiando libri e programmi in tutte le scuole. Dai noi le innovazioni in classe sono sporadiche, demandate alla volontà di singoli insegnanti».

Perciò è importante l’impegno delle associazioni. Come ValoreD, che con l’iniziativa InspiringGirls porta grandi impreditrici a raccontarsi nelle scuole. E come Fondazione Bracco, che ha appena lanciato il manifesto Mind the Stem Gap per raccontare il contributo delle donne alle discipline scientifiche e promuovere un’educazione delle ragazze libera da stereotipi (si può scaricare e firmare sul sito mindthestemgap.fondazionebracco.com).

Modelli di donne a cui ispirarsi

Modelli femminili forti ai quali ispirarsi esistono, ma vanno fatti conoscere. Come rivela la ricerca Microsoft “European Girls in Stem”, intorno ai 17 anni le ragazze abbandonano l’interesse verso le materie scientifiche e tecnologiche perché non trovano figure a cui guardare. Succede proprio quando si preparano alla scelta universitaria e, quindi, al loro futuro lavorativo. «Se chiedi a una platea di studenti il nome di un uomo della tecnologia, da Steve Jobs in poi l’elenco è lungo. Se chiedi il nome di una donna è scena muta» aggiunge Burberi, che è anche nella nuova sezione italiana del prestigioso elenco internazionale Inspiring Fifty (italy.inspiringfifty.org).

«Le donne devono entrare nei libri di storia, ora sono invisibili. Le ragazze hanno bisogno di modelli ai quali ispirarsi e i ragazzi devono conoscerle» aggiunge Linda Laura Sabbadini, direttrice centrale dell’Istat, oggi alla guida del W20 (Women 20), il gruppo che elabora proposte per i leader dei Paesi membri del G20. A loro chiederanno, per esempio, di abbassare le tasse universitarie per le ragazze che scelgono corsi scientifici e tecnologici. Un’iniziativa messa già in atto dal Politecnico di Milano, con le borse di studio del programma Girls@Polimi, ma ancora troppo sporadica.

La carriera scientifica può essere compatibile con la famiglia

Le ragazze devono anche capire che una carriera scientifica non è ingestibile se si vuole mettere su famiglia. «Spesso passa il messaggio che lavorare in ambito Stem, soprattutto a livello manageriale, ti porti fuori casa tutto il giorno» dice Majidi. «In realtà, tanti lavori tecnologici sono proprio quelli che oggi si gestiscono in smart working e consentono quindi di conciliare professione e vita privata».

Inoltre, non serve essere dei cervelloni. «Io porto sempre l’esempio della scienziata Ilaria Capua» aggiunge Burberi. «Quando l’ho intervistata per il mio libro Le ragazze con il pallino per la matematica, mi ha confessato che a scuola non era una cima con i numeri, eppure ha costruito un’eccellente carriera scientifica perché ha spinto su leve diverse, come la logica e il ragionamento. E tante altre donne hanno intrapreso percorsi Stem pur avendo abilità matematiche nella media».

Purtroppo comunemente si pensa che a esser portato per le carriere scientifiche sia chi da bambino era bravissimo con le tabelline. «Sbagliato» assicura Burberi. «La velocità di calcolo non è fondamentale, tanto che i matematici si definiscono “pensatori lenti”. Ragionare per impostare un’equazione è più importante, creativo e divertente che individuare subito la x».

Bisogna abbattere gli stereotipi

Le istituzioni provano a trovare soluzioni per recuperare il gap. Il Recovery Plan prevede corsie preferenziali per l’assunzione delle donne e, con il nostro Piano nazionale di ripresa (il Pnrr), 1 miliardo di euro è destinato a finanziare percorsi Stem per studentesse.

Ci sono anche tante borse di studio, come quelle di Assolombarda con il programma “Steamiamoci” e quelle di Amazon con “Women in Innovation”. «Ma per cambiare davvero passo, bisogna agire anche a livello culturale, sebbene il percorso in questo caso sia più lungo» sostiene Sabbadini. «Bisogna cioè abbattere i tanti stereotipi che costituiscono il freno maggiore all’empowerment femminile. Spesso non li vediamo neanche e per questo sono più pericolosi. Pensiamo ad Alexa: è una voce femmine che ubbidisce agli ordini. Ecco, come W20 stiamo chiedendo ai governi di introdurre la materia “Stereotipi” in tutti i corsi universitari, proprio perché un programmatore non si trovi a creare algoritmi che possano, suo malgrado, veicolare preconcetti come nel caso di Alexa. Il prossimo passo è fare in modo che nessuno di noi sia un trasmettitore inconsapevole di stereotipi».

I dati

18% Sono le studentesse italiane che all’università scelgono percorsi Stem.

50% È la percentuale di offerte a tema Stem nel totale degli annunci di lavoro. La maggior parte si riferiscono alla trasformazione digitale e agli ambiti Esg (Environmental, Social and Corporate Governance). Nei prossimi 10 anni, le offerte in questo campo aumenteranno del doppio rispetto alle altre occupazioni.

25° È il posto occupato dall’Italia nella classifica Ue delle lavoratrici nel digitale. Da noi su 10 addetti alla sicurezza informatica solo 1 è donna; e solo 1 su 5 lo è tra gli esperti di cloud computing, big data e intelligenza artificiale.

Fonti: Miur, Tutore, Global Gender Gap Report 2020 del World Economic Forum, Women in Digital Scoreboard 2020

Le tre esperte

Linda Laura Sabbadini
Pioniera europea delle statistiche per gli studi di genere, è direttrice centrale dell’Istat. Guida il W20, (Women 20), il gruppo di esperte che ha il compito di elaborare proposte sull’uguaglianza di genere ai leader dei Paesi membri del G20 (il prossimo vertice è a Roma il 30 e 31 ottobre).

Darya Majidi
È la ceo di Daxo Group, società di consulenza strategica per la Digital Transformation delle aziende, con una divisione, Womenlab, per l’empowerment femminile. Ha fondato l’associazione Donne 4.0 che mira a coinvolgere le donne per renderle protagoniste nel mondo digitale.

Chiara Burberi
Coautrice di Ragazze con il pallino della matematica (Libromania), è una delle Inspiring Fifty 2021, le 50 donne italiane più influenti nel campo della tecnologia. Ha fondato redooc.com, la piattaforma di didattica digitale dalla primaria all’università che dà grande spazio alle Stem.