Una donna sul lavoro non ha le stesse opportunità di un uomo. Lo attesta l’indagine Elephant in the Valley condotta nella Silicon Valley: tutte le 200 dirigenti di aziende hitech intervistate hanno vissuto episodi di discriminazione di genere nella loro carriera. Ma se la disparità è forte in un settore “maschile” come l’informatica, qual è la situazione negli altri campi? E in Italia? Secondo il Global Gender Gap Report, che monitora l’equità di genere, il nostro Paese si sta impegnando a superare la disparità: in 10 anni siamo saliti dal 77esimo al 50esimo posto, su 144 Stati. «A farci guadagnare posizioni è stato l’aumento della partecipazione alla politica delle donne, grazie a iniziative come la creazione di liste elettorali con la presenza paritaria dei due sessi. E si sono attivate forme di sostegno alla conciliazione famiglia-professione tra cui bonus per la babysitter, che favoriscono il rientro al lavoro delle neomamme» spiega l’avvocato Barbara De Muro.
Con un pool di professioniste dell’associazione ASLAWomen (www. aslawomen.it), ha curato il Codice delle pari opportunità (edito da La tribuna), che raccoglie e commenta tutte le leggi vigenti in Italia in materia di equità tra sessi. «La nota dolente rimane la partecipazione femminile alla vita economica» sottolinea l’esperta. «Siamo solo alla 127esima posizione quanto a eguaglianza salariale». Insomma, le leggi aiutano, ma non sono sufficienti. «Quella sulle “quote di genere” del 2011 ha favorito la presenza femminile nei consigli di amministrazione di società quotate e partecipate pubbliche, che è passata dal 7% al 30% in 5 anni» spiega De Muro. «Rimangono fuori le dipendenti delle aziende private, però la legge ha stimolato un mutamento culturale». Ed è su questo aspetto che bisogna fare leva. Perché, come fa notare De Muro, «secondo una ricerca di European Value Study, il 75% degli italiani, donne comprese, crede che i bambini soffrano quando la mamma lavora».