Lina Ben Mhenni è morta a soli 36 anni. Si è spenta per le conseguenze della malattia ai reni, dopo un trapianto che non aveva ottenuto i risultati sperati. A soli 28 anni era stata candidata al Nobel per la pace. Blogger, giornalista, paladina del diritto alla libera espressione e attivista dei diritti umani, il suo blog divenne famoso in tutto il mondo durante la Rivoluzione dei Gelsomini nel 2011. In Tunisia è stata spesso considerata come “la voce della rivolta tunisina”. Qui la nostra intervista del 2017.
Portare i libri in carcere per combattere il radicalismo. È l’idea di Lina Ben Mhenni, attivista politica tunisina di lungo corso nonostante i soli 34 anni. Ha raccolto più di 35.000 volumi con i quali ha arricchito le biblioteche di 15 penitenziari tunisini, ossia la metà di quelli presenti nel Paese. L’iniziativa, partita da un post sul suo blog A Tunisian girl e condivisa sulle sue pagine social che contano centinaia di migliaia di follower, è sfociata in una catena di volontariato diffusa in tutto il Paese e oggi va avanti con successo anche grazie all’aiuto della World Organization Against Torture.
«Da qui parte il maggior numero di foreign fighters»
«L’idea mi è venuta due anni fa, mentre seguivo un progetto di cineforum all’interno delle carceri» racconta Lina. «Durante le proiezioni ho avuto l’occasione di visitare le biblioteche. Erano quasi vuote e i funzionari non avevano i fondi per comprare altri libri. Ne ho discusso a lungo con mio padre, un ex prigioniero politico che nei suoi anni di reclusione aveva persino scioperato per avere la possibilità di leggere in cella. Così abbiamo stretto degli accordi con le amministrazioni che ci hanno permesso di iniziare a rifornire le loro biblioteche». Per Lina non si tratta di un’operazione benefica fine a se stessa, ma di un antidoto autentico alla radicalizzazione, che secondo tutti gli analisti è un rischio concreto per i detenuti tunisini. Il Paese è infatti il maggior esportatore di foreign fighters: da 3.000 (stime del governo) a 6.000 tunisini (stime Onu) negli ultimi anni si sono uniti al Califfato in Libia, Siria e Iraq. Ma in seguito alle sconfitte militari subite dall’Isis in quei Paesi molti di questi combattenti stanno tornando in patria, creando instabilità politica.
«Se i giovani sono istruiti, non cedono all’estremismo»
Le strutture carcerarie sono oggi al 217% della loro capacità e, spiegano gli esperti, gli oltre 1.600 uomini già reclusi per terrorismo entrano in contatto con altri detenuti, in condizioni igienico-sanitarie precarie e in un contesto in cui gli abusi della polizia restano spesso impuniti. «A causa della legge sull’uso di droghe leggere (una norma draconiana riformata solo lo scorso aprile, ndr) molti detenuti sono giovanissimi, studiano ancora e hanno bisogno anche di libri scolastici» continua Lina, che conosce bene le battaglie civili in Tunisia, tanto da essere stata candidata al Nobel per la Pace nel 2011 per il suo impegno nella rivoluzione. Ma la rivolta che ha rimosso il dittatore Ben Ali, di cui cade l’anniversario il 14 dicembre, è stata solo l’inizio di un lungo e travagliato percorso. «L’approccio per cui la sicurezza del Paese passa per l’arresto o la persecuzione dei presunti terroristi e delle loro famiglie non è efficace» osserva Lina. «Fino a quando il governo non capirà che l’estremismo va combattuto alla radice, offrendo alternative anche culturali e di pensiero, non ci sarà alcun miglioramento per la Tunisia».
Una timeline degli eventi
Dicembre 2010 Iniziano le proteste di piazza dopo che un venditore ambulante di Sidi Bouzid si dà fuoco nel suo villaggio.
Gennaio 2011 Il presidente Ben Ali va in esilio in Arabia Saudita.
Agosto 2012 Scoppiano le proteste contro la proposta del governo di ridurre i diritti delle donne.
Marzo 2015 L’attacco al museo del Bardo fa 21 morti. A giugno 38 turisti sono uccisi a Sousse. Entrambi gli attentati sono rivendicati dall’Isis.
Maggio 2017 Migliaia di persone manifestano per chiedere lo sviluppo delle aree rurali.