Dopo l’Alabama e la Georgia nel 2019, nel settembre 2021 era stato il Texas ad approvare una restrittiva legge che proibisce l’aborto dopo sei settimane di gravidanza anche in caso di stupro o incesto. La legge, nota come Senate Bill 8, rendeva difficile per i funzionari far rispettare la cosiddetta Roe v. Wade, storica sentenza del 1973 che stabilisce il diritto all’aborto fino al punto di vitalità fetale, ovvero il punto in cui i feti possono sostenere la vita fuori dall’utero [circa le 22-24 settimane di una gravidanza, ndr].

Dopo un mese di proteste, da parte delle istituzioni e della società civile, sembra ora esserci una svolta: il giudice del distretto texano di Austin, Robert Pitman, ha infatti accolto il ricorso presentato dall’amministrazione Biden contro la norma, ritenuta incostituzionale, assestando il primo colpo legale contro la controversa legge e gettando nell’incertezza il suo futuro. Come riporta il Guardian, la sentenza di mercoledì 6 ottobre impedirà allo stato di far rispettare la legge sostenuta dai repubblicani mentre il contenzioso sulla sua legalità continua.

Sebbene la legge sia oggi in uno stato di “sospensione”, però, i servizi di aborto in Texas potrebbero non riprendere immediatamente perché i medici temono ancora di poter essere citati in giudizio senza una decisione legale permanente. «La sentenza di stasera è un importante passo avanti verso il ripristino dei diritti costituzionali delle donne in tutto lo stato del Texas», ha dichiarato il segretario stampa della Casa Bianca Jen Psaki, «La lotta è appena iniziata, sia in Texas che in molti stati di questo Paese dove i diritti delle donne sono attualmente sotto attacco». I funzionari texani hanno già annunciato che impugneranno la decisione del giudice federale.

Perché è così difficile bloccare le normative che limitano l’aborto?

La norma approvata in Texas si distingue dalle altre normative simili approvate in altri stati, dove l’applicazione delle restrizioni incontra ancora oggi difficoltà legali: sarà infatti la prima a poter entrare effettivamente in vigore. Come spiegava il New York Times, «a causa del modo in cui la legge è stata scritta potrà essere difficile contestarla in tribunale, configurandosi così come un cambiamento epocale nella battaglia sui diritti dell’aborto e aprendo la strada dell’imitazione da parte di altre giurisdizioni che cercano di reprimere l’accesso all’aborto».

Fa infatti discutere il fallimento della Corte Suprema degli Stati Uniti, l’organo preposto a risolvere simili contenziosi, nel bloccare una legge che è stata giudicata palesemente incostituzionale da tutti gli esperti e che rappresenta il punto di arrivo di una lunga campagna avviata dalle fila degli ultra conservatori in seno al Partito Repubblicano. Secondo il Guttmacher Institute, che fa analisi e ricerca su dati e politiche sulle interruzioni di gravidanza negli Stati Uniti, negli ultimi anni in ben 28 stati americani sono state infatti presentate proposte di legge che introducono una qualche forma di ostruzione all’accesso all’aborto [in America non esiste un’unica legge sull’aborto: ogni Stato può decidere da sé, ndr].

La Corte Suprema non si è pronunciata sulla costituzionalità del provvedimento approvato in Texas invocando «questioni di procedura complesse e nuove»: quattro membri, compreso il capo della Corte John G. Roberts Jr., si sono dichiarati contrari, mentre gli altri cinque hanno votato a favore. Tre di loro erano stati nominati da Donald Trump. La legge era stata firmata lo scorso maggio dal governatore repubblicano Gregg Abbott e vieta l’interruzione volontaria di gravidanza dal momento in cui è percepibile il battito del cuore dell’embrione, ovvero attorno alla sesta settimana di gravidanza. L’unica eccezione rimane quella del pericolo per la salute della donna, ma secondo tutti gli attivisti che si battono per il diritto all’aborto la legge è a tutti gli effetti un divieto quasi assoluto, considerando come siano molto frequenti i casi in cui le donne non si accorgono di una gravidanza entro le prime sei settimane, ancor più quando la gravidanza non è voluta.

Nonostante lo stesso presidente Joe Biden abbia definito la legge texana «radicale» e abbia promesso di impegnarsi affinché il Paese non torni indietro di cinquant’anni, e nonostante stiano montando le proteste – dal vivo, sui media e sui social – la battaglia per il fondamentale diritto all’aborto negli Stati Uniti oggi subisce uno stop micidiale: «Queste leggi sono incostituzionali, come abbiamo capito finora dalle sentenze emesse dalla Corte Suprema, visto che i tribunali hanno poi rapidamente emesso ingiunzioni preliminari che ne hanno bloccato l’applicazione, ma questa sarà la prima ad andare in vigore. È un cambiamento enorme», ha detto al Nyt Elizabeth Nash, analista politica del Guttmacher Institute. Intanto, secondo la previsione delle strutture mediche che si occupano di garantire l’aborto sicuro l’85 per cento delle pazienti che cercheranno di ricorrere all’aborto in Texas si vedranno rifiutare la procedura: un dato molto concreto su quello che significherà l’applicazione di questa legge folle.