Tra di noi basta uno sguardo per riconoscersi: il sacchetto della spesa in una mano e il cellulare nell’altra, tra email di lavoro, WhatsApp dei figli e ricette mediche per i genitori anziani, probabilmente un abbonamento della palestra in fondo alla borsa, forse a casa c’è un marito o compagno, distratto e un po’ depresso, che attraversa un’andropausa di cui non ha alcuna consapevolezza, e anche questa sera l’aperitivo con le amiche salterà, essendo così stremate da volere solo dormire. Siamo milioni di donne nella stessa condizione, ma la sensazione è di essere sole. Abbiamo voluto e costruito una vita piena e performante, per la quale paghiamo l’altissimo prezzo di una stanchezza fisica e mentale ormai cronica che si porta dietro dolori fisici, frustrazione, senso di inadeguatezza e molte domande.
Dove abbiamo sbagliato? Perché ci siamo caricate di così tanti pesi per imporci nel mondo pubblico restando allo stesso tempo iper presenti nella vita familiare? E soprattutto: come possiamo uscirne disegnando un futuro migliore?
Chi sono “Le Schiacciate”?
Per raccontare questa costellazione femminile tra i 45 e i 60 anni Laura Turuani, psicologa e psicoterapeuta dell’Istituto Minotauro di Milano, ha inventato un termine che è anche il titolo del suo appassionato saggio appena uscito per Solferino: Le Schiacciate. Lo spiega così: «Siamo state le più devote interpreti della società narcisistica.
Abbiamo voluto fare tutto e farlo al meglio, triturate dalla competitività e dall’accelerazione dei nostri tempi.
Non abbiamo voluto rinunciare a nulla – famiglia, lavoro, bellezza, amore, sessualità – cercando sempre di dimostrare di essere all’altezza delle aspettative (in primis le nostre!), contraddistinte e stremate dal multitasking, dalla volontà di controllo e dal bisogno di performare nel mondo pubblico creato da e per uomini senza, o quasi, responsabilità di cura. Non avevamo modelli a cui fare riferimento, li abbiamo creati noi assumendoci senza tregua responsabilità pubbliche e private».
Ripensare il lavoro di cura
Oltre 2,8 milioni di persone assistono regolarmente figli o parenti malati, disabili o anziani, secondo gli ultimi dati Istat riferiti al 2018. Una responsabilità che grava sul 9,4% delle donne in età lavorativa contro il 5.9% degli uomini. E sempre l’Istituto di statistica ci dice che il 38,3% di occupate con figli sotto i 15 anni ha modificato aspetti professionali per conciliare lavoro e famiglia. I padri con le stesse caratteristiche sono l’11,9%. È stato uno sbaglio restare impigliate nella rete familiare tralasciando di impegnarci di più, ad esempio, sulla nostra indipendenza economica o anche solo sul nostro benessere?
Secondo Laura Turuani, non dobbiamo recriminare: «Dal mio punto di vista non ci sono errori, al contrario siamo state bravissime. Siamo entrate nel mondo del lavoro con grande ottimismo e in modo piuttosto ingenuo, accorgendoci, una volta dentro, di essere ben poco attese, vedendo trasformata quella che pareva una scelta, lavorare, in un obbligo, essere costrette a farlo vista l’impossibilità o quasi di sussistenza delle famiglie monoreddito. Oggi possiamo fare un bilancio e imparare dagli errori fornendo un modello di identificazione che può essere utile alle donne più giovani. Penso ad esempio alla necessità di lasciare spazio ai padri nel lavoro di cura: oggi le nuove generazioni sono pronte a scoprire gioie, e fatiche, del paterno».
La storia di Valentina
Per Valentina, avvocata di diritto bancario e finanziario, nata e cresciuta a Roma, brillante negli studi e stakanovista sul lavoro, la carriera è stata un’ossessione per metà dei suoi 46 anni. «Non mi imbarazza ammettere che il lavoro ha avuto la precedenza sulle persone che amo» dice. La sua vita schedulata in ogni minuto è saltata lo scorso anno, quando al suo bambino di 7 anni è stata diagnosticata l’ADHD ad alto funzionamento e, qualche mese dopo, la badante della mamma, vedova e malata di Alzheimer, le ha comunicato che sarebbe tornata in Romania per occuparsi della propria madre rimasta sola.
«È stato un terremoto. Ho provato a tenere tutto insieme, ma in pochi mesi ero in burnout: dove non ero arrivata lavorando 20 ore al giorno mi aveva portato l’impatto fisico ed emotivo di curare due persone amate. Non accettavo che la mia vita professionale potesse rallentare, ero arrabbiata e frustata. Ne sono uscita con l’aiuto di una psicanalista, che senza giudicarmi mi ha fatto riconoscere la serenità di un ritmo diverso dell’esistenza: ho delegato a mio marito cucina e rapporto con i medici, scoprendo in lui abilità superiori alle mie; due pomeriggi alla settimana prendo il mio bambino all’uscita di scuola; la sera esco o guardo le serie tv, mi obbligo a non lavorare anche se, confesso, mi mancano la frenesia e l’adrenalina della vita passata».
Le Schiacciate e le tre M: menarca, maternità, menopausa
Con lo sguardo rivolto a chi ha bisogno di noi, dentro giornate che durano 18 ore correndo di qui e di là, la temperatura sale, ma quando diventa un calore improvviso e insopportabile capiamo che è arrivata la menopausa. Alle tre M – menarca, maternità e menopausa – Turuani dedica ampio spazio, perché nelle famiglie delle Schiacciate sono spesso presenti due su tre dei momenti più delicati di una donna: le mestruazioni delle figlie e il climaterio delle madri. E con ormoni in subbuglio ed emotività al cubo non sempre la coesistenza è pacifica.
Allenarsi alla separatezza
In particolare quando sopraggiunge la menopausa, dice Turuani, arriva per tutte la stessa necessità: «È giunto il momento di ascoltare il disorientamento di fronte ai cambiamenti per non esserne sopraffatte. Dal punto di vista psicologico è necessario allenarsi alla “separatezza”, a raggiungere una centratura su di sé che consenta sufficiente stabilità e forza per affrontare i diversi lutti di questo periodo e la loro elaborazione: “perdita” della giovinezza, della bellezza, della tenerezza dell’infanzia dei nostri figli, del tempo passato con i nostri genitori, dei traguardi mancati o di aspettative troppo elevate che si pacificano nel loro essere “ragionevolmente” irraggiungibili.
Lo si fa con l’accettazione del cambiamento e delle trasformazioni, senza ostinarsi nell’impossibile sfida di frenare il tempo. Imparare a vivere il presente porta una maggiore centratura sui bisogni e desideri di oggi e permette di coltivare la gratitudine per ciò che abbiamo fatto e ottenuto fino a questo momento, con consapevolezza e ritrovata autostima che consentano di riempire di senso e cose belle il (molto) tempo ancora da vivere».
La sorellanza è una medicina a costo zero
Può aiutarci una medicina a costo zero: la sorellanza. Aprirsi alle altre, ritrovare le amiche, curare di più quelle che già ci sono. Chiosa Laura Turuani: «Il dialogo e la condivisione tra donne ci fa superare l’angoscia di essere sole e inadeguate. Come non si cresce senza amici, così non si attraversa la menopausa senza una condivisione con le nostre sorelle». Il riposo della guerriera non è una sconfitta, ma l’inizio della pace.