Ormai non si stupisce più nessuno: il Governo si riunisce spesso di sera, con sedute che possono proseguire fino a notte fonda. Le telefonate di lavoro arrivano anche all’ora di pranzo o di cena, mentre per le email non c’è più orario. Il lavoro sembra aver abbattuto ogni barriera: complici la tecnologia (con smartphone, tablet, e collegamenti internet che non conoscono quasi più limitazioni) si è raggiungibili ovunque, ma soprattutto sempre.
Il lavoro, insomma, sembra essere diventato “fluido” e non solo per i manager o per chi ricopre posizioni o incarichi di vertice. Ma se l’essere raggiungibili ha indubbi vantaggi, anche nella vita privata quotidiana, quali sono le conseguenze sul lavoro?
Il lavoro è diventato fluido
“Certamente il modo di lavorare è cambiato molto, anche se non per tutti e non in tutti i campi” spiega Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione ADAPT (fondata da Marco Biagi nel 2000, si occupa di studi nel campo del diritto del lavoro e delle relazioni industriali). “Oggi abbiamo da un lato il lavoro più manuale, che è in riduzione in termini complessivi e non consente ancora una gestione dell’orario fluido, mentre dall’altro ci sono settori che permettono una grande flessibilità, come per gli addetti ai servizi o chi è impiegato in un’impresa manifatturiera. D’altronde questa flessibilità è sempre più richiesta. E questo è dovuto principalmente a due fattori: i mercati sono sempre più globali, occorre un coordinamento internazionale e gli orari risentono anche dei diversi fusi orari. Il secondo motivo riguarda invece i consumatori, che sono molto più esigenti: in sostanza ormai si aspettano che le loro richieste ottengano risposte in tempi più rapidi. Sullo sfondo c’è poi la tecnologia, che ci permette di essere sempre connessi. Non serve più lo spazio fisico dell’ufficio o dell’impresa per lavorare”.
I vantaggi dello smart working
“Spesso quando si parla di smart working lo si collega soltanto al luogo di lavoro, alla dimensione dello spazio, ma in realtà lo smart working implica anche una nuova gestione del tempo. Non si tratta soltanto di svolgere a casa lo stesso tipo di lavoro che si faceva in ufficio, ma di poter gestire in modo autonomo il proprio tempo. Per farlo occorre avere obiettivi chiari e concordati con il datore di lavoro, che chiede un certo tipo di risultato e lascia al lavoratore la possibilità di gestire modi e tempi per realizzarlo. Questa è una grande libertà, dunque è un vantaggio. Certo, esiste un aspetto molto delicato del nuovo modo di vivere la propria professione: c’è il rischio di diventare dipendenti dal lavoro” spiega Seghezzi.
Il diritto alla disconnessione
“Il vero pericolo è di non staccare mai. Si tratta di un aspetto di cui si discute molto da qualche tempo, soprattutto all’estero, dove le nuove forme di lavoro sono più diffuse da tempo. Capita spesso che, proprio grazie alle possibilità offerte dalla tecnologia, non si stacchi mai, si sia sempre connessi, oppure che il proprio capo approfitti di questa opportunità e il lavoratore non abbia il coraggio di difendere il diritto a non superare l’orario di lavoro complessivo, ossia le classiche otto ore giornaliere” aggiunge l’esperto, che parla del diritto alla disconnessione: “Si tratta del diritto di non dover leggere le email a qualsiasi ora, di non dover partecipare alle call telefoniche o alle videoconferenze al di fuori del proprio orario definito e non superare appunto il limite di ore di lavoro giornaliere oltre le quali questo diventa straordinario”.
Straordinari non pagati
Una delle conseguenze più frequenti e negative riguarda l’allungamento dell’orario di lavoro, non solo in senso verticale, quindi rispetto alla durata della giornata lavorativa, ma anche in senso orizzontale, quando capita di sforare nel fine settimana: “Se uno si organizza in modo tale per cui decide di lavorare 4 ore al giorno per 7 giorni su 7, ben venga, a patto che sia una sua scelta. Diverso è il discorso se invece è il datore di lavoro che gli chiede una disponibilità continuativa, senza lo stacco del weekend, di fatto costringendo una persona a lavorare 30 giorni al mese, lasciandogli magari soltanto una settimana libera di ferie all’anno” spiega Seghezzi. “In questo caso entra in gioco un tema di doppia responsabilità: quella delle imprese, che non devono approfittare della situazione (sebbene foriera di indubbi benefici), e quella dei lavoratori, che devono essere in grado di autogovernarsi senza diventare vittime delle opportunità che il nuovo lavoro fluido offre” spiega il presidente della Fondazione.
Il rischio di “burnout”
“Alla lunga il rischio di effetti negativi sia per il lavoratore stesso che per l’azienda esiste. Chi non stacca mai va incontro, infatti, a deficit in termini di attenzione, perché le pause sono una necessità biologica e psicologica di ciascuno. Ma ci sono ritorni negativi anche per il datore di lavoro, che registrerà performance e produttività minori proprio a causa del logoramento del proprio lavoratore, a rischio di “burnout”. È vero che ci sono persone particolarmente in grado di reggere lo stress, ma questo sul lungo periodo è negativo per chiunque, quindi occorre una grande capacità di regolarsi, per poter sfruttare gli aspetti positivi di un lavoro senza orari predefiniti e senza diventarne vittima” conclude Seghezzi.
Il futuro e la società che cambia
A cambiare non sono solo i modi e i tempi del lavoro, ma anche i rapporti interpersonali e sociali. “Si tratta di un cambiamento sociale che colpisce soprattutto i meno giovani, perché chi inizia a lavorare oggi nei settori dei servizi e della manifattura ha una maggiore tendenza (direi quasi “naturale”) a prestarsi alle nuove forme di lavoro e dunque anche a uno stile di vita nuovo” dice Seghezzi. Giusto per fare un esempio, capita sempre più spesso di lavorare anche negli orari dei pasti (e non solo a chi ha attività commerciali che richiedono un orario continuato). Ecco che scompare quella ritualità che caratterizzava i ritmi – anche familiari – di un tempo. E una persona giovane magari è più disposta ad accettare un cambiamento del genere.
“Sicuramente stiamo assistendo a molti cambiamenti, ed occorre cogliere anche i vantaggi di queste novità, come la possibilità di conciliare la vita privata e quella lavorativa. Ad esempio, una madre che lavora da casa può organizzarsi in modo tale da staccare dal proprio lavoro per andare a prendere i figli a scuola o accompagnarli da qualche parte, senza necessariamente dover chiedere permessi. Ovviamente questo non vale per tutte le attività e comporta degli accorgimenti e una capacità organizzativa nuovi” conclude l’esperto.